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  • Lo sguardo del sociologo abbraccia per com-prendere
    Studiosi italiani ricordano cent'anni dalla pubblicazione del Trattato di Sociologia Generale di Vilfredo Pareto
    Maria Caterina Federici (a cura di)

    M@gm@ vol.15 n.1 Gennaio-Aprile 2017





    LA NARRAZIONE DELL’AZIONE SOCIALE: SPUNTI DAL TRATTATO DI VILFREDO PARETO

    Ilaria Riccioni

    ilaria.riccioni@unibz.it
    Ricercatrice di Sociologia generale all’Università di Bolzano.


    Vilfredo Pareto - Disegno di Ludilozezanje (2012) DeviantArt

    La rilettura dei classici porta con sé sempre una duplice operazione: da una parte un ritorno a riflessioni, ritmi, storicità che spesso sembrano già superate; dall’altra la riscoperta delle origini di fenomeni contemporanei da punti di vista che ne delineano le interconnessioni profonde, non più visibili allo stato di avanzamento in cui le osserviamo oggi. Tale maggiore chiarezza è forse dovuta al fatto che ogni fenomeno nella sua fase aurorale è più chiaramente identificabile rispetto alle sue fasi successive, dove le caratteristiche primarie tendono a stemperarsi nelle cifre dominanti della contemporaneità, perdendosi nelle pratiche quotidiane che ne celano la provenienza. Se la sociologia è un processo di conoscenza della realtà dei fenomeni, il punto centrale della scienza sociale va distinto tra quelle scienze che schematizzano il reale in equazioni formali funzionali e funzionanti, il sistema economico, normativo, e le scienze sociali che si occupano della realtà e della sua complessità, che in quanto scienze si devono occupare non tanto di ciò che la realtà deve essere, bensì di ciò che la realtà è, di come si pone e di come manifesta i movimenti desideranti e profondi del vivere collettivo oltre il sistema che ne gestisce il funzionamento.

     

    Il punto che Pareto sembra scorgere, con estrema lucidità, è la necessità di ribaltare l’importanza della logica economica nell’organizzazione sociale da scienza che detta la realtà a scienza che propone uno schema di gestione di essa: da essa si cerca di dettare la realtà, ma l’economia, dal greco moderno Oikòs, Oikòsgeneia (casa e generazione, il termine utilizzato per definire l’unità famigliare) non è di fatto “la realtà”, sembra dirci Pareto in più digressioni, bensì l’arte e la scienza della gestione di unità familiari e produttive. La realtà rimane in ombra e non può che essere “avvicinata” da una scienza che ne registri, ed eventualmente interpreti, la complessità dei rapporti e delle manifestazioni collettive. Lo stesso tipo di schema che intercorre tra la mente umana e la realtà: l’intelletto può organizzare la realtà, ma in ultima analisi non la può contenere in tutta la sua complessità.

     

    D’altro canto, la rilettura di Pareto è un’immersione in un coacervo di contingenze dal quale emergono: un’Italia pre-giolittiana, ancora molto provinciale e scandita da ritmi di diversa natura, le esigenze di rinnovamento e di conoscenza del giovane Pareto che si scontra con le logiche clientelari di un paese ancora contadino, dominato dall’ossessione dinastica. In questo senso molta dell’opera Paretiana va letta in parallelo anche con la biografia professionale di quello che poi diventò “l’eremita” di Céligny. Una potente vis polemica, quella del giovane Pareto, accompagnata ad una necessità di precisione e una buona dose di illusioni circa il cambiamento dell’Italietta che sotto i suoi occhi non esita a reiterare schemi sociali e politici autoreferenziali e dominati da un’élite di conoscenze, lasciando al merito l’illusione di una partecipazione marginale e pur sempre collegata alla politica o alle conoscenze degli ambienti borghesi. Il comportamento umano è così scopertamente definito da impulsi ed esigenze soggettive, che però diventano il materiale di osservazione di Pareto al fine di smascherare la finzione, la presunta razionalità guidata da interessi personali e preferenze soggettive.

