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  • Sociologia degli spazi e dei legami sociali
    Orazio Maria Valastro (a cura di)

    M@gm@ vol.12 n.2 Maggio-Agosto 2014

    AREE DI CONFINE: PER UNA NUOVA CONCETTUALIZZAZIONE SOCIOLOGICA DEGLI SPAZI E DEI TEMPI NELLE RELAZIONI SOCIALI


    Mauro Antonio Fabiano

    mauroantoniofabiano@gmail.com
    Docente di Sociologia, Università Degli Studi di Roma La Sapienza.

    Nelle scienze sociali, e forse sarebbe meglio dire nei saperi sociali [1], i concetti teorici assumono valore rilevante, in ogni tipo di indagine, quando essi vengono messi direttamente in relazione sia ad altri concetti, sia alla concretezza del reale, al fine di condurci alla descrizione, alla comprensione ed alla spiegazione [2] di ciò che il ricercatore decide di sottoporre ad esame, cioè l’oggetto d’indagine all’interno di un contesto situazionale, localmente individuabile e temporalmente definibile. Questa condizione d’essere dei concetti, in questo specifico campo scientifico, e forse anche in quello delle cosiddette scienze “hard”, fa sì che essi assumano caratterizzazioni sempre più complesse ed elastiche, in relazione a come si vuole usarli e ai tipi di indagine che si vuole intraprendere. Al riguardo, basta notare come storicamente siano cambiati nel tempo concetti fondamentali come società, classe sociale, azione ecc. per rendersene immediatamente conto. Uno di questi concetti che, specialmente negli ultimi anni del secolo scorso e agli inizi di questo, ha subito, e continua a subire, mutamenti e sempre più diramazioni teoriche è quello di confine, declinabile anche come limite o frontiera, che peraltro, se si guarda in modo storico ed analitico, ha sempre avuto una sua variabilità, in diretta relazione col modo di essere e di pensare (Lamont, Molnár, 2002).

    1. Cos’è il confine

    Per immediatamente visualizzare mentalmente cosa sia un confine basta avere presente la separazione esistente fra stati e nazioni diverse, ma vicine. Questa visione geografica ci fa percepire delle differenze empiricamente rilevabili fra due territori, ma anche due popolazioni, che si presumono omogenee al loro interno, anche se di fatto potrebbero non esserlo, ma che comunque si differenziano fra loro (Anderson, O’Dowd, Wilson, eds., 2003). Se analizziamo questa separazione, immediatamente percepibile, possiamo notare la sua complessità intrinseca. In questo caso, di natura prettamente geografica, la separazione è apparente. Di fatto il confine non è altro che una manifestazione concreta di un essere mentale collettivo, definibile come popolazione, che decide, dopo una serie di complesse azioni, nate in base a certe idee di differenziazione, che possono andare dal conflitto, al compromesso, ecc., con altri esseri mentali collettivi, cioè altre popolazioni, limitrofe, di separarsi, costruendo una linea che li ponga ad una certa distanza sociale (Simmel, 1908) da sé. Ne deriva che il confine da concetto, per così dire, meramente geografico, diventa immediatamente concetto sociale, implicando un diretto riferimento all’essere umano. Come si vede, quindi, il confine si può legare concettualmente alla frontiera (Dijkink, 1996). Ma se ipotizziamo che la decisione di costruire un confine derivi non da un atto conflittuale e nemmeno da un compromesso fra due popolazioni, quanto invece da un atto unilaterale di un certo stato, di una certa società, per necessità difensive contro un qualcosa di “ignoto”, non rilevabile immediatamente, ma pensabile, ecco che ci troviamo di fronte al un altro tipo di separazione, che è stato ben descritto e spiegato, per esempio, nella letteratura in modo pregnante da Dino Buzzati (1945), nella sua opera “Il deserto dei tartari”, con tutte le possibili varianti psicologiche e sociologiche che comporta una situazione del genere.

