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  • Movimento umanistico e relazione d'aiuto: verso una sensibilità collettiva
    Cecilia Edelstein (a cura di)

    M@gm@ vol.15 n.2 Maggio-Agosto 2017





    IL CORPO IN CROCE: LA MEDIAZIONE SOMATICA NELLA RELAZIONE D’AIUTO

    Massimo Soldati

    soldati@integrazioneposturale.it
    Vive ed esercita privatamente a Milano. Per molti anni si è dedicato alla psicoterapia a orientamento corporeo. Questo lo ha spinto a intraprendere un itinerario cosmopolita che lo ha portato a divenire allievo di Jack Painter e formatore dell’International Center for Release and Integration di S. Francisco, uno dei più avanzati centri californiani di ricerca sul benessere. Ha studiato e sperimentato le più varie tecniche d’integrazione psicosomatica, sia nell’ambito delle terapie ortodosse, umanistiche e naturali, sia attraverso contatti diretti con le culture orientali, quali Training Autogeno, Ipnosi, Yoga, Meditazione, Rebirthing, T'ai chi, Shaolin chuan, PNL, Bioenergetica, Kinesiologia Applicata. Ha maturato un proprio approccio alla psicoterapia in chiave transpersonale che ha esposto in vari articoli e nel libro Corpo e Cambiamento, pubblicato dall'editore Tecniche Nuove di Milano. E' Presidente dell’Associazione di Integrazione Posturale Transpersonale, che diffonde i suoi metodi attraverso corsi mirati alla formazione e allo sviluppo personale.


    Accorgersi - Nicoletta Freti

    «La comunicazione fra gli uomini avviene a livelli diversi.

    C’è una comunicazione che parla da sé, che non ha bisogno dell’ausilio della parola,

    del “linguaggio emancipato”, verbale, simbolico: è il “linguaggio del corpo”».

    Erich Fromm

     

    Il corpo è oggi in croce, in una situazione mi auguro reversibile di alienazione, nella quale da elemento integrato della persona è divenuto oggetto estraneo, da una parte trascurato e, dall’altra, eccessivamente investito e in maniera abnorme.

     

    Il costante lavoro negli anni in psicoterapia, counseling e nelle discipline bio naturali a mediazione corporea con pazienti e clienti, mi ha portato a riconoscere quella che chiamo una diffusa e preoccupante lontananza dal corpo, anche in persone considerate sane e ben integrate, che ne impedisce la percezione piena e diretta, portando a una sorta di “galleggiamento” della mente sull’organismo biologico.

     

    Tale lontananza è caratterizzata da:

    1. Una scarsa capacità di sintonizzarsi sull’aspetto sensomotorio di se stessi, se non per stimoli forti in senso positivo (sessualità, piacere) o negativo (malattia, dolore).

    2. Un certo grado di alessitimia generalizzata, cioè d’incapacità di dare voce alle sensazioni ed emozioni corporeamente basate.

    3. Una mancanza di consapevolezza del corpo, della sua struttura o (anche in chi lo conosce bene come medici, ballerini e atleti) della percezione integrata del suo funzionamento. Ad esempio, la mancata o insufficiente percezione di alcune aree del corpo, oppure la mancata percezione dell’aspetto emozionale connesso con tensioni cronicizzate.

    4. La presenza di malattie psicosomatiche sempre più diffuse, che vengono ad assumere la funzione di portare alla coscienza messaggi e contenuti psichici trascurati o evitati.

    5. L’aumento esponenziale dei danni da stress, che viene per così dire immagazzinato a livello somatico e non percepito sino al manifestarsi di disturbi. Tali disturbi s’instaurano per l’inibizione e mancata consapevolezza delle capacità di autoregolazione dell’organismo, che viene usato come una sorta di cestino della spazzatura con una funzione evitante rispetto a contenuti sgradevoli. Un esempio caratteristico è dato da chi abusa del lavoro per il piacere di mantenersi attivo ed evitare la depressione di una vita vuota di affetti.

    D’altro canto, abbiamo un iperinvestimento nel corpo esteriorizzato, il corpo immagine e immaginato, il corpo socializzato, che viene trattato alla stregua di un oggetto proibito, in una sorta di post proibizionismo che porta ad infiniti abusi. Basti accennare qui al corpo sessualizzato che continuamente viene riproposto nella pubblicità, un corpo anche troppo condannato senza rendersi conto di quanto questo sia un atteggiamento generalizzato, che coinvolge tutti, compresi gli stessi critici e moralisti. Oppure, si può additare la continua proposta di “nuovi” modelli di fruizione perversa del corpo, esibizionistica, sadomasochistica, confusiva, autolesionistica, ecc., tanto diffusi da essere quasi accettati nel range della “normalità”, o gli eccessi della chirurgia estetica, che stanno mutando antropologicamente l’immagine femminile; oppure, ancora, la “vendita” di benessere corporeo in spa e palestre che propongono l’immagine di un corpo esteriorizzato, gonfiato con i pesi, coccolato con trattamenti benessere basati sull’apparire e sul piacere egoico e non su quella integrazione che sarebbe tanto utile al giorno d’oggi come sempre lo è stata. Mens sana in corpore sano dicevano gli antichi romani e il detto vale per ogni periodo storico.