     

    «Per Pareto tutti i comportamenti sono analizzabili a condizione di distinguere le due forme di razionalità, quella dell’azione e quella della spiegazione, d’ammettere l’esistenza di due differenti forme di logica, quella della dimostrazione e quella dell’argomentazione, di riconoscere che la verità non coincide coll’utilità, che una dottrina non-logica, non vera, può essere utile socialmente mentre un’altra, logica, vera, può essere nociva, dannosa per la società. Il che permette la descrizione, la spiegazione, mediante tipologie e modelli, dei fatti sociali nelle loro totalità e nelle loro diversità osservabili, ma altresì di separare le scienze formali e sperimentali dalle scienze storiche, le scienze cognitive dalle scienze della perizia e dell’applicazione, la teoria dalla pratica. La ripartizione dei residui in tutti gli strati della società caratterizza i sistemi sociali e li rende eterogenei, conflittuali, contraddittori» (Busino 2010, p.116).

     

    Le azioni logiche sono il mondo come dovrebbe essere, le azioni non-logiche sono il mondo come è, scrive Pareto. In questo lo studioso sembra voler riconciliare se stesso con le leggi che governano la realtà, sembra svelarci la sua personale riflessione a partire dall’esperienza di vita, sempre troppo distante dalle teorie su di essa. La sociologia è per Pareto un’ancora di salvezza, un percorso che apre la visione della razionalità formale alla poliedricità della vita contemplative e attiva, ma in maniera ragionevole e documentata. La realtà non è quella presente nelle menti di chi la osserva, bensì è ciò che è, non logica, non sempre razionalmente giustificabile, eppure reale. Nel percorrere questa disamina della realtà Pareto sembra parlare della sua stessa personale battaglia tra l’idea della realtà, fatta di leggi, principi e coerenza, e la realtà come di fatto, molto spesso, si presenta: imprevedibile, incoerente, contraddittoria, corrotta.

     

    Nel suo ragionare su queste polarità, lo studioso, spazia dai dati storici alle riflessioni filosofiche, dagli schematici ragionamenti scientifici alla creazione di potenziali modelli e leggi del comportamento umano, senza badare quasi mai ai diversi parametri che le diverse discipline necessitano per la comprensione e l’uso appropriato dei loro strumenti. Pareto in uno dei diversi passi del Trattato, cita Platone. Lo analizza, ne osserva lo sviluppo dei concetti logici, ma non si ferma qui, ne coglie la difficoltà, la smembrata realtà che emerge dalle costruzioni del dover essere e non dall’essere della realtà, nella quale Platone stesso è irretito: «ma Platone ha uno scopo, ben diverso, poco si cura di ciò che è, e pone ogni sforzo intellettuale per trovare ciò che deve essere. Spariscono allora le azioni non-logiche e la fantasia dell’autore si sbizzarrisce con le azioni logiche» (Pareto 1988, p. 295). Cosa intende sostenere qui Pareto? Ci troviamo di fronte all’ennesimo tentativo di sostenere la presunta metafisicità del processo intellettuale filosofico, o invece si può scorgere qualcosa di diverso, che ci indica gli stessi lati deboli della costruzione teorica di Pareto.

     