    Un confine può essere costituito da una barriera naturale, come per esempio da monti o da fiumi, ma in questo caso esso può considerarsi anche un “luogo” di interscambio di merci, di persone, di culture, come ha messo in rilievo Claudio Magris (1986) in “Danubio[3]. Se, quindi, lo pensiamo e lo vediamo non solo dal punto di vista del suo significato geografico, il confine si dimostra essere un concetto polivaloriare, con una complessità intrinseca che rimanda alla complessità dell’essere umano.

    La polivalorialità di questo concetto diventa ancora più significativa se lo consideriamo come elemento costitutivo dell’essere umano, inteso come soggetto agente, che nasce, vive e muore in un contesto storico sociale e in un contesto spaziale determinati, i quali a loro volta possono variare. Possiamo immaginare un individuo quando nasce, all’interno di un territorio definito da confini, che possono materialmente concretizzarsi in una stanza, in una casa, e culturalmente determinati da un contesto sociale materiale e culturale, come per esempio la famiglia. Nel seguire il suo percorso di vita possiamo immaginare questo stesso individuo spostarsi continuamente in altri contesti e spazi, via via sempre più estesi e contemporaneamente viventi e concreti: il gruppo, la scuola, il lavoro, ecc. Alcuni di questi possono identificarsi materialmente ed intrecciarsi ad altri contesti delimitati da confini: per esempio la scuola può considerarsi contesto fisico (aule, palestre, laboratori), ma anche contesto culturale, differenziabile a seconda del tipo di formazione che viene insegnata. Tutto ciò può servire a mettere in rilievo sia la soggettività umana in relazione con forme concrete materiali, sia la relazione possibile fra soggetti umani diversi, all’interno di complesse organizzazioni. Se si allarga il possibile discorso, si può pensare anche ad una definizione concettuale di confine che riguarda l’interiorità umana, come per esempio la separazione fra inconscio e conscio, fra corpo e mente, e così via. E gli esempi potrebbero continuare “ad libitum”.

    In definitiva, possiamo tentare di definire il concetto di confine come una linea di separazione, mentalmente costruita e materialmente rilevabile o meno, da parte degli esseri umani e di gruppi aggregati di essi, con una propria auto-collocazione spaziale, temporale e culturale, al fine di coscientemente auto-determinarsi e auto-definirsi, sia come soggetti sociali individuali e sia come soggetti sociali collettivi.

    L’apparente astrattezza di questa possibile definizione ha, come si può notare, al centro l’essere umano, ma non solo come possibile agente della propria costruzione della realtà, ma anche e soprattutto come soggetto e insieme oggetto dell’intreccio indistinguibile che connota l’uomo stesso, immerso com’è fra natura, cultura, società, spazio e tempo. Certamente il confine, proprio perché intrinsecamente legato alla natura, può considerarsi solo come un qualcosa delimitante un territorio, il quale può assumere carattere meramente naturalistico. Secondo questa prospettiva l’uomo, l’essere umano, potrebbe adeguatamente correlarsi ad ogni altro tipo di essere vivente, il quale proprio definendo il suo territorio cerca di vivere naturalmente quanto più possibile. Ma la differenza che contraddistingue l’uomo dagli altri esseri naturali è proprio la capacità di costruire mentalmente quel territorio, prima di definirlo. Potremmo affermare, con Bateson (1967, 1972), che l’uomo è capace di costruire un mappa che, differenziandosi dal territorio, indica la capacità auto-regolativa del proprio agire [4], in modi dotati di senso, per dirla con Weber.

