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  • Sociologie des espaces et des liens sociaux
    Orazio Maria Valastro (sous la direction de)

    M@gm@ vol.12 n.2 Mai-Août 2014

    MARGINALITÀ URBANA E NUOVE POVERTÀ



    Isotta Mac Fadden

    isottamc@hotmail.it
    Sociologa, Laureata in Scienze Politiche, Università degli Studi della Calabria.

    Luoghi e marginalità urbana

    La città postmoderna diviene soggetto-oggetto nella nuova definizione del rapporto nei modelli dominanti di organizzazione economica, territorialità e distribuzione del potere (Held D., Mc Grew A., 2001) . La dimensione urbana diviene quindi, elemento fondamentale per l’analisi degli effetti perversi - e non - relativi ai processi di globalizzazione e modernizzazione. Fortemente legato al crescente fenomeno dell’urbanizzazione è il registrarsi di un alto indice di povertà urbana e marginalità sociale (Davis, 2006). La metropolizzazione, come si sta prospettando, porta a una bipartizione tra una città-mondo virtuale e una città reale che non sarà che un distretto, una proiezione sbiadita della città-mondo. E allora ci saranno «quelli che vivranno al ritmo del tempo reale della città mondiale, nella comunità virtuale dei garantiti, e quelli che sopravvivranno nei margini dello spazio reale delle città locali, più abbandonati di coloro che oggi vivono nelle zone suburbane del terzo mondo.» (Virilio, 2002, pag. 31).

    L’aumentare della povertà e della marginalizzazione sono evidenti indici del fallimentare sistema politico-economico messo in atto col post-fordisimo e, nello specifico, della crisi del welfare (Huber, Stephen, 2001) inteso come pratica di protezione sociale del cittadino. Ossia ancora una volta non si è trovato riscontro reale in quella ricerca continua di democrazia, intesa come libertà, sia nel suo senso positivo, libertà di, sia nel suo senso negativo, libertà da (Sen, 2007) di ogni suo membro, della comunità.

    Gli outsiders, gli abitanti degli slum odierni divengono nel nuovo contesto della piana globalizzazione i precari, gli urban underclass (Wilson, 1996), quelli che a causa di un perenne stato di disoccupazione o sottoccupazione e isolamento soffrono una condizione di marginalità avanzata (Wacquant, 2006).

    Esiste una stretta correlazione tra l’espandersi della marginalità urbana avanzata e l’alienazione degli spazi e la dissoluzione dei luoghi (Wacaquant, 2006). Si può considerare luogo ogni spazio umano, che si differenzia dalla spazio naturale, perché costruito dall’uomo e per la sua vita, e che permette di sollecitare alcuni aspetti particolari della sua esistenza ugualmente determinati: l’identità, la relazione, il tempo (Augé, 2009).

    La surmodernità è caratterizzata da «concentrazioni urbane, trasferimenti e moltiplicazioni dei non luoghi: spazi strutturali alla circolazione, i mezzi di trasporto, i grandi centri commerciali, i campi profughi» (Augé, M., 2009, p.27). Ovverosia spazi utilizzati per usi molteplici, anonimi e stereotipati, privi di storicità e frequentato da gruppi di persone freneticamente in transito, che non si relazionano, l'oblio e l'aberrazione della memoria, spazi di non incontro, di esclusione (Augé, 2007).

    Se già il rischio sembra essere divenuto una dimensione costante e propria dell’esistenza umana (Beck,2000) , gli spazi di marginalità urbana avanzata sono ulteriormente condannati ad un regresso continuo a causa della stigmatizzazione mediatica e politica che non fa che alimentare la disgregazione sociale e il perpetuarsi di scelte politiche spesso non fortunate (Wacquant, 2006). L’articolo si propone di offrire uno sguardo sulla marginalità avanzata nella sua dimensione urbana aiutati dalla descrizione dell’esperienza particolare di una realtà urbana marginale del comune di Sevilla: la casa de los vecinos del Pumarejo.

    L’esperienza risulta significativa in quanto rappresenta un esempio di come il processo di trasformazione di spazi in luoghi, possa essere un passo significativo per il superamento delle nuove forme di povertà urbana.

    A partire dalla rivivificazione, da parte degli abitanti di un quartiere marginale di Sevilla, di una storica residenza nobiliare del Settecento, da tempo in disuso, sono state promosse una serie di iniziative in rete di quartiere, orientate a superare i meccanismi di disgregazione sociale partendo dalla condivisione attiva e partecipata degli spazi pubblici. L’esempio si propone non solo di esplorare la marginalità urbana come base di una mobilitazione collettiva e superamento della stigmatizzazione, ma soprattutto di evidenziare come a partire dalla soggettivizzazione degli spazi sia possibile il superamento delle dinamiche politiche di disgregazione e diseguaglianze.

    Viviamo in un mondo mobile e illeggibile (Augé, 2007). Quindi ciò che sarà necessario sarà fornire ai cittadini, alla società, gli strumenti per leggere questo mondo sempre più mobile, sempre più veloce. Bisognerà creare un capitale a un sapere e a una scienza che miri alla realizzazione di sé attraverso la ricerca di potere e ricchezza, ma all’incontro, al confronto, alla relazione: non più un mondo di consumatori, non un mondo di uguali ma di eguali.