    Nonostante la smisurata versatilità del pensiero paretiano, non sembra mai soffermarsi sulla problematizzazione del concetto di fatto. Se per le questioni di principio lo troviamo irritato e indignato per la leggerezza di come vengono trattate questioni fondamentali, per quanto riguarda l’aspetto dogmatico, ci troviamo spesso di fronte ad uno studioso tanto polemico quanto assolutista. Abbiamo già accennato all’approccio, per certi aspetti neopositivista, di Pareto alla realtà sociale, ma va evidenziato anche quanto il rapporto tra fatto e teoria sia talmente centrale nella discussione che egli sviluppa riguardo all’attendibilità delle scienze sociali. Tanto è rigoroso sulla procedura che deve vincolare necessariamente le teorie ai fatti, quanto invece oblitera completamente la problematizzazione del concetto di fatto, di dato empirico. Non c’è un solo paragrafo nel quale Pareto si soffermi a distinguere le dimensioni narrative del fatto, ovvero la costruzione del fatto come dato. I dati empirici, così come i “fatti”, o fenomeni, sono sempre delle costruzioni e, come tali, suscettibili di angolazioni specifiche di lettura, di mancanze, di parzialità nella presentazione tanto quanto nella successiva potenziale connessione con altri fatti. Pareto valuta la fallacia potenziale del ragionamento umano, ma non sembra considerare che i fatti stessi, per come vengono presentati, vissuti e successivamente identificati sono soggetti alla stessa fallacia nell’interpretazione e descrizione, che rimangono sempre costruzioni sociali o individuali del fatto.  La sua costruzione del fatto sembra ammettere una sola interpretazione: «la teoria economica mira a spiegare classi di azioni, disponendo di una classificazione completa del suo oggetto che è naturalmente analiticamente costruito (…). Possiamo allora definire per convenzione il suo oggetto come un oggetto naturale o saturo rispetto alle interpretazioni. (…) La sua classificazione incorpora e ammette una sola interpretazione completa: nel senso di Pareto, i gusti sono dati. Non vi è, in altri termini, indeterminazione nell’assegnazione di fini agli attori: né, quindi, spazio per esercizi di interpretazione e, a fortiori, per prove di assegnazione di identità»[1]. L’analisi economica delle azioni è resa “satura” nell’interpretazione a seconda delle caratteristiche isolate nella classificazione, per quanto riguarda la sociologia, però, non c’è un oggetto che sia “naturalmente” definito: «in questo caso, la classificazione non è data. Essa diventa piuttosto il nostro problema»[2].

     

    I fatti dell’esperienza devono necessariamente essere adattati al ragionamento, scriverà Pareto (Pareto 1988, p. 442) ma rimangono comunque un fatto ambiguo, nel senso di essere suscettibili di interpretazioni plurali: «sembra che il campo in cui si esercita lo sguardo sociologico sia allora un campo attraversato dal conflitto delle interpretazioni - scrive l’economista Veca - o esposto all’incertezza quanto all’interpretazione e all’assegnazione di identità (…). Quando esploriamo lo spazio delle azioni e dell’interazione sociale, la nostra ricerca del cemento della società, per dirla con Hume, Pareto ed Elster, ha il carattere della chimica sociale che indaga una varietà di meccanismi più che il carattere della fisica sociale che mira alla formulazione di leggi. (…) Se quello di una fisica sociale sembra un esito non raggiungibile, dobbiamo riconoscere che il nostro fare teoria della società esplorando meccanismi, avanzando interpretazioni e attribuendo identità deve molto all’osservazione infaticabile dell’eremita di Céligny»[3].

     

    Il dato, dunque, viene problematizzato inizialmente con l’introduzione al discorso sull’uso del linguaggio che nelle spiegazioni dei fatti sociali deve essere al pari dell’uso delle formule nelle scienze esatte. Se il ragionamento deve adattarsi ai dati dell’esperienza, ovvero deve sottomettersi alla realtà dell’esperienza, anche il linguaggio assumerà una funzione molto più delicata rispetto al semplice dare conto dei fatti: come narrare i fatti accaduti? Come dare voce all’esperienza che spesso ha dei tratti soggettivi e poco comunicabili e che però aggiungono qualità all’esperienza stessa? È innegabile che la narrazione stessa dei fatti, diffusa pratica nelle scienze sociali, sia già di per sé un dato: «è certo che il modo di pensare di un autore è in relazione coi sentimenti esistenti nella collettività in cui vive, e perciò, si può, entro certi limiti, da quello dedurre questi, che sono poi gli elementi dell’equilibrio sociale. Ma è notevole che tale operazione da miglior frutto per autori di poco ingegno, che per autori eminenti, di grande ingegno; perché questi, appunto per le qualità loro emergono, si distaccano dal volgo, e quindi meno bene ne riflettono i pensamenti, le credenze, i sentimenti» (Pareto 1988, p.472).

