• Home
  • Revue M@gm@
  • Cahiers M@gm@
  • Portail Analyse Qualitative
  • Forum Analyse Qualitative
  • Advertising
  • Accès Réservé


  • Lo sguardo del sociologo abbraccia per com-prendere
    Studiosi italiani ricordano cent'anni dalla pubblicazione del Trattato di Sociologia Generale di Vilfredo Pareto
    Maria Caterina Federici (sous la direction de)

    M@gm@ vol.15 n.1 Janvier-Avril 2017





    I MITI DELLA MODERNITÀ E LA MODERNITÀ COME MITO NEL TRATTATO DI SOCIOLOGIA GENERALE DI VILFREDO PARETO

    Maria Luisa Maniscalco

    marialuisa.maniscalco@uniroma3.it
    Già professore ordinario di Sociologia generale all’Università Roma Tre.


    Ritratto di Vilfredo Pareto - Tullio Pericoli (2002)

    Introduzione

     

    Vilfredo Pareto è una figura chiave nelle scienze sociali i cui contributi hanno interessato diverse discipline dall’economia alla sociologia, alla scienza politica (Femia, Marshall, 2012). Attento e critico osservatore dei suoi tempi che leggeva alla luce di informazioni e dati provenienti da una pluralità eclettica di fonti – dai classici dell’antichità agli studi coevi, dai padri della Chiesa alle cronache dei giornali – si distinse per una originalità di analisi che rasenta la stravaganza. Pur debitore di una molteplicità di autori e teorie, nondimeno Pareto espresse una sua specificità componendo un mosaico articolato e coerente in cui i reciproci rimandi offrono ogni volta nuove visuali, si strutturano in griglie concettuali, in micro modelli e teorie di medio raggio ancora tutti da esplorare e sviluppare. Conscio della sua singolarità e del suo talento, si compiaceva della solitudine e coltivava la marginalità considerandole fondamentali per la libertà di pensiero e di espressione.

     

    Come sociologo si propose l’elaborazione di un’“altra sociologia” (Valade, 1990), concentrando la sua attenzione sia sulla parte costante dei fenomeni sociali, cioè sulla struttura interna delle condotte (le motivazioni irriflesse della vita sociale) sia su quella più mutevole, cioè sulle relative giustificazioni, sui principi costitutivi di una logica del “non logico”, dando rilevanza allo svelamento dei meccanismi compositi che producono gli universi simbolici della società.

     

    Secondo Pareto, all’osservazione immediata i fenomeni sociali si presentano in forme mutevoli, manifestate attraverso le rappresentazioni collettive, i costumi, le ideologie che sono la risultante di una trama di relazioni e di azioni. Queste ultime si suddividono in “azioni logiche” che sono «almeno per la parte principale, il risultato di un ragionamento» e in “azioni non logiche” che «hanno origine principalmente da un determinato stato psichico» (Pareto, 1916 § 161) che, per amore di brevità, egli stesso chiama in maniera intercambiabile “residui” o sentimenti.

     

    Definisce “logiche” le azioni che presentano un nesso coerente tra mezzi e fini sia dal punto di vista soggettivo dell’attore sia da un punto di vista oggettivo di un osservatore con una maggiore (scientifica) conoscenza. Le azioni “non logiche” sono semplicemente tutte quelle che non soddisfano le suddette condizioni; il che, secondo Pareto, non vuol dire che siano irrazionali (Pareto, 1916 § 150), ma che rispondono piuttosto ad altre logiche basate su principi espressivi, giustificativi, persuasivi e non dimostrativi come quelli della scienza. D’altronde, secondo Pareto, il pensiero razionale rappresenta un settore molto limitato nella vasta produzione delle idee; un’organizzazione sociale esclusivamente basata su esso è un’utopia in quanto «una società determinata esclusivamente dalla “ragione” non esiste e non può esistere» (Pareto, 1916 § 2143).

     

    Da una prospettiva di indagine così delineata oggetto di studio del sociologo sono sia la parte costante (residui) sia la parte variabile (derivazioni) dei fenomeni sociali. Sebbene la primazia euristica dei residui venga data per scontata, tuttavia lo studio della parte variabile (derivazioni) ha una sua significativa e autonoma valenza; gli uomini per vivere in società, interagire e comunicare hanno bisogno di dare un senso alle pulsioni emozionali, ai sentimenti, alle intenzioni e di esprimerli verbalmente in modo che appaiono ragionevoli e diventino a loro volta forze sociali convincendo e coinvolgendo gli altri. Lo studio paretiano delle derivazioni ha inoltre il pregio di offrire un crudo affresco dell’Europa dell’epoca e in particolare del nostro Paese, lottizzato dalle collusioni corporative, dal familismo e dal clientelismo, ferito dall’assenza di una cultura della legalità, fiaccato dal tralignamento dei meccanismi di mercato e dalla debolezza estrema del civismo e della cultura politica.