    Alla ricerca di Luoghi tra gli spazi urbani

    Gli effetti della surmodernità - accelerazione della storia, restringimento degli spazi e individualizzazione dei destini - sembrano specchiarsi nelle dinamiche urbane (Augé, 2009) . Uno degli interrogativi che ci poniamo è se la nostra società non stia distruggendo il concetto di luogo, così come si è configurato nelle società precedenti.

    Il luogo si contraddistingue da uno spazio perché costruito su tre dimensioni: l’identità, la relazione, il tempo. L’identità perché in un luogo il soggetto ha l’opportunità di scoprirsi, di manifestarsi, di realizzarsi, di esprimersi, , di avere una concreta possibilità di vita e di progetto. La relazione perché un luogo è tale per la possibilità che offre all’incontro, alla comunicazione, alla costruzione di un progetto comune, a tutte le attività sociali dell’uomo, dalle più semplici a quelle più elaborate e simboliche: non serve solo all’io ma anche al noi. Il tempo perché dentro un luogo l’io e il noi sperimentano la possibilità di costruire una storia, un progetto, un legame di senso tra il passato, il presente e il futuro: il tempo dello sviluppo, della progettualità.

    La caratteristica tipica del luogo umano è di intrecciare insieme in un'unica esperienza questi tre elementi distinti. Tanto che è difficile per l’io pensare alla propria identità staccandola da un luogo dove ha vissuto, come pur per il noi pensare ad un progetto sociale al di fuori di alcuni ambienti (Zanini, 2007).

    Dall’incontro tra esperienza, memoria e storia, personale e collettiva, che presuppone la necessaria presenza dell’Altro, nasce il luogo. In una società globalizzata dove predomina la velocità non si ha più tempo per attribuire un’anima ad un luogo in cui anche le relazione vengono meno, e i non luoghi proliferano (Augé, 2009).

    Così i luoghi, si trasformano in immagini piatte, prive di senso, di anima, di vita, prive di legame. I luoghi non sono più d’incontro ma di non incontro, il luogo privato dell’esperienza interiore si trova amputato in una semplice espressione di esteriorità fuggevole e facilmente sostituibile: tutto sembra essere simile, tutto sembra essere familiare ma allo stesso tempo indifferente e quindi estraneo. I non luoghi «sono gli aeroporti, le autostrade, le anonime stanze d'albergo, i mezzi pubblici di trasporto […]. Mai prima d'oggi nella storia del mondo i non luoghi hanno occupato tanto spazi» (Bauman, 2008, p. 113).

    Le modalità d’uso dei non luoghi, sono destinate all’utente medio, all’uomo generico, senza distinzioni. Non più persone ma entità anonime. Il cliente conquista dunque il proprio anonimato solo dopo aver fornito la prova della sua identità, solo dopo aver, in qualche modo, controfirmato il contratto. Non vi è una conoscenza individuale, spontanea ed umana. Non vi è un riconoscimento di un gruppo sociale, come siamo abituati a pensare nel luogo antropologico.

    Dal punto di vista architettonico i non luoghi sono gli spazi dello standard. «Immagini luminose, fotografie, luci colorate, oggi possono essere considerate materiali veri e propri, in grado di mettere in moto nuove figure dell’urbano, la città infatti corrisponde sempre meno al suo disegno iniziale (strade, vie, piazze..) e sempre più a un numero eloquente di implicazioni di diversa natura la cui materialità dilata le forme possibili dell’architettura e rimanda a nuove modalità di fruizione/frequentazioni.» (Mello, 2002, p.58).

    La scomparsa sempre più evidente di luoghi che caratterizzano le città tradizionali ci trascinano quindi nell’impossibilità di leggerle come luogo di memoria, incontro e stimolo immaginativo. La distinzione tra luoghi e non luoghi [1] in qualche modo più che una distinzione di spazi richiama a quella che è una distinzione di mondi, una diversità di mondi sociali. Come nell’immaginaria città del 2026 di Fritz Lang (Metropolis) in cui i “ricchi” vivono nei grandi grattaceli mentre gli operai vivono e lavorano in un dimenticato sottosuolo.

    Non tutti hanno la possibilità di usufruire delle risorse per far si che un luogo sia tale. Basti pensare ai campi profughi, ai luoghi di confine, ai centri di accoglienza temporanea, ai sempre più crescenti spazi marginali urbani. Ben si intende, quindi, come il moltiplicarsi di non-luoghi pregiudichi la possibilità di creare comunità in grado di realizzare un progetto collettivamente pensato e condiviso, prerogativa propria dei Luoghi. Solo i luoghi sono infatti humus per creare risorse di strategie di azione finalizzate a rompere le dinamiche di marginalizzazione (Bourdieu, 1988).

    Strategia d’azione e riproduzione della povertà sociale

    Prima di addentrarci nella descrizione della marginalità avanzata, proveremo a ripercorrere i meccanismi che determinano la riproduzione della povertà sociale, aiutati dalle categorie e studi di Bourdieu.

    Sebbene la controversa nozione di povertà sia stata trattata da diversi autori (Bartolomé, 1986), tutti coincidono con accostare tale concetto alla privazione e carenza, connotandolo più di una dimensione descrittiva e misurabile che esplicativa. L'utilità di tali nozioni si limitano a descrivere le condizioni di alcuni gruppi sociali definiti come poveri trascurando il perché tale condizione di povertà si riproduca socialmente ridefinendo la distinzione tra poveri e non. Un supporto in questa direzione ci viene dal concetto di marginalità (Germani, 1973) , utilizzato - specialmente tra gli anni ’50 e ’80 - secondo diverse prospettive: ecologico-urbanistica, culturale, economica o le differente combinazione tra questi approcci.