     

    Chi è l’assassino?

     

    «Il Cristianesimo ci ha abituati a scindere rigorosamente Bene e Male, senza possibilità di conciliazione. Ma così “il nostro dio reale” è diventato “la rispettabilità”. Il mondo, quando si elimina l’Ombra, diventa insipido, come narra la parabola ebraica dell’uomo pio che, ottenuto da Dio di essere liberato dal demone della passione, scoprì che rose e vino e donne non sapevano più di niente. Il mondo si era impoverito».

    Augusto Romano

     

    Dove troviamo il colpevole in questa situazione di disagio generalizzato e non percepito?

    Tentiamo alcune risposte.

     

    Un colpevole storico potrebbe essere Cartesio, con la sua divisione tra res cogitans, l’aspetto cognitivo, e res extensa, l’aspetto materiale, sensomotorio, che ha ben rappresentato le basi teoriche del mondo moderno, con il suo privilegiare la scienza nella posizione di chi distaccatamente osserva la materia. Questo atteggiamento da “scienziato osservatore” è stato talmente sviluppato negli ultimi 400 anni in Occidente, che lo possiamo vedere ormai in ognuno di noi, persino nelle persone non scolarizzate o con scarsa cultura. La base moderna del nostro mondo attuale, dalla quale si è evoluta quella postmoderna, ha forgiato una parte consistente dell’Occidente, portando a un’attitudine generalizzata di distanza dal corpo-materia, di scissione da esso in una posizione di osservazione più possibile neutrale e anaffettiva. Quest’attitudine la possiamo oggi trovare iconizzata nelle figure estreme del nerd e dell’hikikomori, relegati nel mondo della conoscenza e della comunicazione, ormai eccitati solo dal ragionamento, dall’immagine, dai bit e dai meme e sempre meno dalla realtà fisica, che sono l’immagine di una parte consistente di noi tutti. Se questo ci ha dato lo sviluppo delle scienze e della razionalità obiettiva, ci ha allo stesso tempo allontanato dagli strati precedenti della nostra evoluzione, da una concezione mitico religiosa, che ci faceva percepire la sacralità e unità del mondo, e da un ancora più antico stadio magico, animistico-partecipativo, nel quale il mondo era sentito come un flusso indistinto di energia e di corrispondenze nel quale il soggetto era completamente immerso.

     

    Il ritorno a una concezione organica, olistica, sistemica dell’universo nel periodo postmoderno indica il percorso di recupero che stiamo con difficoltà accingendoci a compiere per arrivare a una nuova reductio ad unum, una nuova percezione unitaria della nostra esistenza e della conoscenza scientifica che include molti più oggetti e meraviglie.

     

    Carl Gustav Jung (1912) ci aiuta anche lui a capire, descrivendo l’allontanamento dall’immediatezza del corpo, come qualcosa di necessario nel passaggio tra l’Evo Antico e il Medio Evo. In questo periodo, caratterizzato dal lento tramontare del paganesimo e l’affermazione del cristianesimo, l’umanità è entrata in una sorta di fase di latenza, nella quale si è distaccata dall’immediato e gioioso (o crudele) vivere l’hic et nunc, per sviluppare nel distacco dalla materialità una consapevolezza morale: il mondo materiale come valle di lacrime, contrapposto al paradiso come premio per chi vive virtuosamente nel bene. Jung non si stancava di indicare la necessità stringente per l’uomo moderno di abbandonare le dicotomie che vengono dall’identificazione con la parte buona, virtuosa, solare di noi relegando nello sfondo e nell’ombra la parte scomoda, oscura, malvagia, diabolica. “Non cercate di essere buoni! Siate integri!” diceva, dato che in questa parte diabolica e rinnegata si trova il daimon, il dio che ci porta a esperire la nostra completezza, e in questo ci dà la salute e il ritorno allo stato primigenio di unità. L’attitudine alla divisione, in questo caso, coinvolge l’allontanamento dal corpo come emozionalità, sessualità, pulsioni vissute come cattive, fonte di perdizione, durante i secoli passati. Infatti, il diavolo nella nostra iconografia è raffigurato come un capro dalla vita in giù, a indicare la sua vicinanza al mondo degli istinti.

     

    Questo però non è sufficiente a spiegare l’alienazione dal corpo attuale, perché non è solo la psicologia ad essere lontana dal corpo, ma in modi diversi quasi tutte le altre professioni della relazione d’aiuto e della sanità. Politicamente c’è stata una sorta di opposizione da parte della medicina e di alcune professioni paramediche alla fruibilità del corpo da parte di altre professioni, quasi esso costituisse un loro territorio riservato. Medici, fisioterapisti, psicologi, infermieri, counselor, mediatori familiari, logoterapisti condividono però in genere la stessa lontananza dal corpo o la difficoltà di integrare mente e corpo. Interessante è notare che quasi tutti questi professionisti, come la maggior parte della popolazione, sono assolutamente inconsapevoli della propria distanza dal corpo, sinché almeno non intraprendono un cammino conoscitivo esperienziale, che li porti a toccare con mano questo loro stato e sviluppare una maggiore capacità di ascolto somatico.

