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  • Lo sguardo del sociologo abbraccia per com-prendere
    Studiosi italiani ricordano cent'anni dalla pubblicazione del Trattato di Sociologia Generale di Vilfredo Pareto
    Maria Caterina Federici (sous la direction de)

    M@gm@ vol.15 n.1 Janvier-Avril 2017





    DERIVAZIONI, RIPETIZIONE, MANIPOLAZIONE: NOTE SULLA RECEZIONE IMPLICITA DI VILFREDO PARETO NEGLI STATI UNITI

    Angela Maria Zocchi

    amzocchi@unite.it
    Professore associato di Sociologia generale all’Università di Teramo.


    Ritratto fotografico di Vilfredo Pareto - Prima anni del '900 Wikipedia

    Premessa

     

    Parlare di Pareto, oggi, significa occuparsi di un classico della sociologia che è stato oggetto di una ricezione/recezione discontinua, non solo in Europa ma anche, forse soprattutto, in America. Se negli anni Venti James Harvey Robinson scriveva che la teoria dei residui e delle derivazioni di Pareto si poteva annoverare tra le grandi scoperte scientifiche, è anche vero che la figura di Pareto ha suscitato riserve e perplessità, e che i suoi meriti «furono riconosciuti soltanto dieci anni dopo la sua morte, e per di più in America» (Coser [1977] 1983, p. 582), in particolare ad Harvard (Femia, Marshall 2012). Si pensi ad esempio a Parsons, che negli anni Trenta, ne La struttura dell’azione sociale, richiama ampiamente Pareto (Parsons [1937] 1968), o anche a Merton, il quale, sebbene non sia stato mai molto attratto dalle analisi paretiane (cfr. Coser 1975, p. 96; Coser [1977] 1983, p. 585), nell’intervista rilasciata ad Anna Di Lellio ha ricordato il grande interesse con il quale seguì i seminari di Henderson su Pareto (cfr. Di Lellio 1985, p. 17). E in effetti, negli anni Trenta gli Stati Uniti sono stati estremamente recettivi nei confronti dell’opera di Pareto. Successivamente, però, questo interesse si è fortemente ridimensionato, per poi riaccendersi negli anni Cinquanta e Sessanta, non solo in America ma anche in Europa, come testimoniato, fra l’altro, dall’attenzione riservata a Pareto da Raymond Aron ([1967] 1989). Una ricezione/recezione discontinua, quindi, che ha caratterizzato anche i decenni successivi e il nuovo millennio (cfr. Federici 1991, 1999, 2016), con studi che hanno cercato di rispondere anche a un inquietante interrogativo (cfr. Cirillo 1983; Femia e Marshall 2012): se Pareto fosse vissuto più a lungo, si sarebbe opposto al fascismo?

     

    Ciò premesso, partendo dalla distinzione tra ricezione e recezione, il paper intende strutturare una riflessione sulla recezione di Pareto negli Stati Uniti. Non mi soffermerò, però, sulla recezione esplicita, ad esempio quella di Parsons o quella critica di Wright Mills, bensì su quella implicita considerando, in particolare, un interessante testo di un famoso linguista americano: La libertà di chi? di George Lakoff. Scopo del lavoro è mettere in luce la prossimità teorica tra la struttura argomentativa di questo testo sulla libertà e alcune parti del Trattato di Sociologia Generale di Vilfredo Pareto, che, nonostante si presenti all’apparenza «come un’immensa massa di fatti e di teorie, in un disordine formale notevole» (Bousquet 1954, p. XI), non smette di sorprendere il lettore per la sua attualità (cfr. Mongardini 2009) e per la lucidità con cui riesce a mettere a fuoco alcune fondamentali strategie di manipolazione.

     

    Ricezione e recezione: la recezione esplicita di Pareto negli Stati Uniti

     

    La nozione di recezione è stata introdotta da Filippo Barbano, nel 1987, al Convegno di Amalfi dedicato all’opera di Robert K. Merton. Lo stesso Barbano ricorda che «la cosa creò disagio e difficoltà specialmente all’atto della traduzione simultanea» perché in inglese «il termine réception era in uso solo nel ramo alberghiero» (Barbano 1989, p. 110). Barbano, invece, voleva operare una distinzione tra il processo informativo su un autore o un’opera (la ricezione) e l’effetto formativo di tale processo (la recezione), ovvero i risultati in termini di formazione intellettuale all’interno di un determinato contesto, anche in relazione alle traduzioni, ai commenti e al successo editoriale della produzione scientifica. In altri termini, la recezione come categoria euristico-interpretativa che sostituisce il criterio, essenzialmente retorico-letterario, della fortuna di un autore e delle sue opere.