    Il concetto di marginalità mette in rilievo un difetto di integrazione di gruppi, che non si trovano fuori dalla società globale ma che, inseriti in questa, occupano una posizione sfavorevole. Il riconoscere la situazione di marginalità come una modalità di occupare un ruolo nel sistema rompe la prospettiva margine-centro, considerando i soggetti dentro e non fuori dalla società.

    Cercando, quindi, di comprendere la posizione occupata da questi gruppi, appare un altro fattore problematico: il limite tra il micro e il macro nello studiare la povertà e soprattutto nel definire una unità di analisi (Coraggio,1991).

    Il meccanismo che condiziona il rigenerarsi delle condizioni di povertà sono le strategie di riproduzione sociale [2], a cui leghiamo i concetti di margine delle possibilità, razionalità della scelta, e capitale sociale. Lo spazio sociale, non essendo geografico, è uno spazio pluridimensionale di posizioni e ogni posizione può essere definita da un sistema di coordinate ciascuna legata a una distribuzione di uno specifico capitale (Bourdieu, 1990).

    Il primo fattore da cui dipende la strategia è il volume, la struttura e l’evoluzione storica del capitale da riprodursi. Si tratta del congiunto di beni (economici, culturali, sociali e simbolici) che il gruppo possiede.

    Altro elemento è lo stato del sistema di strumenti di riproduzione, istituzionalizzati o no, e la loro evoluzione. Qui interviene la distanza geografica, la distribuzione del gruppo nello spazio e la ubicazione rispetto al centro di produzione e distribuzione dei differenti tipi di beni e la distanza sociale reale, che allude alla possibilità sociali concrete di l’accesso ai beni [3].

    Altri due fattori incisivi sono: lo stato di relazioni tra le classi (il rendimento differente che i distinti strumenti di riproduzione possono offrire alle inversioni di ciascuna classe o frazione di classe) e l’habitus, inteso come schema di percezione e azione. Gli habitus incorporati con agenti sociali - schemi di percezione, di apprezzamento e azione, del sistema di disposizione a percepire, pensare, attuare - determinano la definizione pratica del possibile e l’impossibile, del pensabile e dell’impensabile.

    Questo stabilisce quale posizione ciascuna famiglia occupa nello spazio sociale. La scelta di una strategia sarà allora dettata: dal margine di azione di ciascun agente sociale (ossia la determinazione e creatività di iniziativa individuale senza trascurare il condizionamento esterno); dal modo in cui il soggetto si colloca (ovvero la posizione sociale condizionata dall’inserimento nel sistema di produzione economica) ; dall’habitus (che evidenzia come la razionalità di agire è limitata all’esperienza e al vissuto individuale) [4].

    Il congiunto di questi fattori crea quello che determina la definizione della strategia, e il variare di uno di questi elementi condiziona le variabili di strategie possibili. Esempio evidente è la differenza tra una strategia di sopravvivenza o di cambiamento, una orientata  a adattarsi e riprodurre la situazione vigente l’altra orientata a un rafforzamento del capitale individuale per creare una variazione duratura della propria esistenza, riscattando la produzione attiva e inventiva della pratica e le capacità generate dall’habitus.

    Cambiando uno dei fattori si modifica la relazione con il capitale, definisce la trasformazione correlativa dello spazio delle possibilità e questiona il modo di riconversione delle specie del capitale. Il primo elemento che determina la strategia della riproduzione sociale è la famiglia, l’unità domestica, che funziona come corpo e come campo, come unità valoriale e come spazio per combinare le risorse, dentro e fuori.

    Reti di intercambio di beni e servizi, che si presentano come risorse alternative decisive fronte alla insicurezza economica e la precarietà delle altre risorse accessibili. La rete sociale è fortemente legata al capitale sociale.

    Il capitale sociale può essere definito come «una specifica risorsa per l’azione che non è depositata né negli individui né in mezzi di produzione, ma intrinseca alla struttura di relazioni fra due o più persone.» [5]

    La polarizzazione sociale e economica all’interno della città, acuitasi negli ultimi decenni del XX secolo, ha introdotto il termine di nuova povertà o marginalità avanzata. Negli ultimi decenni del XX secolo, il capitalismo ha dato origine a un paesaggio urbano in cui convivono, separati a volte da pochi metri, la maggior  opulenza con la miseria più estrema. Questo cambio radicale nella geografia e ecologia urbana ha portato a parlare di una città duale (Castells M.) al cui interno si sviluppano in senso crescente nuove marginalità e nuove povertà.

    Marginalità avanzata nella realtà urbana

    La città , sotto le dinamiche della globalizzazione, sembra stia abbandonando il suo ruolo di meccanismo di integrazione e luogo di relazione democratica (Wacquant, 2006). L’internazionalizzazione del mercato del lavoro, la finanziarizzazione dell’economia, il disgregarsi dei sistemi di welfare nei Paesi sviluppati, l’affermarsi delle politiche neoliberali hanno portato al crearsi di nuove dinamiche territoriali, trasformando il ruolo e il volto della città (Friedmann, 1995).