     

    È oggi necessaria perciò anche un’azione politica, che porti a buon fine una liberalizzazione delle professioni umanistiche che stanno riacquisendo il significato della corporeità in un senso integrale e non strettamente sanitario, liberandole da vincoli che sono stati posti per motivi corporativi ed epistemologicamente obsoleti.

     

    Ora che abbiamo trovato i colpevoli (come sempre solo alcuni, anche se ce ne sono altri) vediamo che cosa abbiamo perso nel cammino evolutivo, dato che potenti energie si sono mobilitate nel corso del secolo scorso, quali la psicologia umanistica, l’esistenzialismo, la fenomenologia, la psicoanalisi, il movimento per la crescita del potenziale umano, la psicologia transpersonale, il counseling, per citarne solo alcuni elementi di maggior spicco. Tutti movimenti afferenti ad una visione pluralistica del mondo, tuttora in fase di perfezionamento ed evoluzione.

     

    Ritorno all’idea di corpo in croce, perché nonostante il proliferare di rinnovati e plurali punti di vista nel Novecento, la situazione relativa al corpo è ancora confusiva e non bene assimilata.

     

    Cosa abbiamo perso? Cosa dobbiamo ritrovare?

     

    «Dì un po’: com’è che tu misuri il cosmo e i limiti della terra,

    tu che porti un piccolo corpo formato da poca terra?

    Misura prima te stesso e conosci te stesso,

    e poi calcolerai l’infinita estensione della terra.

    Se non riesci a calcolare il poco fango del tuo corpo,

    come puoi conoscere la misura dell’incommensurabile?»

    Pallada

     

    Cosa abbiamo perso con il distacco dal corpo dato dall’etica religiosa medievale? Cosa abbiamo perso con l’allontanamento dall’oggetto dato dalla scienza occidentale e dallo scientismo derivato? Cosa abbiamo perso con l’abbandono di una concezione dell’uomo umanistica ed integrata? E che cosa con una politica protezionistica nei confronti della scienza mainstream?

     

    Abbiamo perso l’unità della persona, rimasta parcellizzata e allontanata da se stessa. Per questo, nella seconda metà del Novecento si è diffuso così tanto il termine “olismo”, che ha incarnato la tendenza a ritornare all’organicità andata perduta nel cammino evolutivo dell’Occidente; olismo che ha creato una quantità di pratiche innovative ancora in via di assimilazione da parte della scienza mainstream e della società al di fuori dei circuiti elitari dei conoscitori.

     

    Una delle difficoltà in questo processo di assimilazione è che molte pratiche olistiche o integrali sono francamente regressive in quanto cercano di recuperare valori premoderni ponendosi in una dinamica di scontro con la scienza moderna, ad esempio pensiamo alle pratiche alternative che pretendono di curare anche patologie importanti sostituendosi completamente alla medicina. È per questo che dal concetto di “terapie alternative” si è passati a quello di medicine o terapie complementari, che presuppongono un lavoro di squadra, reciproca informazione e completamento. La scienza combatte nelle sue parti meno avanzate un po’ retrivamente contro lo sviluppo in atto di nuovi punti di vista olistici, invece che studiarne con mente aperta il potenziale e, d’altro canto, troppi rappresentanti di questa tendenza verso il recupero dell’unità organica dell’uomo rispondono con una lotta tutto sommato infantile contro la scienza mainstream.

     

    Il corpo in tutto questo rimane il simbolo tangibile della divisione e della mancata realizzazione di un livello d’integrazione superiore, che la società attuale deve ancora raggiungere.

     

    Nel campo della psicologia sono tanti i cultori della mediazione corporea che si chiedono come mai uno strumento così potente ed efficace come il corpo non sia conosciuto, insegnato, impiegato quanto meriterebbe, con grande beneficio per la collettività.

     

    Lavoro dei prossimi anni sarà far sì che questi due modi di concepire il corpo, la mente, la salute e il benessere possano convivere e incontrarsi ognuno portando i suoi frutti, cosa che possiamo vedere oggi in rari casi, ad esempio in ospedali che utilizzano le medicine complementari con quella ufficiale e in gruppi di lavoro interprofessionali che uniscono medici, counselor, psicologi, mediatori, paramedici, operatori olistici ecc., sviluppando talvolta non solo équipe multidisciplinari, ma anche équipe interdisciplinari, dove si costruisca un sapere in comune, altro, nuovo, che può essere documentato e tramandato poiché comprende un’elaborazione degli aspetti teorici e un continuo dibattito su questioni di tipo etico (Edelstein, 2010). In questi casi, i diversi modelli culturali e professionali vengono messi a confronto senza far riferimento a un modello ideale unico, spostandosi così da una prospettiva normativa in cui un modello viene considerato più importante, più vero o addirittura ideale e tutti quelli che si allontanano da esso deficitari, se non addirittura dannosi. In questa proposta alternativa, in una prospettiva pluralista, ogni cultura professionale avrebbe la propria dignità, senza dover paragonarsi a un modello ideale (Fruggeri, 2001; Edelstein, 2007). Il filo conduttore potrebbe essere non dimenticare che corpo e mente siano sempre interconnessi. Con una pluralità di offerta, ai pazienti e clienti può essere data, in numerosi casi, l’opportunità di scegliere quale tipo di terapia desiderano intraprendere.