    La costruzione mentale, quindi, si innesca concretamente con quella materiale, facendo sì che si possa pensare astrattamente una possibile separazione fra individuo, società, natura. Di fatto essa non sussiste materialmente, poiché come la pratica empirica ci permette di rilevare, tutto è unito a tutto. Questi legami possono assumere conformazione di reti (“network”), che possono divenire oggetto specifico d’indagine, teorica ed empirica (Castells, 1994), oppure di linee di connessione [5], statisticamente analizzabili, da cui poi derivare tendenze, differenziazioni, staticità. Reti e linee sono comunque sia astrattamente concepite come possibili legami, sia concretamente come connessioni fra diversi soggetti sociali, siano essi persone o strutture o elementi naturali; infatti, esse permettono di mettere in relazione ogni singolo elemento con tutti gli altri, ma sempre all’interno di un contesto definibile spazialmente e temporalmente, cioè all’interno di un “luogo” circondato da confini. Se paradossalmente queste reti e queste linee superassero i limiti di questi “luoghi” avrebbero la capacità di diramarsi in modo indefinibile. Ma a questo punto risulta ragionevole chiedersi quale possa essere la motivazione che sta alla base di una possibile espansione, anche oltre il “luoghi” per i quali esse sono state predisposte. È palese che la motivazione soggettiva degli agenti che hanno costruito le reti o le linee sia quella della possibilità di mettersi in relazione con altri soggetti sociali, ma crediamo che possa sussistere anche una motivazione per così dire più oggettiva, materialmente rilevante, che riguarda la stessa possibilità di vita degli esseri: solo se essi entrano in relazione diretta tra loro potranno avere più probabilità di vivere, sviluppando il proprio essere sociale, in senso negativo o positivo non importa. Quindi, la relazione sociale ha proprio il compito di dare senso ai legami possibili ed immaginabili con gli altri, con la società, col mondo naturale [6]. Tutto ciò ha, quindi, una matrice “naturale”, ma essa può nascere e svilupparsi se e solo se si supera la “separazione”, che poi si manifesta mediante i confini, le frontiere, e tutto ciò che divide. A questo punto si può ipotizzare che questo superamento avvenga, a sua volta, proprio a partire da queste separazioni, da questi confini, coagulandosi nel loro “intorno” [7]. Questa coagulazione può definirsi come “area di confine”.

    2. Caratteristiche delle “aree di confine”

    Nel riprendere proprio la realtà virtuale che ci mostra la matematica insiemistica, forse possiamo avvicinarci ancora di più a cosa possa intendersi con i termini “area di confine”: dato un insieme “A” e un altro insieme “B”, se consideriamo questi elementi come chiusi, allora possiamo definirli separatamente come non collegati o collegabili, ma come due realtà separate; ma se consideriamo gli stessi insiemi come “aperti”, allora possiamo ipotizzare che una volta avvicinati fra loro, essi si possano sovrapporre in parte o anche interamente, prescindendo qui dalla loro specifica conformazione. Proprio l’area di sovrapposizione, che possiamo denominare “C” rappresenta una “area di confine”. Questo accade sul piano prettamente formalistico e astratto.

    Se consideriamo la concettualizzazione matematica come applicabile agli insiemi sociali e umani, si può notare che la sua semplicità si trasforma, divenendo complessità. Questo accade per un motivo specifico: gli insiemi sociali e umani non sono semplicemente “forme”, ma aggregazioni di uomini, di strutture ed elementi che essi hanno costruito e continuano a costruire nella loro vita, articolati in oggetti artificiali, cose esterne al loro essere vivente, e infine di “natura”, cioè elementi e oggetti esistenti a prescindere dall’intervento umano. Gli stessi elementi caratterizzanti le linee di confine possono essere stati costruiti dall’uomo stesso, ovvero egli può avere caratterizzato in questo modo anche elementi o linee che appartengono alla natura.

    Ogni uomo, in sé e per sé, sul piano metafisico si può pensare come chiuso, come ha ipotizzato Leibnitz con la concettualizzazione della monade, ma concretamente ciò non è possibile, poiché anche il più isolato degli uomini, cioè che non ha relazioni con altri uomini, entra comunque in contatto con elementi esterni ad esso, naturali o artificiali, vivendo con loro, praticamente e/o simbolicamente [8]. Senza considerare che anche nella propria individualità esistono differenziati confini, come per esempio fra il pensare di agire in un contesto, a seconda il fine che ci si propone di raggiungere, e l’atto concreto stesso che si compie, il quale può assumere variabilità e perfino tendere verso obiettivi non previsti, come fa notare Boudon (1977) con gli ormai conosciuti “effetti perversi”. Ma non accade solo questo. Sussiste in ogni individuo una differenziazione fra “conscio” e “inconscio”, come ci mostrano gli studi compiuti in ambito psicanalitico, e anche quella fra “mente” e “Sé”, come viene descritta nelle discipline neuropsicologiche e neuropsichiatriche.