    La trasformazione storica dell’economia nei paesi sviluppati ha portato alla deregolamentazione dei mercati finanziari, desocializzando i salariati e la flessibilità dell’impiego. Politiche che invece di includere, escludono. Così come sono causa di esclusione dal sistema, il perpetuarsi e il manifestarsi concreto della democrazia razziale in città a partire dal fissare e istituzionalizzare le frontiere mantenute verticalmente dallo Stato, che genera una sorta di situazione di Apratheid legalizzato (Wacquant, 2006).

    Nei centri urbani si registra la concentrazione di funzioni di controllo, attività finanziarie, snodo principale delle reti di potere. Da un lato nella città si è consolidato il settore della conoscenza, che richiede alti livelli di istruzione, e dall’altro è cresciuta l’offerta di lavoro precario e di basso profilo (Sassen, 2004). Nella realtà europea , seppur ad un livello minore rispetto ad altre aree, si registra una crescita di forte marginalità su base territoriale: nella stessa città si può tristemente osserva la compresenza di aree degradate residuali e informali  e aree di ricchezza estrema (Marcuse, 1989).

    Conseguenza di questo forte dualismo sembra essere attribuibile al forte legame tra globalizzazione e aumento delle disuguaglianza, che ha incrementato il livello di marginalità avanzata. La marginalità avanzata è infatti il concetto che esprime l’aumento delle diseguaglianze nelle realtà urbane, indice di una disconnessione funzionale a livello macroeconomico.

    Il termine “avanzato” evidenzia due aspetti importanti delle nuove povertà. Da una parte la forte connessione  del fenomeno - come già evidenziato - con gli effetti delle trasformazioni postfordiste nei settori  dell’economia più avanzati. Dall’altro vuole evidenziare come sia in continuo avanzamento e la necessità di nuove politiche pubbliche e sociali di inclusione (Wacquant, 2006).

    La marginalità urbana avanzata tende a concentrarsi in aree specifiche, segregate e percepite dall’interno e dall’esterno come luoghi penalizzanti e squalificanti. Contrariamente a quando avveniva nel fordismo - in cui il lavoro salariato offriva una serie di protezioni e garanzie - oggi i rapporti di lavoro frammentari, discontinui e eterogenei non fanno che aumentare insicurezza e la precarietà soprattutto nelle fasce meno qualificate. Si registra quello che Castel (2008) definisce come desocializzazione del rapporto salariale che comporta la crisi del lavoro come forza sociale integratrice.

    Si viene a creare una nuova classe di soggetti, l’urban underclass, che vive in aree spazialmente isolate, la cui difficile esistenza oscilla tra la disoccupazione e la sottoccupazione cronica. La difficoltà nel trovare un lavoro stabile e l’isolamento fanno accrescere il processo di autoriproduzione di esclusione in un circuito chiuso di povertà (Wilson, 1997).

    Si vengono così a definire una sorta di iperghetti: spazi stigmatizzati a causa della costruzione di senso da parte del potere. La politica dei diversi governi hanno portato ad aggravare le condizioni strutturali di povertà alimentando meccanismi di violenza, fame e disoccupazione (Wacquant, 2006).

    Sotto il peso delle apparenze rafforzate dalla percezione selettiva dei mezzi di comunicazione e di certa sociologia di ispirazione giornalistica, gli abitanti del “ghetto” non sono accumunabili se non  nell’essere persone comuni che cercano di costruire la propria vita e di migliorare la propria sorte per quanto possibile, in circostanze eccezionalmente oppressive che le vengono imposte (Wacquant, 2006).

    L’attore che determina lo sviluppo o meno della società, è lo Stato. La volontà dello Stato ha di fatto una forte implicazione sociale. Si è passati da un coinvolgimento della politica pubblica nel tentativo di sradicare la povertà , alla dissoluzione degli obblighi dello Stato che si sono ridotti generando la struttura della marginalità dovuta al fallimento istituzionale, fino alla criminalizzazione della povertà stessa (Wacquant, 2006).

    La scomparsa dello stato nella vita del soggetto avviene attraverso una precisa decisione politica di inclusione emarginante. Questa è una delle cause principali della generazione di territori di deprivazione e abbandono , una dimensione di esclusione che è legittimata tanto dai settori medio-alti della società, come da chi abita in queste zone (Wacquant, 2006).

    La città, sotto questa prospettiva, sta creando spazi di discarica per soggetti non più utili e funzionali al nuovo ordine economico denominati (Wacquant, 2001), progressivamente luogo di relegazione per soggetti in declino sociale, precari e disoccupati (Maurin, 2004).

    La povertà, quindi, è alimentata da fenomeni di decomposizione lavorativa e sociale, sotto la pressione di una tendenza alla frammentazione piuttosto che all’unione dei soggetti che si trovano nelle regioni inferiori dello spazio sociale e urbano. Soggetti che avendo minore visibilità sono più tendenti a un abbassamento dei livelli di rivendicazione.

    Le nuove forme di dominio e lo sfruttamento lavorativo fin qui brevemente esposte sottolineano il declino della città come luogo di promozione sociale. Ciò nonostante, la stessa crisi dello spazio urbano, basata su una etica neoliberale, potrebbe portare a nuove soluzioni di vita urbana basati sulla solidarietà e la giustizia sociale.