     

    Nei prossimi anni il pluralismo postmoderno dovrà evolversi in una prospettiva post-postmoderna nella quale, alla pari dignità e ascolto dei singoli punti di vista, sarà unita una prospettiva gerarchica flessibile e non rigida che vada a sostituire quella attuale. Oggi il difetto del pluralismo non ancora maturo è quello di focalizzarsi, preminentemente e certo non nelle sue forme migliori, sul piano orizzontale della parità e comprensione (communion), trascurando l’aspetto verticale della gerarchia, che è invece anch’esso essenziale specialmente nel momento operativo dell’agency (Wilber, 2000). Questi due aspetti devono tornare a collaborare armonicamente come l’asse verticale e quello orizzontale che, unendosi, formano il simbolo della Croce.

     

    Il corpo è in croce oggi per la mancata sintesi tra tutti gli elementi cui abbiamo accennato, anche se contiene in sé potenzialità non ancora completamente applicate e, avendo un suo linguaggio che dalla maggioranza non è percepito, porta in sé l’innocenza di chi parla in maniera diretta.

     

    Nel campo della relazione

     

    «Come on now try and understand

    The way I feel when I'm in your hands

    Take my hand come undercover

    They can't hurt you now

    Can't hurt you now, can't hurt you now».

    Bruce Springsteen e Patti Smith

     

    È nel campo della relazione che vediamo i danni più evidenti della lontananza dal corpo. In ogni relazione umana, proprio in quanto tale, il corpo dovrebbe essere un elemento centrale, in quanto è soprattutto attraverso di esso che sin dalle origini comunichiamo.

     

    Una quantità di studi sul linguaggio non verbale ci rivela che la maggior parte delle unità di comunicazione in un’interazione tra persone passano attraverso l’aspetto non verbale. Non è tanto la comunicazione digitale che arriva con efficacia tra esseri umani, ma quella analogica: il tono della voce, l’inflessione, la ritmica, i suoni accompagnatori, la gestualità, la mimica, la postura, i manierismi, la prossemica, le micro espressioni, i micro movimenti ci dicono tantissimo in una relazione, anche se in genere non ne siamo consapevoli (Argyle, 1992; Birkenbihl, 1992). Rivelatore è il famoso esperimento riportato da Desmond Morris (1995) nel quale un gruppo di infermiere ebbe la consegna di mentire ai pazienti per il loro bene. Vennero tutte riprese mentre parlavano: nei loro corpi si potevano distinguere chiaramente i segnali dell’incongruenza rispetto a ciò che dicevano; a livello somatico comunicavano direttamente una discrepanza con il contenuto verbale.

     

    Probabilmente in molti abbiamo avuto l’esperienza di andare in un ospedale per una visita e interfacciarci con un operatore sanitario freddo, repulsivo, scostante, che ci comunicava un senso di disagio e diffidenza; abbiamo certamente notato la differenza con un altro operatore sanitario che ci accoglieva, che aveva un contatto caldo e presente. Quest’ultimo comportamento ci porta a fidarci.

     

    Ritengo che sia centrale per gli operatori delle professioni d’aiuto e sanitarie una consapevolezza positiva del corpo, per avere un contatto rassicurante ed efficace con il cliente, sia che questo contatto sia diretto, come nello shiatsu o durante una visita medica, sia che il contatto sia indiretto, come in un colloquio verbale.

     

    L’ascolto di tipo rogersiano (Rogers, 1942), attitudine fondamentale in quanto porta a sintonizzarsi sull’altro, viene assai potenziato da un addestramento alla consapevolezza corporea. Alle capacità di ascolto sul piano verbale viene aggiunta una componente non verbale, che dà efficacia e profondità alla comunicazione. A questo proposito, faccio spesso esercitare gli allievi nei gruppi di Integrazione Posturale attraverso una simulata dove, all’ascolto solo verbale, segue immediatamente uno nel quale la vicinanza empatica è accompagnata da una specifica attenzione corporea. Tutti notano immediatamente la differenza tra le due modalità, con un sollievo generalizzato quando si passa alla seconda.

     

    È perciò importante che nella relazione d’aiuto si sviluppi una consapevolezza del corpo perché l’ascolto sia realmente partecipativo. Non sempre un’interazione attenta sul piano cognitivo è efficace se ha in sé fratture con un aspetto somatico che trasmette altro. Penso molti abbiano avuto esperienza di operatori della relazione d’aiuto che dicevano le giuste parole e si attenevano a un ascolto manualisticamente ineccepibile, ma in qualche modo si sentiva che essi non erano veramente presenti, non erano lì completamente con la totalità di se stessi.