     

    Ma quali studiosi si possono ricordare a proposito della recezione di Vilfredo Pareto negli Stati Uniti? Lewis Coser ne menziona diversi (cfr. Coser [1977] 1983, pp. 582-587): Arthur Livingstone, che è stato il curatore americano del Trattato di Sociologia generale; il biochimico e scienziato sociale Lawrence Henderson (1935), anche per i seminari su Pareto svolti ad Harvard; George Homans (1934) e Bernard De Voto, che apprezzarono soprattutto la teoria paretiana dell’azione non logica; Harold Lasswell (1936; 1950; 1952) il quale «rimase vicino a Pareto per tutta la sua carriera» (Coser [1977] 1983, p. 586);  Roethlisberger e Dickson (1939), autori dei noti studi di Hawthorne e, infine, Parsons e Wright Mills, che potremmo considerare come emblematici di due opposte recezioni: entusiastica (quella di Parsons) e critica (quella di Wright Mills). Il noto sociologo di Harvard, infatti, ne La struttura dell’azione sociale dedica ben tre capitoli a Pareto, dichiarando altresì di approvare tutti gli elementi essenziali della sua opera:

     

    «L’opera di Pareto non è una sintesi della teoria sociologica, nel senso d’un sistema perfetto: è l’opera d’un pioniere. Ma essa è sempre guidata dalla logica della teoria sistematica e giunge molto avanti nel processo di formazione d’un tale sistema. […] Inoltre, nessuno dei suoi elementi essenziali, sia sul piano metodologico che su quello teoretico, è dal punto di vista di questo studio da eliminare» (Parsons [1937] 1968, pp. 376-377).

     

    In particolare, Parsons è interessato al sistema teorico paretiano e al suo essere orientato verso una teoria volontaristica dell’azione: «[…] il pensiero di Pareto, che pure sembra presentare delle affinità con la posizione positivistica, si orienta invece verso una teoria volontaristica dell’azione» (ibi, p. 569). Se però ci spostiamo su Il sistema sociale (Parsons [1951] 1965), e consideriamo anche le successive opere parsonsiane, ci rendiamo conto che l’influenza di Pareto su Parsons diminuisce nel corso del tempo, mentre diventa rilevante quella di altri autori tra cui Freud, che «costituisce forse la maggiore influenza singola dietro le pagine del Social System» (Gallino 1965, p. XIV).

     

    Decisamente critica, invece, la recezione di Pareto ad opera di Wright Mills. Questi, infatti, pur riconoscendo in Pareto un classico della sociologia (cfr. Wright Mills [1960] 1963), ribalta l’idea paretiana della inevitabilità dell’élite, criticando la società americana: negli Stati Uniti – sostiene Wright Mills – l’autorità risiede nel popolo solo formalmente, mentre il potere effettivo è nelle mani di una élite composta da politici, industriali e militari (cfr. Wright Mills [1956] 1959). Proprio considerando la recezione di Wright Mills, si potrebbe dire che l’opera di Pareto ha prodotto anche effetti formativi inintenzionali, così come si è verificato per le teorie degli altri elitisti. Queste, infatti, non solo sono state superate da altre visioni – come emerge, ad esempio, dall’opera di Guglielmo Ferrero (cfr. Pacelli 1989, pp. 295-296) – ma sono diventate altresì strumento di critica politica. In altri termini, le teorie degli elitisti, nate con «il preciso intento di dimostrare l’impossibilità della democrazia», sono diventate «uno strumento critico nei confronti di una società non democratica storicamente determinata e considerata come storicamente trasformabile» (Izzo 1993, p. 231). Ovviamente, una teoria prima di essere criticata deve essere conosciuta e, significativamente, ne L’immaginazione sociologica,Wright Mills ammette che la sua analisi sull’élite non avrebbe potuto non tenere conto del lavoro di Pareto (cfr. Wright Mills [1959] 1962, p. 214).