     

    A seconda delle qualità del narratore, dunque, il dato sarà più o meno spostato sul tipo oggettivo o soggettivo della narrazione, nonché il linguaggio sarà più o meno preciso, ma sempre sarà documentazione di un tempo, di un luogo, di un linguaggio e di una tradizione anche di pensiero: «il testo di un autore vale, per un certo tempo e un certo paese, non tanto per quello che tale autore ha voluto dire, quanto per ciò che gli uomini di quel tempo e di quel paese intendono leggendo il detto testo» (Ivi, p.474). E, prosegue, così, in Pareto la problematizzazione specifica tra la narrazione del fatto e la realtà del fatto, la distanza che si può creare tra il fatto e la spiegazione di esso. Chiaramente, osserva Pareto «la realtà di un fatto non dipende dalla “spiegazione” che di esso si può dare» (Ivi, p. 492), ma da questa può dipendere la comprensione del fatto e l’interpretazione di esso. In realtà la questione si fa a questo punto molto delicate: la realtà del fatto non dipende dalla spiegazione di esso, scrive Pareto, dunque sta già creando le premesse per un approccio critico alla costruzione dei fatti.

     

    Nella parte finale del primo volume del Trattato Pareto sviluppa il discorso articolato sull’incidenza dei miti, le narrazioni leggendarie, che di fatto nutrono l’immaginario dei popoli, aggiungono forza di coesione e appartenenza, nonché sono in grado di creare tradizioni di pensiero. In qualche modo, le considerazioni di Pareto sulla narrazione e di come essa agisca sulla costruzione sociale della realtà sembra una sorta di considerazione ante litteram di ciò che oggi viene definito come “storytelling”, la storia che viene raccontata di un fatto, la narrazione che su di esso può essere elaborata con più o meno elementi “costruiti” per la narrazione stessa. Il come venga raccontato un fatto, e ciò che questo diventa nell’atto della narrazione, permette la trasformazione del fatto stesso dall’essere soggetto all’essere oggetto di una narrazione, dove l’attenzione, dall’evento, si sposta sul racconto di esso, con tutte le tradizioni, fantasie e immagini collettive che ne scaturiscono.

     

    Ma il realismo dello smascheratore di inganni, Pareto, mette in guardia, dunque, dalla possibilità che le narrazioni si discostino completamente, o anche solo in parte, dai fatti, e in questo severamente riporta all’ordine qualsiasi licenza narrativa: «I miti, le narrazioni leggendarie, ed altre simili, sono realtà storiche. Questa è la soluzione più semplice ed anche più facile del problema che ci siamo posti, di risalire da un testo ai fatti che ad esso hanno dato origine. Essa può essere accettata per cagione di una viva fede che non ragiona, che si vanta di credere anche l’assurdo, e di ciò, come già si disse, non abbiamo qui da discorrere. Oppure essa può essere accettata come qualsiasi altra narrazione storica, e quindi come conseguenza di una pseudo-esperienza, che sarebbe vera e propria esperienza, ove la narrazione fosse sottoposta ad una severa critica storica e ad ogni altra necessaria verifica sperimentale» (Ivi, p.552).

     

    Da un punto di vista metodologico, sappiamo dalla ricerca sul campo che la narrazione, l’intervista biografica, hanno sempre una validità, sia come dato “vero”, che coincide con i fatti, sia come dato costruito, che coincide solo in parte o per nulla con i fatti. Ma sappiamo anche che la storia stessa, come del resto anche Pareto accenna, è già di per sé un dato sui modi di vedere, percepire, ragionare e della storia stessa non solo di chi la racconta, ma anche dell’ambiente che ha costruito il modo di vedere e di osservare la realtà di quella narrazione, o dell’individuo narrante. Ogni dato, dunque, ha valore, anche quando è chiaramente in disaccordo con i fatti, perché con il suo disaccordo ci stà già procurando nuovi dati. Per Pareto, però, la questione è sempre in relazione con le evidenze sperimentali che definiscono l’attendibilità del fatto.

     

    «Le teorie date da questa soluzione differiscono dalle teorie della categoria (A) in ciò che in queste la narrazione è imposta come articolo di fede da qualche potenza che provvede la desiderata “spiegazione”; mentre nel caso presente le teorie sono credute per propria evidenza pseudo-sperimentale. Sotto l’aspetto scientifico tale distinzione è capitale (§632). Invero, se una narrazione ci è data come articolo di fede, basta ciò per metterla fuori del campo della scienza logico-sperimentale, che più non ha da discorrere in proposito, né per accettare, né per respingere detta narrazione. Se invece essa ci è data come recante in sé la propria autorità ed evidenza, cade interamente nel dominio della scienza sperimentale, ed è la fede che nulla più ci ha che vedere. Occorre tosto aggiungere che tale distinzione è raramente fatta da chi accetta la narrazione, ed è ben difficile sapere se egli la considera solo come narrazione storica, o se vi presta fede spinto da altre considerazioni. Perciò moltissimi casi concreti sono un misto delle teorie (A) e (B). Ad esempio, l’autorità non sperimentale dell’autore della narrazione manca di rado» (Ibidem).