     

    Lo psicoanalista Wilhelm Reich (1973-1975) è stato il primo a formalizzare chiaramente l’equivalenza funzionale tra corpo e psiche, più specificamente identificando un’equivalenza funzionale tra le difese psichiche e le tensioni croniche fisiche e posturali. Questo lo portò a sviluppare la tecnica della Vegetoterapia Carattero-Analitica, nella quale, per risolvere problemi psicologici, ci si aiuta con un’attenzione al ripristino delle capacità di autoregolazione vegetativa, di benessere somatico, di rilassamento e mobilizzazione dinamica sul piano somatico del paziente. Per una trattazione più approfondita in chiave reichiana e suoi sviluppi, rimando al mio saggio Corpo e Cambiamento. (Soldati, 2007).

     

    Prospettive evolutive

     

    «Non so quando, ma so che in tanti siamo venuti in questo secolo per sviluppare arti e scienze, porre i semi della nuova cultura che fiorirà, inattesa, improvvisa, proprio quando il potere si illuderà di avere vinto».

    Giordano Bruno

     

    Se il corpo oggi è in croce, rivelando lo stato di relativa divisione interiore e sociale dell’uomo contemporaneo, che cosa ci può portare invece di positivo? Può esso diventare un amico nel corso della nostra avventura evolutiva?

     

    La mia personale opinione è che il corpo può divenire un preziosissimo strumento di crescita per l’individuo e per la società, purché si riesca a comprendere l’insieme di difese sedimentate che ci portano a escluderlo dalla consapevolezza e ci si sottoponga a un addestramento al suo ascolto, o meglio a un recupero dello stesso.

     

    Sul piano più strettamente sociale un impiego consapevole della corporeità può dare i seguenti vantaggi:

    1. Un incremento generale della salute e del benessere.

    2. Una diminuzione delle nevrosi e delle malattie psicosomatiche.

    3. La riduzione dello stress.

    4. Un aumento di consapevolezza del proprio stato di salute generale.

    5. Prevenzione di malattie attraverso stili salutari di vita.

    6. Facilitazione di eventi con forte coinvolgimento del corpo, quali: gravidanza e parto, recupero da stati patologici ed incidenti, invecchiamento.

    Nel campo della relazione d’aiuto, compreso quello della psicoterapia, una maggior consapevolezza della corporeità e un maggior impiego di tecniche a mediazione corporea possono portare:

    1. Miglioramento della comunicazione interpersonale.

    2. Maggior efficacia.

    3. Possibilità facilitata di aggancio di problematiche evitate o rimosse tramite un primo approccio somatico volto al benessere.

    4. Accesso ad aree preverbali della coscienza.

    5. Più facile elaborazione e risoluzione di vissuti traumatici.

    6. Accesso a stati meditativi e olotropici.

    Ai punti A e B ho già accennato in precedenza. Per il punto C vorrei esemplificare brevemente. Mi è capitato spesso di avere come clienti delle persone che avevano evidentemente un grosso problema da risolvere, ma venivano in terapia per tutt'altro, oppure con una domanda non chiara del tipo: “Mi può aiutare a stare meglio?” o “Non sto bene, sono confuso in questo periodo e vorrei che mi aiutasse”, oppure bambini e adolescenti difficilmente impegnabili da subito sulla tematica principale per loro da risolvere. Ecco che l’impiego del corpo può essere un utile aggancio che, attraverso tecniche di rilassamento, riequilibrio energetico, espressività giocosa, può portare a creare quello stato di benessere o complicità nel raggiungimento di obiettivi iniziali semplici e benefici. Da questo primo aggancio è possibile creare una base sicura e di alleanza, che ci permetterà poi di esplorare le tematiche nascoste ed evitate. Il corpo in questo caso ha la funzione importantissima di creare una solida base sicura, all’interno della quale il cliente o paziente si sente contenuto e alla quale può ritornare. Spesso, una volta creato questo aggancio sicuro, le tematiche profonde o rimosse vengono portate nella discussione spontaneamente ed elaborate.

     

    Riguardo al punto D, e cioè all’accesso ad aree preverbali della coscienza, oggi sappiamo che l’impiego di tecniche esperienziali a mediazione corporea riesce a bypassare molte difese, perché innesca una diretta comunicazione a livello preverbale. Sappiamo che parte della nostra memoria, (la cosiddetta memoria somatica) è implicita e non raggiungibile a volontà, in quanto si basa su strutture cerebrali più arcaiche. È esperienza ormai consolidata che tecniche a mediazione corporea portino ad attivare queste aree facilitando l’emersione di memorie arcaiche, in modo che possano essere rese coscienti e rielaborate (Giannantonio, 2013). Possiamo assimilare questo a un processo di sminamento della coscienza, che “bonifica” vasti campi della psiche generatori di disagio.

     

    In seguito all’opera pionieristica sui veterani della guerra del Vietnam di Van der Kolk (2015), colui che contribuì maggiormente a far riconoscere la classificazione nosografica di Disturbo Post Traumatico da Stress, si è sempre più dato peso alla mediazione corporea nel campo della psicotraumatologia. Consapevole del fatto che il trauma colpisce a livello delle aree cerebrali più arcaiche, raggiungibili attraverso la mediazione somatica, Van der Kolk (ibidem) curava i suoi pazienti traumatizzati invitandoli a fare shiatzu, yoga, teatro, arti marziali e altre tecniche corporee. Sapeva bene che queste attività erano un ponte verso la normalizzazione del traumatizzato, che lo aiutava ad uscire dalla fase di congelamento e scissione, a riprendere contatto con il proprio corpo, a iniziare un primo processo di rielaborazione a livello somatico, che poi sarebbe stato reso consapevole attraverso colloqui e una elaborazione cognitiva.