    El Pumarejo: un caso di strategia sociale alternativa

    Molti sono i movimenti collettivi che cercano di rompere i meccanismi distorti della globalizzazione, proponendosi a livello simbolico come nuovo sistema alternativo di narrazione con un nuovo registro culturale e ridefinizione dello status quo (Boccia,2001).

    Un movimento che, tra altri, si propone come modello di rete in grado di utilizzare strategie alternative per la creazione di un luogo, è l’associazione Centro Vecinal del Pumarejo [6] con sede nella Casa del Pumarejo, nel quartiere della Macarena, a Siviglia, Andalusia. Il palazzo, costruito nel ‘700 come residenza del conte Pedro Pumarejo, dopo aver ospitato numerose e differenti realtà, alla fine del XIX secolo viene adibito - conservandone tutt’ora tale funzionalità - ad uso commerciale il primo piano mentre il secondo ad uso abitativo, arrivando ad ospitare oltre 20 famiglie.

    Stiamo vivendo una situazione di insicurezza sociale orientata a modificare gli squilibri sociali provocati dalla deregolarizzazione della crisi economica e la riconversione del benessere in un trampolino verso l’occupazione precaria. Tale meccanismo, generatore di insicurezza, si riversa sulla popolazione marginale favorendo un processo non solo di stigmatizzazione ma, ancor più grave, di autostigmatizzazione (Wacquant, 2006).

    La definizione degli spazi, risultato di equilibri di potere, si regge soprattutto sull’appropriazione di definizione di potere simbolico sul territorio (Bourdieu, 1999). In ragione di ciò ci spieghiamo perché la nascita di nuovi movimenti possano essere una risorsa per convertire gli spazi devitalizzati in luoghi. Il movimento si sviluppa in una realtà territoriale molto complessa che sta vivendo tutto il peso della crisi. In Andalusia la situazione relativa al 2012 si prospetta critica quanto l’epoca del postguerra: 1.442.600 persone senza lavoro. Un livello di disoccupazione che è cresciuto del 35,8% ed è in continuo aumento, così come è avvenuto nell’anno in corso [7].

    La criticità della situazione è resa ancora più evidente dai dati della disoccupazione giovanile, che si è alzata da un tasso del 52,34 %  a livello nazionale a un 59,43% a livello andaluso. Ancora più tragico è il dato relativo al numero di case abitate da famiglie in cui tutti i membri sono disoccupati, che  ha raggiunto la cifra di 1.833.700 (258.700 in più rispetto al 2011).

    Secondo i dati della Red Andaluza de Lucha contra la Pobreza y la Exclusión Social (EAPN-A) rispetto al 2012 quasi il 40% della popolazione vive in situazione di povertà, il 47,8%  non può affrontare imprevisti (vivono alla giornata) e nel 9,4% delle case si deve affrontare il problema del taglio a risorse basiche come la luce, l’alimentazione, il vestiario; la povertà infantile arriva al 36,3%.

    La cruda realtà di questi dati si riflette in ambiti come la salute, l’educazione, il medio ambiente, la cultura, l’abitazione, l’occupazione. Ed è proprio per sanare queste carenze e per creare capitale sociale che si muovono le numerosissime iniziative del Pumarejo.

    Asociación Casa Pumarejo nasce nel 2007 con la necessità e il proposito di dare identità giuridica al movimento che negli anni si è sviluppato intorno alla rivendicazione per il recupero della Casa Pumarejo. L’associazione, a cui prendono parte i residenti, gli usuari e diversi collettivi locali, si basa sul presupposto rivendicativo di «conservare la diversità sociocultarale, ispirata dalla stessa eterogeneità della storia, dell’architettura, delle tradizioni che la casa e il quartiere ospitano», mi spiega un intervistato. Nonostante il ricco patrimonio sociale, storico e culturale il quartiere viene in moltissime occasioni stigmatizzato per la condizione di marginalità di chi vi abita.

    Da palazzo di rilevanza architettonica il Pumarejo diviene simbolo di un movimento socioculturale a partire dal 2000. In questo anno, in occasione della volontà da parte del Comune di vendere la Casa ad una catena alberghiera e sotto la pressione ormai non più sopportabile di decenni di speculazione edilizia, piani urbanistici fallimentari e sgomberi forzosi nel quartiere della Macarena, nasce la Plataforma, un  primo nucleo associativo, input per la creazione di una fitta rete di realtà socialmente attive.

    L’obiettivo originario della Plataforma è stato quello di esigere una riabilitazione e ristrutturazione del palazzo, rivendicando il pieno utilizzo residenziale della costruzione ormai decadente e altrimenti in disuso. L’associazione, attraverso diverse linee di azione e protesta è riuscita a contrastare la vendita dell’intero edificio - è stata venduta la metà della proprietà- , ad evitare lo sgombero di nove famiglie che il palazzo ospitava e ad effettuare e incoraggiare opere di restauro. Grazie alla spinta della Plataforma, la casa fu dichiarata monumento e patrimonio culturale spagnolo.