     

    Le riflessioni che seguono mirano ad esaminare la critica paretiana della moderna utopia circa la possibilità di una vita sociale completamente razionalizzata e il suo impegno nel dimostrare che il processo di secolarizzazione e di desacralizzazione della vita collettiva si fosse di fatto realizzato attraverso ideologie, credenze e miti radicati nelle stesse forze del profondo che hanno nutrito le religioni tradizionali e i culti dell’antichità, giungendo a mettere in dubbio non solo la superiorità razionale delle credenze della Modernità ma anche la loro stessa utilità sociale.

     

    La Modernità secondo Pareto

     

    La riflessione critica di Pareto sulle idee-forza della Modernità non ha costituito uno studio specifico, ma attraversa trasversalmente tutta la sua opera, affidandosi a trattazioni solo apparentemente incidentali. Da una parte si basa teoricamente sul rifiuto del dominio della ragione e sulla dicotomia tra “azioni logiche” e “azioni non logiche”, dall’altra si esprime descrittivamente attraverso l’analisi degli eventi e soprattutto del panorama ideologico del tempo, considerato come espressione storicamente determinata di un più generale e permanente bisogno di razionalizzare, di credere senza dimostrazioni scientifiche e di abbandonarsi ai miti.

     

    Dal punto vista delle scienze sociali la Modernità si è caratterizzata per la creazione, realizzata dalla filosofia illuminista, di centri unitari dell’esperienza – la Ragione, il Progresso, lo Stato, la Società, il Soggetto – il cui scopo primario era di stabilizzare il mondo sociale, di mantenerlo unito, di provvedere una mappa razionale della realtà, incardinata in precise coordinate di tempo e di spazio e in un rapporto ben definito con la tradizione e l’innovazione. Questo progetto non riguardava soltanto la sfera collettiva, ma anche quella individuale e le forme dell’esperienza del sé.

     

    Pareto è riuscito a cogliere a pieno la forza totalizzante insita nel progetto della Modernità che ha segnato una netta frattura con il passato, lacerando la continuità tra realtà e pensiero, nella quale fino ad allora aveva trovato dimora la teoria sociale. L’uscita dal passato mitico, che caratterizza la nascita della Modernità, è un’uscita irreversibile, che ha in sé qualcosa di tormentante che lascia solo l’uomo in compagnia dei suoi interrogativi e delle sue fragilità. Pur consapevole che, a livello di azione sociale, l’ideologia della modernità, ottimista e incentrata sull’idea di progresso, aveva offerto la spinta necessaria per lasciare senza rimpianti la tradizione e per supportare grandi trasformazioni, Pareto tuttavia ne coglie le contraddizioni e gli aspetti oscuri. Sottolinea il perdurare della superstizione e del disordine, la fuga dai processi di formalizzazione e di razionalizzazione della vita collettiva verso un agire improntato a nuove forme di irrazionalità e a nascenti mitologie.

     

    Notava che con l’avanzare della Modernità aumentavano le insoddisfazioni e le frustrazioni individuali e sociali e non si irrobustiva il nesso tra ragione e regole sociali. I grandi ideali dell’Ottocento erano stati disattesi, trasformati o capovolti: la democrazia aveva dato luogo al parlamentarismo e alla demagogia; il principio nazionale si era trasformato in un fanatismo nazionalistico fomentatore di conflitti; la libera concorrenza era stata sostituita dai monopoli e dall’intervento dello Stato. Le idee guida dell’emancipazione erano diventate mode ideologiche: l’esito della Modernità di fatto aveva condotto al fallimento del progetto di “liberazione” della società e degli uomini che al contrario si erano ritrovati schiavi di quella libertà che era stata annunciata come la loro.

     

    Di fronte all’impossibilità delle istituzioni di rispondere all’esigenza di separare il pubblico dal privato, le scelte razionali dai sentimenti, non solo era dubbioso sul trionfo della ragione, ma ne ammetteva francamente la debolezza. Era convinto, per esempio, che persino per le riforme istituzionali occorresse tener conto dei sentimenti e delle relative ragioni, cominciando con il “riformare” il carattere degli uomini: eventuali cambiamenti strutturali imposti dall’alto con diverse formule di “ingegneria politica” sarebbero approdati nel nulla. A suo avviso però, il carattere degli uomini può essere trasformato solo attraverso quelle che definiva in senso ampio “passioni religiose”, cioè tramite fattori non razionali, coadiuvati dall’opera potente di messa in discorso delle derivazioni in grado di esaltare e fortificare i sentimenti.