     

    In seguito agli studi di Van der Kolk, si sono sviluppati sempre più approcci corporei al trauma, tra cui ritengo preminenti il Somatic Experiencing di Peter Levine e la Psicoterapia Sensomotoria di Pat Ogden (Levine, 2014; Ogden, Minton, Pain, 2012).

     

    Il Somatic Experiencing è una tecnica messa a punto da Levine estremamente efficace nel trattamento del trauma e nella sua risoluzione. Osservando il comportamento degli animali Levine è giunto alla conclusione che il trauma non è solo nella mente, ma anche, per così dire, imprigionato nella neurologia e fisiologia della vittima. La gazzella assalita dal leone può mantenere la sua integrità anche psichica, dopo un attacco, se ricorre soddisfacentemente ai meccanismi di difesa che le permettono di scaricare l’attivazione dell’emergenza nella fuga. Se la gazzella si congela nel terrore, muore. Levine porta ad esempio il caso di alcuni bambini rapiti dai terroristi e imprigionati come ostaggi. Nel gruppo dei bambini, alcuni entrarono in stato di congelamento e paralisi, altri, invece, scavarono sotto la rete che li imprigionava sino a trovare un passaggio che li condusse al fortunato incontro con i salvatori. Essendo stati sottoposti a valutazione psicologica e seguiti per anni, si osservò che il secondo gruppo giunse molto più rapidamente alla guarigione dal trauma subìto, poiché scaricò fisiologicamente la tensione completando il ciclo della risposta biologica prevista. Quando ciò non avviene, l’energia mobilizzata dallo stato di allarme viene convertita nel corpo provocando congelamento e disturbi psicosomatici. Levine, dunque, ritiene che un intervento sul piano solo cognitivo sia insufficiente in traumatologia, perché non contatta direttamente il tronco encefalico e l’amigdala che sono divenuti disfunzionali. Nel Somatic Experiencing abbiamo quindi un’attenta presenza del terapeuta che, attraverso una vicinanza corporea e psicologica, accompagna la persona a riacquisire le proprie risorse naturali.

     

    La Psicoterapia Sensomotoria elaborata da Pat Ogden e collaboratori (2012), costituisce un approccio psicoterapeutico specifico ai disturbi post-traumatici dotato di una esauriente elaborazione teorica. Tratta dall’Hakomi Method di Ron Kurz (1990), a sua volta influenzato dall’Integrazione Posturale e altre tecniche d’integrazione mente corpo, la Psicoterapia Sensomotoria unisce anche elementi derivati della teoria dell’attaccamento, dalle neuroscienze, dalla psicodinamica e da modalità cognitivo-comportamentali.

     

    Importante in questo approccio è l’attenzione alla sicurezza del paziente, che viene mantenuta attraverso apposite e complesse strategie psicosomatiche. Centrale è il concetto di “finestra di tolleranza”, che indica i limiti entro i quali è opportuno che si svolga la relazione terapeutica, e cioè quello spazio tra iperattivazione ed ipoattivazione psicofisiologica che permette al paziente di sentirsi sicuro ed in contatto col terapeuta.

     

    Nel trattare un disturbo o nel confrontarsi con vissuti traumatici si parte generalmente da un approccio sensomotorio all’interno della finestra di tolleranza, per portare gradualmente alla coscienza da un punto di vista cognitivo il ricordo disturbante e poterlo integrare. In questo modo è più sicuro accedere alla memoria, creando prima una zona corporea di sicurezza e di relativo comfort, e quindi tenendola come base sicura e rassicurante. Viene invertito perciò l’approccio rispetto ad una direzionalità top-down, dalla mente al corpo, caratteristica della psicoterapia verbale, e si introduce una strategia complessa che unisce un attento movimento pendolare tra mente e corpo.

     

