Sociologie des espaces et des liens sociaux
Orazio Maria Valastro (sous la direction de)
M@gm@ vol.12 n.2 Mai-Août 2014
LO SPAZIO COME UNITÀ DI MISURA PER LA CONOSCENZA E LA COMPRENSIONE DEL MONDO SOCIALE
Orazio Maria Valastro
valastro@analisiqualitativa.com
Direttore Scientifico di M@gm@, Rivista internazionale di scienze umane e sociali; Dottore di Ricerca in Sociologia, Université Paul Valéry Montpellier; dirige gli Ateliers dell'immaginario autobiografico dell'Organizzazione di volontariato Le Stelle in Tasca, Catania.
La crisi di quel soggetto antropocentrico che ha costruito la propria conoscenza tagliando i ponti tra la natura e la società, che oggi occorre restituire alla vita come soggetto e individuo vivente nell'universo (Morin, 1980), risuona nella domanda che il professore di biologia Samuel Norman, l'attore Morgan Freeman, rivolge alla giovane studentessa Lucy, l'attrice Scarlett Johansson: «Ma se l'uomo non è l'unità di misura e il mondo non è governato dalle leggi della matematica, che cosa governa tutto?» La risposta di Lucy, nel film di Luc Besson, è penetrante: «Filmi un'auto che sfreccia su una strada, velocizzi l'immagine all'infinito e l'auto scompare. Quindi che prova abbiamo della sua esistenza? Il tempo dà legittimità alla sua esistenza. Il tempo è la sola vera unità di misura. È la prova dell'esistenza della materia. Senza tempo noi non esistiamo.» Il tempo, come suggerisce Edgar Morin (2004), lo ritroviamo oggi come dimensione fondamentale, dalla biologia alla fisica, e nel mondo sociale, ma esplicitandolo come unità di misura è la dimensione dello spazio che sembra perdersi. Eppure, Lucy, dopo un viaggio astrale, sarà collocata fuori dall'unità di misura che legittima l'esistenza, pervenendo ad una conoscenza illimitata e assumendo una forma onnipresente nell'estensione del tempo, in uno spazio puro.
Nel superamento dei limiti della conoscenza umana, Lucy si fonde con il tutto che la circonda scoprendo il tempo dell'eternità dietro il tempo umano, abbandonando qualsiasi pretesa di venerazione dell'individuo o della società nella fusione tra il soggetto e il mondo. Consegnando infine le proprie conoscenze all'umanità, assimilandosi al cosmo nel fluire dell'eternità, sembra rievocare quell'esigenza sofferta del mondo contemporaneo di una conoscenza salvifica del futuro. Come non pensare dunque alle parole echeggianti e meditate di Gaston Bachelard: «È così che il nostro essere, nel cuore e nella ragione, corrisponde all'Universo e reclama l'Eternità. (...) Così, per il fatto stesso che viviamo, amiamo e soffriamo, siamo impegnati nelle vie dell'universale e del duraturo» (Bachelard, 2010-b, pp. 93-94). Nel destino di Lucy appare in secondo piano il soggetto antropocentrico che conquista lo spazio per affermare il proprio dominio e la propria conservazione, e nel processo mimetico caro a Roger Caillois (1998), nell'assimilazione allo spazio e nell'identificazione con la materia, Lucy rinuncia all'istinto di opposizione al mondo esterno per seguire l'istinto di abbandono allo spazio. Allora, comprendendo l'immaginario cinematografico come lo specchio delle inquietudini della società contemporanea, se seguiamo il ribaltamento del tema iniziale della risposta di Lucy assumendo lo spazio come unità di misura della conoscenza sensibile e scientifica del mondo, diviene pressante la richiesta di riflessione sull'essere umano, sulla sua profonda relazione con lo spazio e sulla sua capacità di homo symbolicus (Ries, 2007) di cogliere l'invisibile a partire dal visibile e di creare spazi e legami sociali.