     

    Pareto era convinto che persino molti studiosi di scienze sociali non fossero immuni dallo “spirito del tempo” e introducessero nelle loro teorie elementi di distorsione derivanti da valori e aspettative. Così rimproverava al darwinismo sociale il fatto di ipotizzare funzioni arbitrarie per giustificare l’esistenza di determinate strutture sociali e al materialismo storico di mutare l’interdipendenza tra fattori economici e altri fattori in una relazione di causa ed effetto e di generalizzare la lotta di classe come chiave interpretativa di ogni aspetto del mutamento sociale. Agli autori “pacifisti” rivolgeva l’appunto di sostenere una tesi non scientificamente fondata secondo la quale, attraverso un processo di razionalizzazione crescente della vita collettiva e con il conseguente cambiamento delle disposizioni dei cittadini, il conflitto interno e la guerra tra gli Stati sarebbero stati sostituiti con strumenti di negoziazione pacifici. In particolar modo Pareto criticava Comte e il suo progetto di porre i fondamenti di una nuova morale positiva e di migliorare la società sulla base di una sociologia a suo dire “scientifica” che lo aveva indotto a studiare la società non per quello che è, ma per quello che dovrebbe essere.

     

    Ricostruendo l’analisi di Pareto sulla Modernità coma ideologia, si rintraccia un nucleo principale che si dirama in tante costellazioni; se volessimo usare la logica delle reti potremmo parlare di nodi-sorgente e di tanti altri nodi primari e secondari che formano una costellazione; sotto, a cascata, le forme della prassi sociale e della vita che ne derivano. Ci sono alcuni paragrafi del Trattato particolarmente indicativi di questa rappresentazione espressa attraverso l’immagine di un nuovo Pantheon; scrive ironicamente: «la religione del Progresso è politeista» e si fonda sulla Scienza che a sua volta «si circonda di divinità minori come sarebbero: la Democrazia, l’Umanitarismo, il Pacifismo, la Verità, la Giustizia e tutti gli enti che possono meritare l’epiteto di progressisti e che, come gli angeli della luce, si oppongono agli angeli delle tenebre, contrastano agli enti detti retrivi e, dalle insidie di questi demoni, difendono e salvano la misera umanità» (Pareto, 1916, §§1890, 1891).

     

    Pareto ricerca la spiegazione delle origini delle strutture ideologiche nel permanere di alcune condizioni e relazioni sociali che fanno nascere sentimenti e convinzioni a loro volta esteriorizzati e razionalizzati attraverso proiezioni concettuali che prendono forma di personificazioni o di astrazioni a seconda del tipo di cultura (Pareto, 1916 § 1932). Nel caso delle “divinità” del moderno Pantheon individua un aggregato di sentimenti formatisi a seguito di congiunture sociali ed economiche favorevoli: «dal mezzo del secolo XIX in poi, i popoli dell’Europa occidentale hanno veduto le loro condizioni di vita progressivamente migliorare, e tale miglioramento è stato in notevole modo maggiore sul finire del secolo XIX e sul principiare del secolo XX. Ciò ha generato un aggregato di sentimenti e di concetti gradevoli, i quali poi si sono cristallizzati intorno a noccioli che hanno avuto i nomi di Progresso e di Democrazia. Questi enti potenti e benefici sono dai nostri contemporanei considerati con sentimenti simili a quelli che  provavano gli avi per la potenza di Roma » (Pareto, 1916, § 1077).

     

    Delle trasformazioni sociali occorse inizialmente erano stati percepiti solo gli aspetti migliorativi, facilitando la formazione di crescenti aspettative positive circa un futuro infinitamente perfettibile e trasformando il mutamento in un concetto-valore, cioè in un’idea guida. Di qui l’emergere di un’acritica passione per l’innovazione e per il cambiamento fine a se stesso che sfociava nel disprezzo verso il passato e nell’avversione per tutto ciò che era consolidato e tramandato nelle istituzioni e nella memoria collettiva. Afferma con la consueta ironia: «nel passato stavano miseria, ignoranza, pregiudizi; nel futuro prosperità, sapere, opere razionali; una nuova religione affascinava le menti umane, e la santa Scienza respingeva nei baratri infernali le azioni non-logiche, lasciando solo sede nell’Olimpo alla logica ed alla santissima Ragione» (Pareto, 1916 § 2016).