    Come mi racconta un intervistato, «molto prima che le migliaia di persone incominciassero a organizzarsi in commissioni di lavoro attraverso assemblee di quartiere nate dal 15M, e scendere in piazza, il Pumarejo già dal 2000 accoglie assemblee e lavori di quartiere. Un rumore nel 2000 percorse la Macarena, quando molti furono costretti a fare le valigie sotto pressione di gruppi immobiliari. Un rumore che si trasformò in una voce per i diritti.»

    Nel 2003, approfittando della giornata europea del patrimonio, la Plataforma, per presentare il palazzo, aprì la parte in disuso sgomberata nel 2000. Iniziò così il recupero della Casa Pumarejo ad opera dei movimenti presenti già nel palazzo, che ne rivendicarono il libero utilizzo. I lavori permisero la riappropriazione e riabilitazione di spazi inutilizzati da parte della gente del quartiere
     e la costituzione de Centro Vecinal Pumarejo, associazione che ingloba tutti i movimenti nati nel palazzo e nel quartiere.

    Nel 2004, con l’aggravarsi della situazione abitativa e l’aumento delle espropriazioni forzose si costituisce la Plataforma de Inquilinos Amenazados con l’obiettivo di creare una unità di assistenza legale dell’inquilino e si estesero le relazioni e i contatti con il resto del quartiere.

     Nel 2005 - dopo una serie di giornate dedicate all’affitto giusto, degno e stabile - nasce  la lega degli inquilini La Corriente, associazione gestita attraverso assemblee e differenti commissioni, che realizzano un costate lavoro di autoformazione, divulgazione, ricerca, denuncia, assistenza giuridica e sostegno agli abitanti del quartiere con problemi di alloggio.

    La difesa costante di uno spazio concreto, una casa, facilitò la nascita di movimenti successivi che ampliarono gli obiettivi iniziali e allargarono i soggetti coinvolti nella rete al quartiere e le zone limitrofe [8] La difesa della Casa Pumarejo, divenne infatti il perno per la creazione di un luogo promotore di un modello sociale alternativo. La vicinanza del centro di salute, di una mensa sociale, di panchine hanno popolato il quartiere di soggetti a rischio, senzatetto, tossicodipendenti creando al principio forti conflitti tra i residenti della zona. L’azione sociale della Casa Pumarejo ha proposto una soluzione di intervento sociale riabilitativo alternativo alla volontà iniziale passiva di molti, di limitare la soluzione delle problematiche ad un aumento del controllo della polizia.

    Come emerge dalle interviste la forza del movimento risiede nella forza dei legami affettivi e comunitari: «intorno alla lotta contro la speculazione, la scommessa per la creazione di un modello sociale differente nella casa Pumarejo - mi spiega una delle inquiline del Pumarejo - si incrociano vite di persone concrete, progetti realizzati in luoghi concreti». Una rete affettiva base della comunità sulla cui forza identitaria si costruisce una rete di lotta alla marginalità urbana.

    La rete del Pumarejo

    Il Centro Vecinal diviene quindi espressione di tutte le voci di movimenti e associazioni presenti nel quartiere. Parlare del Pumarejo non significa né riferirsi alla Plataforma, né alla piazza ma ad un progetto più ampio di riprogettazione sociale degli spazi. Attorno al Pumarejo hanno luogo molteplici attività, tutte nate su principi assembleari, partecipativi e di libera iniziativa.

    La  più particolare è ,forse, l’introduzione di una rete di moneta di quartiere: il Puma. Si basa su un sistema di monete complementari LETS(Local Exchange Trade System): un sistema di intercambio locale per punti, in cui la somma totale di tutti i conti è sempre zero. Come afferma un intervistato «questo sistema si basa su un principio fondamentale: l’intercambio contro la speculazione. Se si aggiungesse valore ai puma senza realizzare intercambi, il totale degli intercambi incomincerebbe a non quadrare e si creerebbe una bolla, non producendo più ricchezza.» Il Puma è una moneta complementare all’euro e si crea mediante l’attività di tutte le persone che costituiscono la rete, in comunità, in forma assembleare e trasparente. Si utilizza all’interno della parte nord del centro storico di Siviglia, anche se non è necessario esservi residente per parteciparvi.

    I puma servono per scambiare qualsiasi tipo di bene, servizio o prestazione in accordo con i principi etici della moneta sociale. Gli obiettivi - spiega un membro della rete - della moneta sono quindi quelli di «favorire una produzione di ricchezza all’interno del quartiere, conoscere le persone, migliorare le relazioni tra le persone, contribuire a sviluppare una conoscenza comune e capacità di autorganizzazione, proteggere il medio ambiente (i beni sono prodotti in forma ecologica e artigianale e si scambiano a livello locale), favorire progetti comunitari come la manutenzione della casa. Esiste poi un centro di approvvigionamento della rete (con prodotti basici alimentari e igiene), alimentato per il 50% dei benefici ottenuti dai Mercati del Puma più le donazioni.»

    Altri progetti sono: la Lega de los inquilinos, in cui si offre assistenza legale gratuita; la Oficina de derechos sociales de Sevilla, collettivo che offe assistenza legale, spazio per la formazione e autoformazione, gruppi di studio/azione di nuove forme di precarietà; Lo hacemos nosotras «lo facciamo noi, le persone, e un gruppo studio Participacion; la Red-decrecimiento, un progetto per la decrescita e la transizione, che realizza progetti di promozione e sensibilizzazione su un’etica dell’economia. Da oltre tre anni stiamo organizzando tre giorni di incontri per scambiare idee con altri gruppi e reti di iniziative a noi affini.»