    Se, quindi, l’individuo non agisce da solo, anche se il suo obiettivo resta di natura “individualistica”, si deve presupporre che in modo dinamico il suo contesto d’azione sia sottoposto a mutamenti, derivanti dal continuo sovrapporsi e intrecciarsi di più “aree di confine”. Anche quella che si presuppone astrattamente come separazione, in realtà diventa relazione. Un esempio paradigmatico può essere rappresentato dal rapporto che si può instaurare fra un individuo e un’opera d’arte, in qualsiasi contesto, cioè prescindendo dal tipo di raffigurazione che si incontra. In questo caso quello che sembra essere un rapporto univoco “spettatore - opera d’arte”, nasconde un rapporto fra spettatore e autore, quindi fra due “mondi” che nel momento della visione tendono a intersecarsi, se non a sovrapporsi. In questo caso la conoscenza dell’autore dell’opera d’arte è mediata da codici linguistici che lo spettatore deve identificare, per poter continuare a conoscere i significati simbolici esistenti, nell’area di confine temporanea che si è creata nel momento della visione; se ciò non accade, per un motivo qualsiasi o perché non si conoscono i codici linguistici usati dall’autore, i due mondi ritornano nella loro singolarità, eliminando quella che era il temporaneo incontro. Proprio quest’ultimo esempio ci permette di ipotizzare che i contorni delle “aree di confine” non siano mai statici e fissi, ma sempre elastici e dinamici e siano legati ai codici linguistici che proprio in quell’area si possono confrontare, creandone anche di nuovi, in modo da portare ad interpretazioni congruenti e dotate di senso.

    L’analisi condotta, dunque, permette di stabilire alcune caratteristiche fondamentali delle “aree di confine”. Esse riguardano la dinamicità interna e tendente all’esterno e si manifestano con l’elasticità delle linee che ne formano i contorni. Queste caratteristiche fanno sì che proprio nelle “aree di confine” si configurino nuove relazioni, innovative rispetto alle aree separate di partenza e tendenti alla modificazione di elementi e strutture che entrano in relazione, siano essi materiali, siano essi simbolici. In questo caso è la “volontà d’agire” che porta il singolo soggetto a tendere come un elastico la propria linea di confine, in modo tale da poter ricomprendere al suo interno una parte o il tutto esistente in un’altra area di confine, in cui vive un altro essere o un’altra struttura, ovvero un elemento qualsiasi appartenente ad un altro “universo”. Infatti, se non ci fosse questa volontà, non ci sarebbe il perseguimento dell’azione intrapresa e tutto potrebbe procedere anche per caso. La creazione, quindi, di una “area di confine” significativa presuppone che la conoscenza della realtà che si viene a creare al suo interno si possa anche modificare, seguendo criteri e regole tutte da definire, in relazione diretta con la possibilità di accrescere ciò che si incontra, ovvero anche di rifiutare e nuovamente ritirarsi all’interno dei propri spazi.

    Le “aree di confine” diventano, quindi, nuovi contesti di ricerca, spazialmente e temporalmente definibili, all’interno dei quali indagare per riuscire a trovare cosa si sta modificando di ciò che esiste negli insiemi di partenza. Ciò fa sì che si possano identificare oggetti nuovi, diversi da quelli di cui si ha conoscenza, e tendenti di fatto a modificare le interpretazioni che si potrebbero avere se si rimanesse legati alle vecchie visioni esistenti precedentemente. In concreto potremmo dire che è proprio nelle “aree di confine” che strutture reali e concettuali tendono a “dissiparsi” (Prigogine, Stengers, 1979), predisponendosi al mutamento che porterà in seguito alla ri-costruzione di nuove strutture, che utilizzeranno vecchi elementi insieme a nuovi, di cui si è venuti a conoscenza nell’incontro fra le due aree, siano esse puramente cognitive o materiali.