     

    Per Pareto però una società non si tiene che attraverso i sentimenti che mobilita e per mezzo della morale che elabora, delle illusioni e dei miti che distribuisce. Lo svelamento dei meccanismi sottesi ai nuovi miti e alle nuove “religioni” e dei processi che si attivavano sotto la pressione dei sentimenti ad essi legati costituì per lui una sfida teorica e un impegno intellettuale a cui non si sottrasse mai.

     

    La teoria delle derivazioni

     

    La critica paretiana della Modernità e dei suoi miti va collocata all’interno dell’ampia trattazione sulle derivazioni e della grande tematica del “non-logico” che riguardano non solo il sistema delle azioni sociali, ma l’insieme del complesso simbolico-cognitivo e l’organizzazione delle collettività.

     

    Pareto racchiude nel termine derivazione le modalità di manifestazione delle versioni soggettive che i singoli danno degli eventi, i sistemi di credenze, le ideologie, le cosmogonie, in sintesi tutta la produzione ideazionale e ideologica. Derivazione quindi è ogni mascheramento pseudo-logico, ogni razionalizzazione a posteriori degli impulsi primari che inducono ad agire come pure ogni elaborazione ideologica finalisticamente orientata.

     

    La ragion d’essere delle derivazioni risiede nel fatto che la vita sociale necessita di una continua produzione di senso, dal momento che il “non logico” delle istanze più intime e più profonde deve essere razionalizzato per divenire linguaggio comune ed energia sociale. L’uomo per Pareto, come già per Machiavelli, vive di realtà come di immaginazione; ma un’ideologia, una visione del mondo, una fede, un’idea possono circolare, confrontarsi e far veicolare i loro messaggi solo se sistematizzate e razionalizzate, solo se dotate, nei termini dell’autore, di quella vernice logica in sintonia con la cultura del tempo che solo le derivazioni sono in grado di assicurare con la loro duttilità ad assumere diverse modalità comunicative. Le derivazioni infatti possono essere argomentative, espressive, persuasive, dissimulative; possono cioè tendere a spiegare, a interpretare, a manifestare uno stato emotivo, a mettere in atto un’azione di persuasione e, infine, a mascherare il fine perseguito. I diversi registri retorici con cui si manifesta la loro azione possono escludersi reciprocamente, ma possono anche agire contemporaneamente o in sinergia.

     

    Pur non rispondendo agli standard del pensiero scientifico, nondimeno le derivazioni seguono procedimenti logici e mettono in atto processi e meccanismi che il sociologo può indagare. Più che razionalmente rigorose, le derivazioni sono per lo più plausibili: esse rappresentano un linguaggio, fortemente connotato in maniera emozionale, che permette e facilita la comunicazione intersoggettiva. Il loro legame con i sentimenti è profondo e articolato in più direzioni; quanto più forti sono i sentimenti alla base dell’azione, in special modo collettiva, tanto più imponente diventa la produzione ideologica di supporto. Non solo; Pareto sostiene che l’accettazione e l’efficacia di una teoria non dipendono dal fatto che essa sia rispondente a criteri di verifica scientifica, ma piuttosto dal suo essere più o meno in sintonia con i sentimenti/residui prevalenti nella collettività in un dato momento storico. In tutta la sua produzione scientifica si dilunga sulle verificazioni del legame tra sentimenti e adesione ideologica con riguardo anche alla dinamica del mutamento sociale, come quando, per esempio, illustra il transito dalle convinzioni pacifiste al nazionalismo bellicista avvenuto in Europa a ridosso della Grande Guerra (Maniscalco, 2013).

     

    Pareto analizza la logica dei sentimenti nel loro seguire attraverso le derivazioni principi espressivi, giustificativi e persuasivi e non dimostrativi come quelli della scienza e ne rintraccia, come si è detto, l’efficacia in meccanismi retorici che fanno leva sulle emozioni (Pareto, 1916 §1397). Questi meccanismi si giovano di contesti in cui domina l’indeterminatezza concettuale e terminologica, purché le parole siano in grado di evocare sentimenti piacevoli. Pareto richiama la «semplice musica di vocaboli» (Pareto, 1916 § 1686), rifacendosi più o meno consciamente alla capacità della musica di “parlare” il linguaggio delle emozioni.