     

    Si presentano qui quindi, una serie di problemi metodologici che possono essere riassunti in questi quattro concetti: la narrazione; la verosimiglianza; l’attendibilità della narrazione e dell’interpretazione.

     

    La narrazione può essere una descrizione tanto quanto una rappresentazione dei fatti, «Se il testo che vogliamo interpretare fosse una narrazione storica, si potrebbe effettivamente stimarlo come una rappresentazione almeno approssimata degli atti che esprime» (Ivi, p.553), ma la narrazione è un prodotto umano che può nascere approssimativa tanto quanto diventare racconto trasformato nel corso della diffusione, scrive Pareto: «perché un racconto si alteri, non occorre che passi di bocca in bocca; esso si altera anche quando è ripetuto dalla stessa persona. Per esempio, una cosa che si voleva indicare come grande, diverrà ognora più grande nei successivi racconti; una cosa piccola, ognora più piccola. Si aumenta la dose, ognora cedendo al medesimo sentimento» (Ivi, p. 554).

     

    Un modo per dissimulare, dunque, anche quella parte che vi può essere di inganno nelle azioni non logiche è il lavorare sul linguaggio attraverso «lievi e facili mutamenti dell’espressione letterale. (…) Si conserva letteralmente la leggenda, ma si muta il senso dei termini quanto basta per eliminare tutto ciò che non pare credibile» (Pareto 1988, p. 567).

     

    Nell’analisi di Pareto si comprende un aspetto importante della società dell’epoca. Possiamo immaginare in maniera molto succinta che nel percorso di democratizzazione delle società occidentali europee ci siano stati tre momenti di sviluppo dalla società feudale, fino ad arrivare ad un tipo di società più vicina al modello democratico attuale, che si può dire sia tuttora in fase di elaborazione di nuove forme: a. Un primo tipo di società tradizionale nella quale non contano tanto le leggi quanto le usanze. Le società cosiddette dell’«eterno ieri», dove domina sovrana l’accettazione, i tempi sono scanditi dalla natura e di ritmi di lavoro ad essa legati ed in presenza di una limitata divisione del lavoro. b. Ad una seconda fase possono essere collocate le società elitarie, le società del primo periodo dell’industrializzazione che assistono al formarsi di una massa cittadina senza precedenti, dovuta anche alla grande concentrazione delle attività di produzione nelle grandi città che attiravano quindi il passaggio da campagna a città. In queste società dominano e governano gruppi privilegiati che pensano la società in termini monoclasse. Il fascismo e il nazismo si può ipotizzare che furono delle reazioni di massa a queste società elitarie, dove di fatto un gruppo di minoranza comanda e il resto della popolazione non ha voce. Il maggior teorico di questo tipo di società è Gaetano Mosca, laddove Pareto sviluppa molti argomenti convergenti ma non si concentra solo sulla classe dirigente. c. Un terzo ed emergente tipo di società è la società contemporanea, nella quale la pressione dal basso si fa insostenibile, e si fa avanti il bisogno di allargare le basi del potere attraverso l’allargamento delle sfere di partecipazione. Si assiste così ad una progressiva erosione delle classi sociali in senso classico per una trasformazione di esse in una pluralità di classi sociali trasversali e che includono nuovi elementi rispetto al concetto di classe in senso marxiano classico.