    3. Conclusioni

    La consapevolezza che proprio nelle “aree di confine” si possano trovare nuovi oggetti d’indagine, nuove problematiche inerenti i contesti d’azione, dovrebbe considerarsi fruttuosa per le scienze sociali, in quanto presuppone di non dover staticamente e aprioristicamente rilevare il mondo delle relazioni sociali, di natura concreta o simbolica. Queste ultime, infatti, nel nuovo territorio che si dovrebbe esplorare, sarebbero comunque rilevanti sia nell’ambito di strutture già definite, sia in quelle che si accingono a disperdersi per poi riaggregarsi utilizzando quanto già presente, abbandonandone una parte, congiungendosi con altre prima non conosciute. Questo modo di pensare porterebbe inevitabilmente a superare gli steccati disciplinari nel momento concreto delle indagini empiriche e perfino nelle costruzioni concettuali, poiché presupporrebbe la possibilità di enucleare nuovi concetti da quanto si sta esaminando. In definitiva si potrebbe affermare che è proprio nelle “aree di confine” gli scienziati sociali hanno la probabilità maggiore di capire quali elementi, quali strutture, quali caratteri e personalità, sia individuali che collettivi, sono in procinto di mutare e, quindi, cambiare il loro modo d’essere nel mondo.

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    Note

    [1] Con i termini saperi sociali ci riferiamo all’insieme interrelato di teorie e indagini empiriche che si sono formate nel corso del tempo nei paesi occidentali, a partire dalla ‘costruzione del mondo’ che si è compiuta dal 1400 ai nostri giorni nel campo scientifico inerente i fenomeni del sociale, cioè dove vengono coinvolte nel loro insieme natura, società, cultura, nelle loro varie esplicitazioni espresse nel corso del tempo ed in spazi specifici e che poi si sono intrecciate in modo complesso, per influenzarsi a vicenda, formando nuove dimensioni dell’essere sociale e del suo contesto d’azione. Per una rassegna storica e critica di questo modo specifico di fare scienza, cfr. Lentini, 2003.

    [2] La “vexata quaestio”, fra comprensione e spiegazione non ha assolutamente ragione di esistere nel concreto farsi della ricerca a nostro giudizio. È la capacità di chi compie un’indagine e la sua volontà di esaminare in un certo modo o in un altro un problema, o meglio una determinata area problematica, che decidono di fatto il come muoversi in senso scientifico, e tutto ciò è bene ribadirlo in modo chiaro, in modo tale da non incorrere in metodologismi che hanno ormai fatto il loro tempo.

    [3] Ciò può condurre a quella che Foucher (2007) ha definito come “ossessione delle frontiere”.

    [4] Questa caratteristica richiama immediatamente quella evidenziata da Karl Marx quando mette in evidenza la differenza esistente fra l’ape e l’architetto. Cfr. Marx, 1867.

    [5] Lo studio delle linee è una costante storico-culturale dell’umanità, cfr. al riguardo Brusatin, 1993.

    [6] Questa è una concettualizzazione derivata, come si può facilmente evincere, dal concetto di “relazione sociale” che troviamo nell’opera di Max Weber.

    [7] Questo concetto nasce nel campo dell’analisi matematica e della topologia, dove è connesso a quello di “insieme”. Infatti un “insieme” è considerato un “intorno” di un punto, contenente il punto stesso; questo insieme può avere due caratteristiche: essere “aperto” o “chiuso” (Manetti, 2008). Con “intorno” si esprieme un’idea intuitiva di “vicinanza”.

    [8] Basta pensare alla situazione vissuta da Robinson Crusoe, rappresentata nel romanzo di Daniel Defoe (2012).



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