     

    A Pareto appariva chiaro il legame tra le derivazioni e i processi di finalizzazione collettiva; le derivazioni sostengono e rinforzano l’agire, offrendo fondamento ai giudizi di valore relativi agli scopi dell’agire; esse sono il prodotto dell’esperienza concreta grazie alla mediazione di tecniche argomentative e forniscono i percorsi che rendono agevoli l’integrità e il ristabilimento di un insieme sociale. Nello stesso tempo producono argomentazioni in grado di chiarificare le motivazioni degli attori. Legittimando sia i fini sia i mezzi, integrando e sistematizzando le lacune dei nostri saperi e delle conoscenze, le derivazioni assicurano un’apparente forma di verità ai valori, alle credenze e alle convinzioni degli attori sociali; esse rappresentano i saperi dichiarativi e procedurali che ne anticipano e ne prescrivono le azioni.

     

    Pur individuandone puntigliosamente la fallacia logica, Pareto tiene in gran conto le derivazioni, visto che gli era ben chiaro come il pensiero scientifico non sia in grado di individuare e di determinare gli scopi dell’azione. Gli uomini però non possono agire senza porsi dei fini che vengono spesso formulati con procedimenti diversi da quelli scientifici; l’agire per esempio può essere posto al servizio di fini non empirici, ma puramente simbolici. Pareto differenzia i “fini reali” che appartengono alla sfera dell’osservazione e dell’esperienza da quelli “ideali”; questi ultimi rispondono a logiche “altre”, cioè a quelle dei residui e delle derivazioni che sono forze socializzanti e facilitano l’adesione dei singoli ai processi di finalizzazione collettiva, assicurando in tal modo la realizzazione del bene comune.

     

    Così agendo, le diverse ideologie, credenze, cosmogonie agevolano l’aggregazione in gruppi svolgendo una funzione di saldatura, apparentemente logica, tra interesse individuale e istinto sociale. Da un lato facilitano la proiezione degli impulsi, delle esigenze e dei bisogni individuali sulla collettività e li trasformano in ideali, processo questo ritenuto di fondamentale importanza per comprendere molte dinamiche sociali dal momento che «il maggior numero degli uomini desiderano conciliare il proprio vantaggio con i residui della socialità, conseguire il proprio bene e parere fare l’altrui, coprire l’egoismo con il manto della religione, dell’etica e del patriottismo, dell’umanitarismo, della fedeltà al partito, ecc., tendere a soddisfazioni materiali ed avere sembiante di ricercarne solo di ideali» (Pareto, 1916 § 1884). Dall’altro però attraverso la produzione ideologica i residui della socialità possono venire esaltati e facilitare la recezione dell’utilità collettiva in un procedere in cui è possibile l’intuizione della società nel suo insieme e il conseguente trascendimento dei fini particolaristici unitamente alla consapevolezza dei possibili benefici indiretti che ciascuno può ricevere quale membro di una collettività.

     

    Un esempio è rintracciabile nelle dinamiche generate dalla differenza teorizzata da Pareto tra l’“utilità per la collettività” e l’“utilità della collettività”. Semplificando e sintetizzando posizioni piuttosto complesse è possibile sostenere che nel caso dell’“utilità della collettività” la società è considerata come un’unità i cui fini prevalgono su quelli individuali, mentre nel caso dell’“utilità per la collettività” le utilità dei cittadini, presi singolarmente, prevalgono. I due relativi “massimi” però raramente coincidono; Pareto richiama l’espansione demografica e il diverso modo di concepire l’optimum della popolazione a seconda che si ponga l’attenzione alla potenza politica e militare o al benessere dei cittadini (Pareto, 1916 § 2134) e, sostiene, solo le derivazioni permettono il passaggio dall’una all’altra forma di utilità collettiva.

     

    I miti della Modernità: Progresso, Scienza e Umanitarismo

     

    Studiando il panorama ideologico del tempo con l’ausilio della sua teoria sociologica sulle derivazioni Pareto giunse ad affermare che il processo di razionalizzazione sociale e di secolarizzazione della cultura era solo apparente. La profanazione di un sistema di valori e di credenze era stato rimpiazzato dalla sacralizzazione di un altro: «chi cessa di adorare le reliquie dei santi, passa ad adorare la solidarietà; chi rifugge dalla teologia della chiesa romana, si volge alla teologia modernista, che dice più “scientifica”» (Pareto, 1916 §§1086). Secondo Pareto, la Ragione, il Progresso, la Scienza, la Democrazia, la Solidarietà e l’Umanitarismo sono stati concettualizzati e percepiti come nuove divinità e come potenti entità che «procacciano il bene dell’uman genere» (Pareto, 1916 §1511).