     

    Non a caso, sempre negli anni Cinquanta, in un articolo sulla sociologia in Italia, pubblicato sulla prestigiosa rivista “American Sociological Review”, gli autori riconoscono esplicitamente il fondamentale apporto di Vilfredo Pareto scrivendo: «Almost all that passes for sociology in Italy today roots in Pareto and has extended its branches not far beyond the thinking of Croce» (Rapport, Cappannari, Moss 1957, p. 441). Successivamente, periodi di relativa indifferenza si sono alternati a riprese di interesse nei confronti di Pareto e, nel nuovo millennio, un volume di Franco Ferrarotti (2003), An Invitation to Classical Sociology: Meditations on Some Great Social Thinkers, ha riproposto Pareto proprio negli Stati Uniti.

     

    Dopo questa breve digressione sulla recezione esplicita di Pareto in America, è venuto il momento di soffermarsi sulla recezione implicita che, come già detto nella premessa, costituisce il focus specifico del presente lavoro. In particolare, vorrei proporre un confronto tra alcuni brani del Trattato di Sociologia generale e un testo molto più recente dal titolo La libertà di chi?, di un noto linguista americano: George Lakoff.

     

    La recezione implicita di Pareto negli Stati Uniti

     

    Innanzitutto, ci si potrebbe chiedere se la dimensione linguistica ha importanza nella struttura argomentativa del Trattato di Sociologia generale, senza dimenticare che, fin dalle origini, i sociologi si sono sempre interessati al linguaggio. Si pensi, ad esempio, al ruolo che il linguaggio assume nella statica sociale di Comte, oppure a Le regole del metodo sociologico in cui Durkheim scrive sul linguaggio come fatto sociale osservando che il sistema di segni di cui ci serviamo per esprimere il nostro pensiero esiste prima e fuori di noi ed è dotato di un «potere imperativo e coercitivo» (Durkheim [1895] 1970, p. 34).

     

    A Pareto, invece, non interessa richiamare l’attenzione sul potere coercitivo del linguaggio. Egli, infatti, dopo aver affermato che la sua formazione «non è meno meravigliosa delle azioni istintive degli insetti» e che «sarebbe assurdo pretendere che la teoria grammaticale abbia preceduto la pratica del linguaggio» (Pareto [1916] 1988, I, § 158, pp. 154-155), mette a fuoco il nesso con le azioni non logiche osservando che queste sono in parte manifestate proprio attraverso il linguaggio. L’importanza attribuita al linguaggio, funzionale alla teoria delle azioni non logiche, è poi rafforzata dalle considerazioni sul «potere occulto» delle parole (ibi, I, § 182, p. 182) e, soprattutto, dalle riflessioni sugli effetti della loro ripetizione contenute nel capitolo XI del Trattato di Sociologia generale. In questo capitolo, dedicato alle proprietà dei residui e delle derivazioni, Pareto scrive:

     

    «[…] la ripetizione, sia pure senza il menomo valore logico-sperimentale, vale più e meglio della migliore dimostrazione logico-sperimentale. Quella opera principalmente sui sentimenti, modifica i residui; questa opera sulla ragione, può, nella migliore ipotesi, modificare le derivazioni, ma ha poco effetto sui sentimenti» (ibi, III, § 1749, p. 1662).

     

    Egli, quindi, considera sia i contenuti, sia gli effetti della loro ripetizione, per poi metterne a fuoco l’uso politico-ideologico: la ripetizione come tecnica di costruzione del consenso. Con le parole di Pareto:

     

    «Quando un governo o qualche potenza finanziaria vogliono fare difendere un qualche provvedimento dai giornali che li secondano, è notevole che spesso, quasi sempre, i ragionamenti adoperati sono lungi dall’essere i migliori per dimostrare l’utilità del provvedimento; si usano generalmente le peggiori derivazioni verbali, di autorità, e simili. Ma ciò poco preme, anzi talvolta giova: occorre principalmente avere una derivazione semplice, che si possa capire da tutti anche dai più ignoranti, e ripeterla indefinitamente» (ibi, III, § 1749, pp. 1662-1663).

     

    In sintesi, Pareto si sofferma sulla ripetizione come tecnica di manipolazione, mettendo anche a fuoco l’importanza dell’uso di una derivazione semplice, che tutti possano capire.