    Ospita la Ong Arquitectos sin fronteras ,fondata da un gruppo di architetti che lavoravo per lo sviluppo sostenibile. l’obiettivo di sviluppo locale non dipendente e partecipativo che migliori la qualità di vita degli abitanti e la Huerta Cantagaia, progetti di tecniche di coltivo sperimentali e ecologiche per apprendere a coltivare. È poi sede dell’associazione Arquitectura Compromiso Social, che segue progetti come il cooperativismo in case disabitate.

    Altro progetto, che ben sintetizza lo spirito del movimento del Pumarejo, è La revuelta il cui motto è «vogliamo vivere bene e lo vogliamo ora»: «la gente del quartiere - mi spiega un membro dell’associazione - è in lotta costante contro quelli che vivono nella città come occasione per fare soldi e per esercitare il potere e non come una promessa di benessere e convivenza nella libertà. Le persone più anziane sopravvivono alla degradazione urbana, i giovani sono sottomessi da una precarietà lavorativa, i bimbi vorrebbero conoscere gli spazi e le strade per i propri giochi, per la propria immaginazione e sperimentare l’interazione sociale, persone senzatetto che hanno trovato in questo quartiere un primo sostegno per le necessità basiche. Il nostro quartiere conta con sufficienti risorse umane e materiali, abbondante inventiva e comprovata energia per  poterci rassegnarci a vivere male. I nostri obiettivi sono promuovere un quartiere coerente con un modello di città sostenibile, difendere i beni comuni del quartiere, come quelli architettonici, fomentare la vita pubblica e la creazione di una comunità, cambiare gli stili di vita, lottare attivamente, per un trattamento dello spazio pubblico orientato a divenire uno spazio vivo e eterogeneo, di convivenza.»

    I luoghi: diaologo tra politica, giustizia sociale e pianificazione urbana

    Il mondo ormai è un’immensa città. È un mondo-città. I processi di globalizzazione e mondializzazione ci costringono a rivalutare quella che è la natura dei confini degli spazi.

    Se intendiamo la storia come una successione di eventi riconosciuti da molti come tali, cui si legano circostanze e immagini, la sovrabbondanza di eventi a cui siamo esposti e che ci vengono proposti dagli strumenti mediatici, non permette una ricostruzione storica di ciò che ci circonda. L’eccesso d’immagini ed eventi resta dunque non letta e veniamo abbandonati ad un individuale meccanismo di interpretazione e senso della realtà. La storia è bloccata nelle rappresentazione dei diversi ordini che ne fanno uno spettacolo per il presente. Il nostro continuo e faticoso tentativo individuale di cercare quotidianamente una definizione del mondo ci coinvolge in quello che Augé definisce “sovrainvestimento di senso”. A sopperire a questa evidente incapacità umana di definizione del mondo è l’informazione, un’informazione spesso veicolata dal controllo del potere e dalle sfere valoriali dell’economia (Augé, 2007).

    La surmodernità impone alle coscienze individuali esperienze e prove di solitudine del tutto nuove, direttamente legate all'apparizione e alla proliferazione dei non luoghi, dove si è conosciuti attraverso la banda magnetica della propria tessera bancomat o il numero della propria carta di credito: si sta creando la contrattualità solitaria del “commercio muto” che via via tende a scalzare il “sociale organico” dei luoghi antropologici. Mentre i luoghi favoriscano la creazione di un sociale organico, i non luoghi creano una solidarietà contrattuale, espressione di un’individualità solitaria.

    L’evidenza simultanea dell’impensabile solitudine e della impossibile società, di una minaccia che non si realizza mai completamente - la solitudine - e di un ideale che non giunge mai realmente a compimento – la società (Augé, 1999).

    In un mondo in cui si nasce in clinica e si muore in ospedale, i non luoghi senza storia né memoria si moltiplicano con modalità lussuose o inumane occupando “provvisoriamente” il territorio (da un lato le catene alberghiere e di fast food, i club vacanze, i centri commerciali ecc.; dall'altro i campi profughi o le bidonville, ecc.) (Bauman, 2008).

    La nostra società genera una rete immensa, indeterminata e contraddittoria di flussi che si muovono e mescolano in tutte le direzioni, interdipendenti tra loro, che formano costellazioni sociali sempre nuove e imprevedibili, in cui la perturbazione è lo stato più normale. L’eterogeneità generalizzata, da cui dipende tutta la società urbana, fa della vita nelle città un luogo in cui è sempre più difficile incontrare configurazioni sociali fisse e parti isolate.

    La vita pubblica è costruita sempre più in nome di una democrazia di uguaglianza che purtroppo non si rispecchia nella vita sociale. Le strade della città offrono un pieno spettacolo di come l’incontro ormai si sia mutato in una relazione di simmetrica indifferenza, di goffmaniana disattenzione cortese: ognuno rispetta le regole di un anonimato proprio e altrui sotto la garanzia di un controllo sia esso istituzionale o istituzionalizzato.

    In tale modo la società urbana moderna, che sempre più ci costringe in luoghi affollati da moltitudini in movimento continuo, fa si che l’individuo abbandoni se stesso in una massa uniforme e indefinita. In una realtà così strutturata siamo contemporaneamente uno qualsiasi in generale e tutti in particolare. La realtà appare confusa e sfuggevole e allo stesso tempo immutabile [9].