    Non posso naturalmente non riportare qui l’Integrazione Posturale Psicoterapia, la variante psicoterapeutica dell’Integrazione Posturale, nella cui pratica professionale ed elaborazione teorica sono tuttora impegnato assieme a una comunità internazionale di terapeuti (Painter, 2012). L’Integrazione Posturale è stata creata negli anni Settanta da Jack W. Painter, come metodo di sviluppo e crescita personale il cui scopo è favorire una progressiva integrazione mente corpo della persona (Painter 1983, 1986). Questo metodo si basa su un sinergico lavoro sul corpo, energia, emozione ed espressività. Le sue basi teorico-pratiche derivano dal Rolfing di Ida Rolf (1977), la Bioenergetica di Alexander Lowen (1985), la Vegetoterapia Carattero-Analitica di Wilhelm Reich (1973, 1975), la medicina tradizionale cinese, la Terapia della Gestalt di Fritz Perls (1951), tecniche di consapevolezza del movimento quali Alexander (1994) e Feldenkrais (1996), tecniche di respirazione consapevole quali Rebirthing e respirazione reichiana (Orr L. e Ray S. 1997). Pur essendo nata come un metodo per il benessere e l’integrazione della persona, la sua efficacia, la sintesi funzionale delle componenti ed il suo precorrere i tempi con una pratica compiutamente integrale, hanno fatto sì che ispirasse vari altri approcci anche psicoterapeutici. Un gruppo d’istruttori con competenze psicoterapeutiche hanno perciò formalizzato un’Integrazione Posturale Psicoterapia, un approccio psicoterapeutico generale, che trova la sua migliore applicazione nella psicotraumatologia e nel campo dei disturbi psicosomatici. Nell’Integrazione Posturale Psicoterapia si segue un percorso di contatto corporeo e mentalizzazione progressiva nella persona, che inizia con un contatto sicuro e man mano si trasporta sempre più in profondità nel corpo e nelle aree che sono più lontane dalla consapevolezza, perché irrigidite, bloccate, flosce, ipertoniche od ipotoniche, dissociate. Durante questo itinerario, come ripreso poi nella Psicoterapia Sensomotoria, a partire da uno stato di sicurezza del paziente si creano ad ogni passaggio successivo costanti connessioni tra la percezione somatica, la risonanza emotiva, l’aspetto cognitivo. La percezione del corpo ha una sua importanza fondamentale in questo, dato che ogni disturbo nella crescita, ogni problema adattivo ed ogni evento traumatico lasciano la loro impronta nella postura e nella propriocezione. Il corpo viene perciò impiegato come mappa per la riappropriazione di sé in maniera graduale e adatta al singolo caso. Questo approccio terapeutico non si limita alla cura dei disturbi della integrazione mente corpo, ma prosegue nello spirito della Integrazione Posturale verso la progressiva acquisizione di vitalità, capacità espressive ed adattive, miglioramento delle performances e degli stati interni di integrazione.

     

    A titolo di esempio accenno qui brevemente al caso di una paziente che chiamerò Giulia, trattata con psicoterapia corporea, specificamente Integrazione Posturale Psicoterapia.

     

    Giulia ha vari problemi che investono la sfera della relazione e del lavoro. Da anni non riesce ad avere una relazione duratura, le sue “storie” durano solo sino a quando incominciano a farsi serie e una volta, arrivata alle soglie del matrimonio, ha addirittura abbandonato il promesso sposo perché in preda al panico. Sul lavoro è assai efficiente, lavora nell’azienda familiare nella quale è diventata il punto di riferimento con un lavoro impegnato e costante, scalzando piano piano gli altri familiari dai loro ruoli. Giulia, pur essendo attraente, è divenuta obesa perdendo parte del suo appeal. La terapia inizia con i primi colloqui conoscitivi e valutativi della situazione attuale: il sovrappeso, l’insonnia, lo shock dovuto alla separazione con l’ultimo partner. Emerge dalla sua storia passata che la madre, donna molto attraente e vincente, ha sempre preferito i fratelli relegandola nella posizione della figlia responsabile. Una competizione con lei l’ha portata a diventare vincente nel lavoro, ma a prezzo di un impegno totalizzante.

     

    Decido così di utilizzare delle tecniche di espressione creativa, in quanto da bambina amava l’arte, poi lasciata da parte per impegnarsi nella lotta di supremazia accennata, e la invito a disegnare. Lo sblocco della creatività la porta a sentire ancora la sua femminilità e il desiderio di fare cose nuove e più leggere, di uscire dalla compulsione a lavorare. Passiamo a sedute più focalizzate sul corpo, con tecniche di respirazione e bodywork, che la aiutano a rilassare il corpo e ad ascoltarlo. In seguito alle sedute, Giulia si sente bene, piena di energia; in una, in particolare, lo stato di benessere è disturbato da una forte contrazione nella parte posteriore delle gambe. Facendole percepire il tessuto irrigidito con alcune manovre di scioglimento, Giulia sente che le gambe si allungano e subentra un grande piacere liberatorio. In quello stato, si rende conto di aver sempre contratto le gambe per essere pronta nel lavoro, in una postura di forte dinamismo nel quale si sentiva assieme incatenata e oppressa. Dato che quest’oppressione era parte di una sfida per ottenere attenzione dalla madre, le successive relazioni venivano assimilate a qualcosa di soffocante ed eccessivamente impegnativo. La percezione del corpo, libero di muoversi e allungato, la aiuta a fare entrare nella sua vita questo nuovo modello, percepito fortemente a livello cenestesico ed emozionale, nel quale non è necessario porsi in un’oppressiva competizione per avere potere e riconoscimento e si può lasciare spazio ad altre attività più frivole e gratificanti. Le successive sedute sono state dedicate a favorire l’applicazione di questo nuovo modello nella vita quotidiana.

     

    Come si vede, il corpo è stato un alleato importante, prima nel creare una zona sicura nella quale essere ascoltati e lasciare emergere la propria tendenza attualizzante, le proprie risorse, poi nel far percepire vissuti disturbanti e traumatici che ancora influenzavano la vita della paziente, dando un modello efficace di risoluzione del problema e sviluppo personale. 