     

    Consideriamo ora il testo sulla libertà di Lakoff. Significativamente, anche il noto linguista statunitense richiama l’attenzione sulla ripetizione come tecnica di manipolazione, parlando della libertà come concetto controverso. Lakoff sostiene, infatti, che questo termine-concetto è dotato di un nucleo incontestato, ovvero di un significato centrale su cui quasi tutti si trovano d’accordo, ma anche di molti «significati estesi praticamente opposti» (Lakoff [2006] 2007, p. 234). Gli aspetti controversi sono lasciati come spazi vuoti, che vengono poi riempiti da frame profondi e da metafore. Ad esempio, in una prospettiva conservatrice si parlerà di libertà di sbarazzarsi dei rifiuti buttandoli nei corsi d’acqua, oppure di «libertà di costruire ovunque: in terreni acquitrinosi, habitat delicati, su spiagge, sponde dei fiumi e terreni alluvionali» (ibi, p. 116). Al contrario, nell’ottica di una «libertà progressista», si parlerà, ad esempio, di libertà di godere della conservazione dei nostri corsi d’acqua e di libertà di avere un contatto con la natura (cfr. ibi, p. 119).

     

    Ciò premesso, Lakoff osserva che se la parola libertà viene ripetutamente associata a temi radicalmente conservatori, a lungo andare sarà molto probabilmente questo lo schema che si imprimerà nelle nostre menti, anche inconsapevolmente.

     

    In ultima analisi, quindi, la stessa idea formulata da Pareto nel Trattato di Sociologia generale la ritroviamo anche in Lakoff: «la ripetizione nel linguaggio ha il potere di cambiare il cervello» (ibi, p. xvi).

     

    Proseguendo nel confronto tra le tesi di Pareto e quelle del linguista statunitense, emerge un altro elemento comune: entrambi danno importanza all’inconscio. Lakoff ([2006] 2007) sostiene che la maggior parte del pensiero è inconscio; Pareto, nel secondo capitolo del Trattato di Sociologia generale, afferma che le azioni degli individui sono per lo più non logiche e che queste «hanno origine principalmente da un determinato stato psichico: sentimenti, subcoscienza, ecc.», che non rientra nelle competenze del sociologo (Pareto [1916] 1988, I, § 161, p. 160). Per di più, in Pareto, la considerazione dell’inconscio si unisce all’invito ad andare oltre le buone ragioni dell’attore e a risalire dalle derivazioni ai residui. Il che, secondo Alberto Izzo, rappresenta «l’inattuale attualità» di Pareto, in polemica con quelle «concezioni che muovono dalla negazione di ogni fattore inconscio e che riducono la razionalità a comprensibilità togliendo a tale concetto qualsiasi facoltà critica» (Izzo 1994, p. 114).

     

    Come noto, sarà Sigmund Freud (1856-1939) ad approfondire il ruolo dell’inconscio e a vivere l’ascesa dei totalitarismi, continuando a sperare anche quando il nazismo in Germania diventava sempre più minaccioso. In proposito Musatti, in una Introduzione alle opere di Freud, ricorda che questi «inviò a Mussolini un suo scritto (il carteggio con Einstein del 1932 Perché la guerra?) con una dedica lusinghiera: tale veramente che gli italiani di oggi, che il fascismo hanno provato sulla propria pelle, difficilmente potrebbero apprezzare. Ma Freud avrebbe fatto buon viso anche al diavolo, se questi gli avesse garantito la incolumità della sua amata e insieme odiata Vienna, e la difesa dal mostro nazista» (Musatti 2006, p. XII). Anche dopo l’invasione e l’annessione dell’Austria alla Germania, Freud propendeva per rimanere a Vienna e non fu facile convincerlo a trasferirsi all’estero. «Come sempre accade in simili evenienze, la morsa si stringe poco alla volta, e all’inizio nessuno riesce ad immaginarsi un quadro esatto di quello che sarà l’avvenire» (ibi, p. XX). Forse, anche Pareto, che muore poco tempo dopo l’ascesa di Mussolini al potere, non aveva l’esatta percezione di quello che stava accadendo. Inoltre, non si può dimenticare che egli, pur vedendo nel fascismo la possibilità di ristabilire l’ordine sociale, in un articolo dal titolo Libertà, pubblicato sulla rivista del partito fascista “Gerarchia”, sottolinea la necessità di salvaguardare un certo numero di libertà, tra cui quella di stampa e di insegnamento (cfr. Aron [1967] 1989, p. 433 nota).