     

    Le nuove “religioni” sono prive di divinità in senso tradizionale perché sono religioni metafisiche. Per il fatto di scaturire da entità astratte che si presumono generate dalla Ragione, quale patrimonio umano comune, tendono ad apparire meno estranee all’individuo e la loro autorità meno costrittiva; hanno perciò molta presa sull’uomo contemporaneo desideroso di emanciparsi da ogni autorità tradizionale. Nei termini paretiani, sono quindi efficaci, in quanto in sintonia con sentimenti potenti e diffusi nella popolazione.

     

    Pareto notava però che, per quanto percepite come meno costrittive, le divinità metafisiche della cultura moderna, come ogni tipo di divinità, erano di fatto intolleranti nei confronti di ogni deviazione o scostamento dai propri dettati. Le pressioni sociali alla conformità erano potenti nelle società moderne come nelle antiche; anzi, a suo avviso, tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento le tendenze all’omogeneizzazione culturale stavano attraversando una fase ascendente. Lo stesso processo di razionalizzazione scientifica si era mutato in un moto dell’anima, sostituendo ai pregiudizi, ai miti, alle teologie di un tempo nuovi pregiudizi, nuovi miti, nuove teologie. Un paragrafo del Trattato ben illustra il suo pensiero in proposito: «il libero pensatore moderno impone, in nome della dea Scienza, una morale poco diversa di quella che il dio degli Israeliti diede al suo popolo, o di quella che dal suo dio ebbe il popolo cristiano, o di quella che, dagli dei, o dai legislatori divini o leggendari, ebbero parecchi popoli dell’antichità. E neppure le derivazioni colle quali si giustifica il carattere imperativo ed assoluto di tutte queste morali variano molto». Anche in fenomeni assai meno importanti riscontrava simili uniformità. Ricordava, per esempio, che gli ammalati che nell’antichità, per risanare, visitavano i templi di Esculapio, erano stati sostituiti «nel Medioevo, dai fedeli che chiedevano la salute ai santi e ne visitavano i luoghi sacri e le reliquie, ed ora hanno i loro discendenti nei fedeli che si recano a Lourdes o tra i seguaci della Christian Science» (Pareto, 1916 §1695).

     

    Pareto lamentava che la stessa scienza in luogo di aumentare il pensiero critico e atteggiamenti cauti e riflessivi si era trasformata in scientismo cioè in ideologia talvolta settaria (Maniscalco, 2003). Nel suo lessico, «la sacrosanta Scienza, la quale niente ha a che fare colla scienza logico-sperimentale» (Pareto, 1916 §1217), è da distinguersi dallo studio scientifico della realtà. Quest’ultimo sviluppa ipotesi e analizza relazioni, mantenendosi sul piano probabilistico e dell’incertezza, mentre la prima è costituita da un’entità metafisica che di scienza ha solamente il nome, rappresentando una sorta di nuova divinità che, in quanto tale, impone un canone vincolante nell’interpretazione della realtà e dell’esperienza. Pareto ne scrive il nome in corsivo e con l’iniziale maiuscola (come per le altre manifestazioni dell’ideologia della Modernità) e accompagna il termine con aggettivi che ironicamente sottolineano il processo di sacralizzazione e di personalizzazione a cui l’idea stessa di scienza è stata sottoposta: le conoscenze scientifiche non vengono comunicate per mezzo di dimostrazioni e di prove, ma enunciate attraverso il principio di autorità. La scienza si è così risolta in un insieme di nozioni che, in luogo di moltiplicare i dubbi e le curiosità, generano potere, impongono certezze, offrono rassicurazioni, a testimonianza di come il primario bisogno i sicurezza e di controllo della realtà pieghi alle sue esigenze l’atteggiamento scientifico, invertendone la caratteristica di frontiera sull’ignoto in quella di fonte di verità assoluta.

     

    Ciò spiega la diffusa domanda sociale e l’elevato prestigio di alcune discipline; è il caso della medicina che sembra offrire protezione dagli eterni timori della malattia e della morte. Pareto coglie con la consueta dissacrante acutezza nell’enfasi moderna sull’arte medica l’impronta di una cultura che, tesa a strutturare il mondo attraverso il dominio, non tollera l’idea della fragilità e precarietà umana. Dietro la moderna adorazione per la medicina e dietro l’atteggiamento attivo-secolare nei confronti della malattia si nasconde a suo parere un più che tradizionale rapporto di dominio tra fedeli e “chiesa”. I primi cercano la salvezza, la seconda è pronta ad elargirla non solo a chi la richiede espressamente, ma anche a chi tende a sottrarsi. La moderna medicina, come ogni chiesa, possiede una spinta universalizzante e una vocazione ecumenica: «il prete, conoscendo l’assoluto, lo voleva imporre; molti fra i dottori nostri, non ostante le continue smentite dell’esperienza, si figurano che la loro scienza sia giunta ad una certezza da cui è ben lungi e vogliono imporre alle popolazioni renitenti il presuntuoso loro volere di oggi, che non è quello di ieri, che non sarà quello di domani» (Pareto, 1916 § 1697). La scienza tende ad assorbire le funzioni della politica e della religione proponendosi alla guida della vita degli individui e della società.