     

    Molti disturbi dell’uomo contemporaneo (punto F) vengono dallo stress e dall’accelerazione disarmonica del mondo moderno, che ha raggiunto un vero e proprio sovraccarico informazionale. Sono molte, forse troppe, le ore che passiamo a elaborare informazioni davanti ad uno schermo elettronico o appesi a un cellulare. Per ovviare a questo, la scienza oggi ha riscoperto antiche pratiche meditative, che spostano l’attenzione dal processo di elaborazione mentale delle informazioni a una consapevolezza focalizzata nel momento presente con lo scopo di raggiungere uno stato di acquietamento del pensiero (mindfulness). Ognuna di queste tecniche ricorre in qualche modo alla mediazione corporea: vuoi spostando l’attenzione su processi fisiologici quali la respirazione, la cenestesi o il battito cardiaco (meditazione concentrativa), vuoi usando l’immobilità prolungata, il sedersi tranquillo, per focalizzare con distacco sull’attività spontanea immaginativa e di pensiero (meditazione attentiva) (Soldati, 2009).

     

    Processi più avanzati a mediazione corporea, quali la respirazione olotropica di Grof (2010), tecniche prolungate di danza e movimento, la bioenergetica di Lowen (1985), l’integrazione posturale ed integrazione cuore-pelvi di Painter (1983) e forme simili di bodywork riescono, proprio per la loro intensità, a spostare in maniera più completa l’attenzione su vissuti corporei ed innescare stati meditativi profondi e trasformativi. Attraverso queste tecniche, una volta superata la “barriera sensoriale” descritta da Stan Grof come area psichica costituita da percezioni connesse soprattutto all’attivazione e al risveglio degli organi sensoriali in cui predominano esperienze di tipo estetico legate alla sfera della visione, si attivano nello sperimentatore stati olotropici in cui la coscienza si distoglie dall’attenzione analitica e razionale verso il mondo esterno abituale per attivare una tendenza spontanea verso una propria unità ed entrare in un processo di integrazione delle parti. Tali vissuti integrativi sono estremamente preziosi per l’uomo contemporaneo, portandolo in una dimensione atemporale per connettersi con una sua unità profonda ed ancestrale.

     

    Il contatto con le proprie radici dimenticate si manifesta attraverso una produzione di immagini simboliche arcaiche e vissuti di unità che possono facilitare una ristrutturazione evolutiva della personalità. (Grof, 2007).

     

    La Respirazione Olotropica è una tecnica scoperta dallo psichiatra cecoslovacco Stanislav Grof (2010), uno dei principali esponenti della corrente della psicologia transpersonale, nel suo lungo lavoro di ricerca sull’inconscio perinatale. La sperimentazione che condusse per anni sull’impiego dell’LSD e altri psicotropici in ambito sanitario lo condusse a ipotizzare che, con l’aiuto di queste sostanze e di un corretto setting, si inneschi nel paziente un allontanamento dalla normale attività mentale quotidiana per entrare in stati di coscienza modificati, che portano regressioni profonde a funzionamenti arcaici della mente. Ciò gli permise di mappare l’area dell’inconscio profondo perinatale e di osservare la tendenza olotropica spontanea della mente. Terminate le sperimentazioni in ambito istituzionale e protetto Grof si rese conto che tecniche di bodywork potevano sostituire con un corretto setting le sostanze psicotropiche, dando maggior sicurezza e potendo essere impiegate nelle professioni d’aiuto e per la crescita personale. La pratica della Respirazione Olotropica unisce l’impiego di musica evocativa a una forma particolare di respirazione accelerata prolungata nel tempo e il ricorso a manovre di bodywork per sciogliere le tensioni.

     

    In conclusione

     

    «Ogni organismo è animato da una tendenza intrinseca a sviluppare tutte le sue potenzialità e a svilupparle in modo da favorire la sua conservazione e il suo arricchimento».

    Carl Rogers 

     

    Partendo dalla situazione contemporanea di “corpo in croce”, un corpo allontanato, scisso e trascurato, ma al contempo paradossalmente vissuto come oggetto sessualizzato, reso ricettacolo delle nostre proiezioni e della nostra ombra, possiamo riconoscere l’importanza di una sperimentata strada disponibile verso un utilizzo sano della corporeità con finalità integrative, di sostegno, terapeutiche ed evolutive. Tale utilizzo è particolarmente indicato nel campo della relazione d’aiuto, dove potrebbe potenziare la qualità ed efficacia degli interventi e portare beneficio all’operatore e al cliente, posto che il primo si sottoponga a un serio training di sensibilizzazione somatica e acquisisca le basi teoriche della relazione a mediazione corporea.

     

    Barriere di tipo culturale devono essere tuttora superate per un pieno utilizzo in vari campi, in quanto la lontananza dal corpo e la sua esclusione investono trasversalmente ogni aspetto della nostra società e ogni professione, comprendendo paradossalmente anche quelle che sul corpo si basano. Le conoscenze scientifiche e le tecniche sono già disponibili e in costante evoluzione. Serve ora un lavoro sistemico di contaminazione tra discipline e contesti, nel quale si possano creare sintesi teoriche ed applicative, che porterebbero un sicuro miglioramento nel campo dalla relazione d’aiuto e indubbi benefici sociali.

     

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