    Abbiamo visto come il diffondersi di non luoghi, e conseguentemente il venir meno di spazi di relazione, legati ai meccanismi della globalizzazione, diminuiscano la possibilità di creare risorse sociali.

    Per sopperire a quelle che sono le derive della surmodernità, qui descritte brevemente, si può pensare alla creazione di Luoghi come una opportunità per favorire relazioni in grado di creare un progetto condiviso in vista di un bene comune.

    È proprio quello che è successo attorno al Pumarejo, un’energia a propulsione alimentata da movimenti i cui componenti non sono altro che i cittadini di un quartiere decisi a trasformare attivamente la propria realtà attraverso un progetto di cambiamento condiviso.

    Movimenti come La Asociación de Casa Pumarejo prendono vita dalla riappropriazione di uno spazio, reso pubblico, uno spazio in grado di costruire relazione. Dalle relazioni e dal confronto nascono le idee e il coraggio per realizzarle: si propongono così progetti che nascono dalle reali necessità e esigenze delle persone che vivono in un determinato territorio. La realizzazione di tali progetti favoriscono reti e risorse in grado di generare capitale sociale.

    La creazione di capitale sociale - in quanto congiunto di risorse immediate o potenziali che sono legate al possesso di una rete duratura di relazioni più o meno istituzionalizzata di appartenenza a un gruppo , come insieme di agenti che non sono soltanto dotati di proprietà comuni, se no che sono uniti per lacci permanenti e utili (Bourdieu, 1990) - è un passo essenziale per la progettazione e realizzazione di una nuova realtà sociale e il superamento della riproduzione di marginalità.

    Fondamentale sarà, allora, favorire spazi e risorse per la creazione di Luoghi e riattivare il dialogo tra politica, giustizia sociale e pianificazione urbana. Così forse si ricompatterà la città duale, per scomporsi in infinite alternative potenziali determinate dalle scelte incondizionate e attive di cittadini che hanno pari accesso a risorse funzionali alla piena realizzazione di un Sé tra gli Altri.

    Bibliografia

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    Filmografia

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    Sitografia

    www.eapn-andalucia.org
    www.pumarejo.es

    Note

    [1] Come intuibile, la distinzione tra luoghi e non luoghi non è, però, qualcosa di  facilmente classificabile: sarebbe sbagliato e limitativo attribuire a uno spazio, arbitrariamente uno dei due aggettivi in quanto è esclusivamente frutto di un processo di costruzione relazionale. Si pensi al «Chalet-Les Halles: i giovani delle banlieue vi arrivano con la Rer, però difficilmente salgono in superficie. In superficie c’è un altro mondo, completamente diverso: quello dei turisti, dei borghesi, della gente che viene dal Centro Pompidou. Per i ragazzi di periferia la Rer diventa un luogo, forse l’unico luogo che ad essi viene ritagliato perché per altri, per i più, semplice luogo di passaggio.E forse anche questo non comunicare, non relazionare di uno spazio che si divide tra essere un luogo e un non-luogo che può essere motivo, origine o anche conseguenza di uno scontro sociale» (Augé, 2007).

    [2] Le strategie di riproduzione sociale sono il congiunto di pratiche fondamentali ,per mezzo dei quali gli individui e le famiglie tendono, in modo cosciente e non, a conservare o mantenere il patrimonio, e mantenere o migliorare la posizione nella struttura di classe (Bourdieue,1988). Differenti strategie condizionano diverse evoluzioni di vita: famigliari di vita, esistenziali, di adattamento, di sopravvivenza (Argüello, 1981).

    [3] Questa nozione ci permette di articolare l’unità domestica con le condizioni obiettive valutabili come possibilità di riproduzione e articolare i poveri - individualmente o collettivamente - con altri agenti dello spazio sociale (Stato, politiche sociali).

    [4] Evidenziata l’importanza di questi elementi che giustificano il peso di una storia sociale del capitale intesa come accumulazione nella storia di un senso pratico, si può sottolineare come i poveri sono non solo quello che non hanno ma anche quello che hanno, affinando così la comprensione del meccanismo di riproduzione di marginalità.

    [5] Coleman, J., Foundations of social theory, Cambridge, Mass., 1990, pag.302 in Bagnasco, A., Tracce di comunità, Mulino, Bologna.

    [6] La descrizione dell’esperienza avverrà alla luce di dell’analisi di dati emersi da una mia ricerca sul campo (Siviglia,2013) , in cui sono stati utilizzati strumenti qualitativi come l’osservazione partecipante, le interviste biografiche e il colloquio. Inoltre supportati dal centro di documentazione del Centro Vecinal Pumarejo.

    [7]I dati relativi alla situazione socio-economica andalusa sono elaborati dall’ EAPN-A (https://www.eapn-andalucia.org)

    [8] Alcuni dei progetti nati sotto la spinta del Pumarejo: progetto per l’integrazione sociale Casa de la Paz, la Libreria-editoria Atrapasuenos, l’associazione ecologista Ateneo Verde, l’associazione per i diritti alla casa occupata Casas Viejas.

    [9] Delgado, Ruiz, M., Derecho a la indiferncia. Conferenza presso S.O.S. Racismo Navarra. Pamplona.11 Marzo 2009.

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