     

    Mentre alcuni affermano che «tutto ciò che non è scienza non può essere utile» (Pareto, 1916 §354), Pareto, sostenitore dell’utilità possibile delle teorie non logico-sperimentali, intende dimostrare che tale asserzione non ha alcun fondamento scientifico. Non solo sostiene che «molte azioni assai importanti sono azioni non-logiche» (Pareto, 1916 §355), ma ritiene che le scoperte scientifiche di per sé non sono sempre socialmente utili. La logica profonda dell’essenza della vita – che non potrebbe mai essere surrogata dalla riflessione scientifica – ha reso la tendenza al panscientismo una forma di sacralizzazione della scienza stessa. La conoscenza scientifica può sostituirsi all’etica, al culto, all’azione, all’impulso, solo alienandosi da se stessa, tramutandosi a sua volta in morale, religione, ideologia, mito. Ma mentre i precetti delle religioni tradizionali avevano un’intensa sacralità, questa si depotenzia con le morali laiche. L’esempio più indicativo è, secondo Pareto, il significato della reazione alle buone o alle cattive azioni. «Nella forma religiosa, si sa il perché gastigo e premio seguono necessariamente l’opera, ossia ciò accade pel volere di una divinità» (Pareto, 1916 §§1938), mentre la morale laica, come complesso di norme dotate di capacità applicative, è sicuramente più debole, più soggetta ad interpretazioni e a compromessi.

     

    Per questo, mentre rispetta le antiche religioni, Pareto ironizza di frequente su quelle “umanitarie”, del Progresso, della Scienza soprattutto perché esse vengono presentate per quello che in realtà non sono. Razionalizzando, procedendo per mezzo di sofisticate elucubrazioni, le religioni metafisiche non presentano, a suo parere, alcuna utilità sociale, ma al contrario operano una lenta erosione dell’energia propulsiva dei sentimenti che sono alla base del legame sociale. Infatti, se è vero che «senza morali né religioni nessuna società può sussistere e che l’affievolirsi di queste forze coincide, di solito, colla decadenza della società» (Pareto, 1916 § 1932) è altrettanto vero che le espressioni della morale e della religiosità non sono tutte uguali.

     

    Tra le religioni “laiche” che Pareto osservava diffondersi, una in particolare attirava il suo irritato interesse: l’Umanitarismo. In esso vedeva l’espressione ideologica più significativa della decadenza della borghesia, della sua incapacità di difendere il tipo di società che pure aveva così tanto contribuito a edificare. L’Umanitarismo, secondo Pareto, trovava la propria forza propulsiva in alcune espressioni particolari dei residui della IV classe (“residui in relazione alla socialità”) e in specie in alcune sottocategorie di essi (“pietà di sé riflessa sugli altri e ripugnanza ragionata per le sofferenze”) o più genericamente in un nucleo di «sentimenti di benevolenza e di amore per gli altri uomini» unitamente, ai sensi di repulsione e di paura per le sofferenze proprie e altrui (Pareto, 1916 §§ 1139, 1142, 1143)  che testimoniano l’esasperazione del processo di identificazione con gli altri sui quali si proietta un’immagine di sé. Ciò porta a scusare, a giustificare i singoli per proiettarne le colpe su un’entità astratta: la Società. «Gente che si sente infelice, che è inclinata ad accusare dei suoi mali l’ambiente in cui vive, la società, si sente tratta a ben volere tutti coloro che soffrono. Non è un ragionamento logico, bensì un seguito di sensazioni … ecco all’incirca il ragionamento che corrisponde a tali sensazioni: “Io sono infelice, è colpa della società. Il tale è  infelice, quindi deve essere pure colpa della società; siamo compagni di sventura, e pel compagno ho l’indulgenza che avrei per me stesso: egli mi muove a pietà”» (Pareto, 1916 § 1138).