     

    Nelle teorie contemporanee sulla società come fenomeno economico hanno una certa importanza le teorie della narrazione. In altri termini, ciò che Pareto indica come distinzione tra azioni logica e non logica, oggi si “semplifica” o traduce nella possibilità di narrare la realtà in modo da influenzare il modo di comprendere la realtà da parte della popolazione, o comunque da parte di coloro i quali, invece di avere accesso diretto alle sfere delle azioni collettive, leggono o si informano su di esse attraverso media, convegni, letture. Secondo Jens Becker[4], anche nell’economia la dimensione dominante non è più la ricerca dell’innovazione, che non si dà più come il motore del capitalismo, bensì è dominante il concetto di performatività, ovvero la possibilità di anticipare lo sviluppo futuro di una società e dei suoi consumi culturali, economici e sociali attraverso la disseminazione dell’immaginazione a forte impatto. Il potere viene esercitato, prosegue Beckert, attraverso l’influenza sulle percezioni del futuro economico. In altre parole l’esercizio della narrazione applicato all’economia modifica le aspettative e genera una sorta di relazione interrotta con la realtà. Ciò che Pareto definiva come azioni logiche rivela ancora una volta, in questo discorso di Beckert, la chiarezza e la lungimiranza del ragionamento Paretiano, inoltre proveniente, per l’appunto, dal mondo economico.  La reazione di netto rifiuto, o meglio, di netto abbandono delle discipline economiche può far pensare esattamente alla consapevolezza di Pareto riguardo a quanto il mondo economico fosse in grado di inventare storie apparentemente razionali per modificare il modo di riflettere sulla realtà influenzando così le scelte economiche delle popolazioni. L’aspettativa è l’elemento dominante che determina la scelta degli individui, ma non c'è aspettativa senza narrazione, il che implica che le aspettative si colleghino al fenomeno sociale del narrare, alla capacità di collegare e anticipare, come definisce Beckert, i movimenti futuri del mercato, ma ancor più della popolazione che lo determina. All’interno di questo quadro, non va dimenticato che come dicono i sociologi dello storytelling - c'è anche il fatto che le narrazioni assumono significato nel quadro di un contesto narrativo ampio, all’interno di una capacità di immaginare o di far immaginare per utopie, mondi diversi, grandi progetti. Gli esiti delle narrazioni seguono delle regole, e solo attraverso il rispetto di queste regole si possono produrre effetti attraverso la narrazione. Ma esiste nella società contemporanea ancora una possibilità di creare utopie? Per Pareto la questione era diversa, egli scorge chiaramente innanzitutto lo scarto tra la realtà degli effetti, o dei fatti, e la realtà di ciò che si dice su di essa. In questo caso, l’economia contemporanea ha fatto un ulteriore passo, utilizzare la mistificazione dei fatti, che viene definita previsione come atto creativo che a sua volta genera un senso di realtà: negozia il contratto sociale trasgredendo le regole della narrazione dei fatti, non corrompendo veramente la realtà.  In questo modo, attraverso la narrazione “creativa” della realtà si può anche arrivare a modificare o influenzare le decisioni e le aspettative della popolazione. Ma con quali risultati? Sicuramente istaurando progressivamente a livello sociale ampio una relazione incerta con i termini della realtà. Ingenerando un effetto di realtà distorta che si può estendere anche ad altri livelli del vivere collettivo.

     

    In certo modo ogni società incontra le sue specifiche sfide, i suoi lati deboli e la sociologia non può che cercare di cogliere il come dei processi in atto, e non il perché come dice Pareto. Il perché è una domanda esistenziale, il come è una domanda “scientifica”, l’una cerca le basi ontologiche del fenomeno, l’altra si accontenta di registrarne i processi e le relazioni tra essi, dandone conto attraverso verifiche empiriche e teorizzazioni. In questo senso il potere oggi sembra essere esercitato influenzando la percezione del futuro economico e delle aspettative da essa generate. In altre parole, la distinzione tra azioni logiche e azioni non logiche è ancora oggi uno strumento valido nell’interpretazione della dinamica sociale ed economica, in quanto l’origine della formazione delle azioni risiede nel modo in cui le azioni stesse vengono percepite, ma anche elaborate.

     

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    Note

    [1] Cfr. Veca S., Nella penombra delle utilità. Pareto dall’economia alla sociologia, in Manca G., a cura di, “Vilfredo Pareto (1848-1923). L’uomo e lo scienziato”, Libri Scheiwiller, Banca Popolare di Sondrio, Milano, p. 194-6.

    [2] Ibidem.

    [3] Ivi, p. 197.

    [4] Jens Beckert, 2016, Imagined Futures: Fictional Expectations and Capitalist Dynamics, Harvard University Press.



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