     

    Ma torniamo al confronto tra Pareto e Lakoff. Come abbiamo visto, nel Trattato di Sociologia generale, si sostiene che l’uomo non è solo razionalità e che le azioni degli individui sono per lo più non logiche. In La libertà di chi? Lakoff sostiene una tesi analoga affermando che «la maggioranza del pensiero non segue le leggi della logica» (Lakoff [2006] 2007, p. XIX). Se è così, sorge però un interrogativo: perché nelle analisi scientifiche si tende a sottovalutare o addirittura ad ignorare la dimensione non-logica? Una risposta a questo interrogativo la troviamo già in Pareto il quale, polemizzando con l’orientamento sociologico prevalente, osserva che se si trascurano le azioni non-logiche è più semplice teorizzare:

     

    «Se supponiamo che certe azioni sono logiche, diventa molto più facile farne la teoria, che se le supponiamo non-logiche; poiché ognuno di noi ha nella propria mente lo strumento col quale si fanno le deduzioni logiche, e non gli occorre altro. Mentre invece, per le azioni non-logiche, si deve ricorrere all’osservazione di molti fatti, estendendo inoltre le ricerche nello spazio e nel tempo, stando in guardia per non essere indotti in errore da documenti imperfetti. Insomma è un lavoro lungo e difficile che deve compiere chi vuol fare una teoria, per trovare fuori di sé i materiali che la mente sua provvedeva a lui direttamente coll’aiuto solo della logica, nel caso delle azioni logiche» (Pareto [1916] 1988, I, § 262, p. 284).

     

    A questa osservazione segue, subito dopo, un interessante confronto tra economia politica e sociologia, che dà conto del presunto “ritardo” della sociologia rispetto all’economia: «Se l’economia politica è molto più progredita della sociologia ciò dipende, in gran parte, dal fatto che essa studia azioni logiche […]» (ibidem). Un’affermazione che si comprende ancora meglio se si considera che: Pareto è stato un economista; ha avuto un ruolo fondamentale nella creazione della Scuola delle scienze sociali all’Università di Losanna (cfr. Mornati 2003); ha abbandonato l’economia perché convinto che «non si può dare una spiegazione esauriente dell’attività umana in termini economici» (Izzo 1993, p. 220). Emblematica, in proposito, una lettera indirizzata a Maffeo Pantaleoni, datata 30 aprile 1896, nella quale Pareto scrive: «Mi persuado ogni giorno di più che non c’è studio più inutile di quello dell’Economia politica» (Pareto 1960, p. 442).

     

    Ciò premesso, vediamo ora quali sono le implicazioni della scelta intenzionale di prestare attenzione alla dimensione non-logica che, come ha precisato Pareto, non significa illogica. A questo interrogativo si può rispondere osservando che gli studiosi che condividono questa prospettiva ritengono che il nostro pensiero più che seguire le leggi della logica fa ricorso all’uso di metafore. Secondo Lakoff, ad esempio, «il pensiero metaforico è normale ed è costantemente utilizzato»; anzi «noi agiamo sulla base di tali metafore», le quali danno «origine a inferenze che non rientrano nelle regole della logica» (Lakoff [2006] 2007, p. xix).

     

    Se ci spostiamo sul Trattato di Sociologia generale, vediamo che un ampio spazio è dedicato proprio alle metafore le quali, nella costruzione teorica paretiana, rientrano nella quarta classe delle derivazioni costituita dalle prove verbali. E proprio le derivazioni costituiscono, secondo Pareto, «il linguaggio mediante il quale si giunge sino ai sentimenti degli uomini, e si può quindi modificarne l’attività» (Pareto [1916] 1988, III, § 1403, p. 1221).  L’uomo, cioè, non è solo razionalità; contano anche e soprattutto i sentimenti i quali, secondo Pareto, sono: sintetici, imprecisi, indefiniti e indeterminati; possono assumere caratteri estremi; essere ambivalenti e contraddittori e, soprattutto, non seguono i principi dimostrativi della scienza, bensì principi giustificativi e persuasivi (cfr. Cattarinussi 2000, p. 16; Maniscalco 1994, pp. 148-155). Con le parole di Pareto:

     

    «Quando si ragiona scientificamente, se si può dimostrare che la conclusione non segue logicamente dalle premesse, la conclusione cade. Invece nel ragionamento non-scientifico, se si distrugge una delle forme di derivazione, tosto ne sorge un’altra» (Pareto [1916] 1988, III, § 1416, p. 1228).