     

    L’Umanitarismo, trasformato in valore assoluto, minava le basi dello stato di diritto, influenzando lo stesso apparato giudiziario. Pareto mostrava notevole interesse per le vicende processuali (civili e penali) del suo tempo, lamentando una sorta di degenerazione che passando dall’opinione pubblica giungeva ad influenzare i giudici e così alterava, fino a farla venir meno, la concezione stessa di responsabilità individuale. Nel Trattato, come nella corrispondenza privata, sottolinea in diversi passaggi la tendenza a deresponsabilizzare i colpevoli, minimizzando i danni e attribuendo la “colpa” alle condizioni sociali (per esempio, Pareto, 1916 §§70-71-1133; Pareto, 1965, vol III: 29-30).

     

    Conclusioni

     

    Come si è visto Pareto era ben consapevole che non è possibile eliminare la componente mitica e ideale dall’orizzonte collettivo, tant’è che nelle società con l’avanzare di processi di desacralizzazione emergono spinte contrarie in direzione della sacralizzazione di nuovi “oggetti” di amore collettivo. Elaborò così una sociologia attenta agli aspetti nascosti della realtà sociale e ai suoi fondamenti sotterranei che è riuscita a cogliere i mutamenti in atto nelle società europee e l’alterarsi dell’equilibrio sociale verso nuove configurazioni.

     

    Secondo Pareto, le ideologie della Modernità che avevano distorto, esasperandoli, i grandi temi ottocenteschi erano indicatori importanti di mutamenti in atto. Esse si presentavano dal punto di vista dell’utilità sociale di poca rilevanza quando non producevano effetti contrari provocando lacerazioni nel tessuto sociale attraverso la razionalizzazione dell’immaginario collettivo e con la sostituzione dei valori della tradizione con potenze impersonali. Pareto prefigurava il muoversi delle società europee verso nuove forme ideologiche prodromiche dell’emergere di nuove élites (Maniscalco, 1994).

     

    Un lessico di stampo ottocentesco e un’ironia talvolta sprezzante e spesso irritante hanno reso l’eredità di Pareto difficile da far fruttificare. Come sostiene Giovanni Busino, curatore dell’opera omnia, la sociologia contemporanea non ha sviluppato ricerche significative sulle credenze socialmente utili, sulla loro efficacia pratica, sulle conseguenze logiche dei ragionamenti non logici, sulla portata della ragione nella produzione di effetti storici (Busino, 1999, p. 379), mentre Pareto su queste tematiche ci consegna una teoria complessa che merita di essere approfondita e rivalutata. Infatti, sempre con le parole di Busino, Pareto ci aiuta «a scoprire le logiche brute, quelle dei sentimenti, le logiche argomentative, quelle che governano le condotte umane, i modi di produzione dei saperi pratici, i meccanismi delle azioni umane. Ci fornisce gli strumenti per comprendere il perché la razionalità dell’azione e della decisione non va confusa con quella della spiegazione, dei saperi cognitivi, e la pratica colla teoria. Ed è così che egli dà altresì dignità di scienza alle discipline che studiano l’uomo e la società, alle scienze umane e sociali» (Busino, 2010, p. 117).

     

    Bibliografia

     

    Busino G. (1999), “L’actualité des travaux de Vilfredo Pareto”, in Revue européenne des sciences sociales, XXXVII, n.116.

    Busino G. (2010), “Pareto oggi”, in Revue Européenne de Sciences Sociales, XLVIII, n. 146.

    Femia J. V., Marshall  A. J. (2012) (eds), Vilfredo Pareto. Beyond Disciplinary Boundary, Farnham (Surrey, UK), Ashgate.

    Maniscalco M. L. (1994), La sociologia di Vilfredo Pareto e il senso della modernità, Milano, Franco Angeli.

    Maniscalco M. L. (2003), “La démocratie, ses transformations et l’esprit de secte dans la pensée de Pareto”, in Cherkaoui M. (dir.) Histoire et théorie des sciences sociales. Mélanges en l’honneur de Giovanni Busino, Genève-Paris, Droz.

    Maniscalco M. L. (2013) Europa, nazionalismi, guerra. Sociologie a confronto tra Otto e Novecento, Roma, Armando Editore.

    Pareto V. (1916), Trattato di sociologia generale, Firenze, Barbera.

    Pareto V. (1962), Lettere a Maffeo Pantaleoni (G. De Rosa a cura), Roma, ed. di Storia e Letteratura, 3 voll.

    Valade B. (1990), Pareto. La naissance d’une autre sociologie, Paris, PUF.


    Collection Cahiers M@GM@


    Volumes publiés

    www.quaderni.analisiqualitativa.com

    DOAJ Content


    M@gm@ ISSN 1721-9809
    Indexed in DOAJ since 2002

    Directory of Open Access Journals »



    newsletter subscription

    www.analisiqualitativa.com