     

    Proprio perché la logica dei sentimenti è espressiva, persuasiva e giustificativa, essa trae linfa vitale dall’uso di parole ambigue, dai significati indeterminati. Secondo Pareto, infatti, una fondamentale strategia di manipolazione consiste nell’usare parole che evocano sentimenti gradevoli, ma non hanno significati precisi. Nel Trattato di sociologia generale si fa l’esempio della parola libertà utilizzando un’argomentazione che, per alcuni aspetti, ricorda quella di Lakoff precedentemente illustrata. Riassumiamola brevemente: secondo il noto linguista americano, la parola libertà è usata con significati non solo diversi ma addirittura opposti (cfr. Lakoff [2006] 2007). Ebbene, Pareto sostiene una tesi analoga richiamando l’attenzione sui significati multipli e talvolta contraddittori di questo termine circondato da un alone di indeterminatezza (cfr. Pareto [1916] 1988, III, § 1553, p. 1367) ma sempre comunque evocativo di sentimenti gradevoli, che sono quelli che generano persuasione:

     

    «[…] la sorte capitata al termine libertà è assai comica. In molti casi esso significa ora precisamente il contrario di ciò che significava cinquant’anni fa; ma i sentimenti che fa nascere rimangono gli stessi, e cioè esso indica uno stato di cose favorevole a chi ascolta» (ibi, § 1554, p. 1369).

     

    In conclusione, riannodando le fila del discorso finora svolto, dal confronto proposto mi sembra emerga chiaramente l’esistenza di una sostanziale e inaspettata convergenza tra alcune parti del Trattato di Sociologia generale di Vilfredo Pareto e la struttura argomentativa del testo sulla libertà di Lakoff ([2006] 2007). In particolare, sono emersi alcuni fondamentali punti di convergenza che forse è opportuno riassumere: la maggior parte del pensiero è inconscio e non segue le leggi della logica; il pensiero si avvale, di solito, di metafore; la ripetizione è una tecnica di manipolazione dagli effetti sicuramente persuasori e, infine, sia Pareto sia Lakoff concordano sulla ambiguità della parola libertà. Nonostante i diversi punti di convergenza, mi sembra, però, che Lakoff non faccia mai riferimento esplicito a Pareto, anche se comunque non disdegna l’apporto della sociologia: tra le letture consigliate per avvicinarsi alla letteratura sul tema della libertà figurano, infatti, alcuni classici quali Frame Analysis di Goffman (1974) e L’individuo e lo Stato di Spencer ([1884] 1886). In altri termini, ci troviamo di fronte ad un caso di ricezione implicita, in riferimento ad un contesto – quello americano – nel quale, come abbiamo visto, Pareto ha avuto un notevole seguito, nonostante la “moda paretiana” abbia conosciuto anche periodi di declino, come del resto tutte le mode.

     

    Ma qual è il senso del confronto qui proposto? Si potrebbe pensare all’adombramentismo, ossia alla «ricerca deliberata e coscienziosa di tutte le possibili versioni precedenti di una idea scientifica», ricerca che può avere diverse intenzionalità: ad esempio quella di dimostrare che «non vi è niente di realmente nuovo sotto il sole»; oppure quella di perseguire fedeltà sciovinistiche; o, ancora, quella di retrocedere gli studiosi contemporanei a favore degli “Antichi” (cfr. Merton [1968] 1992, pp. 40-41). Ebbene, nulla di tutto questo: il confronto proposto intende unicamente sottolineare l’attualità di alcune parti del Trattato di Sociologia generale, nonché la continuità di certe idee, in una logica cumulativa del pensiero scientifico (cfr. ibi, p. 49). I classici si caratterizzano proprio per la loro attualità e, aggiungerei, anche per il loro essere per così dire trasversali ad aree disciplinari diverse. E questo mi sembra sia proprio il caso di Vilfredo Pareto.

     

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