Il numero monografico di M@gm@ dedicato alla sociologia degli spazi e dei legami sociali, ci permette quindi di prendere in esame, in modo specifico, non soltanto una dimensione teoretica e conoscitiva dello spazio contemporaneo come costruzione sociale e culturale, ma ci consente inoltre la possibilità di interrogarsi concretamente sul vivere quotidiano economico e sociale, rispetto alla partecipazione degli spazi nella definizione dei rapporti e del senso cui le relazioni danno vita nell'intensità dei legami a livello locale e globale. Il titolo dell'editoriale enfatizza di proposito la questione dello spazio sociale, anche in modo provocatorio, sollecitando un'attenzione specifica all'approccio transdisciplinare rappresentato dai contributi che ci guidano verso una comprensione della complessità della relazione tra l'essere umano e lo spazio sociale. Questo ci permette, inoltre, di proseguire verso un percorso di conoscenza che diventi consapevolezza rispetto alle molteplici dimensioni cui si apre la ricerca praticata anche dalle più giovani collaboratrici e dai più giovani collaboratori di questo numero, riconoscendo ed osservando lo spazio sociale attraverso le sue trasformazioni e la loro importanza rispetto alle strutture, alle relazioni e ai legami sociali, interrogandosi e fornendoci moltissimi spunti e riflessioni sulla vita quotidiana e la società contemporanea.
Impossibile, a questo punto, fare a meno di considerare a cosa serva lo spazio, ed una delle prime descrizioni che ho in mente è quella di Gaston Bachelard: lo spazio racchiude in sé una molteplicità di temporalità (Bachelard, 2006), verticalizzando il tempo su differenti stratificazioni alle quali corrispondono numerose immagini e rappresentazioni del mondo (Bachelard, 2010-a). Quale statuto accordare allo spazio, partendo da questa sintesi, collegandosi anche alle caratteristiche e alla comprensione delle forme estetiche delle interazioni sociali di Georg Simmel, se non la condizione di simbolo delle relazioni umane e delle modalità di articolazione tra esistenza concreta e proprietà della vita (Simmel, 1998): «Non già lo spazio, bensì l'articolazione e la riunione delle sue parti, che trova il suo punto di partenza nell'anima, riveste un significato speciale» (Simmel, 1998, p. 524). Nel collegamento e nell'accostamento delle caratteristiche e dei valori dello spazio, e della stessa relatività del tempo, lo spazio sociale è per Georg Simmel una dimensione fondativa della società, luogo della condizione e simbolo del fluire incessante della vita in forme sociali nelle quali gli individui si riconoscono e attraverso le quali si strutturano le loro relazioni. La condizione e la posizione dei soggetti rispetto allo spazio sociale nel quale si collocano, con movimenti eterogenei, strategie e traiettorie differenti (Bourdieu, 2001), rivelano i confini e le linee di demarcazione che regolano la partecipazione alle attività collettive: «il limite non è un fatto spaziale con effetti sociologici, ma è un fatto sociologico che si forma spazialmente» (Simmel, 1998, p. 531). Se l'individuazione delle caratteristiche fondamentali di una morfologia dello spazio e la comprensione delle forme e delle interazioni sociali, implica necessariamente gli elementi distintivi (Abruzzese, 2003) dell'esclusività e della fissazione, la presenza dei confini, le categorie di vicinanza e distanza, non possiamo non considerare il ritmo nella vita sociale e nel pensiero collettivo (Hubert, Mauss, 1929), alla base della categoria del tempo (Durkheim, 2005), il ritmo scandito dagli spazi sociali. Attraverso il ritmo accediamo alla comprensione della continuità del discontinuo (Bachelard, 2010-b), per collegare le esperienze sensibili nel movimento della vita e comprendere la totalità nella quale siamo immersi.
In fondo, la consapevolezza ultima cui perviene Lucy, non è forse il fatto di conferire all'esperienza del tempo una forma differente e mitica (Durand, 1996) che ricompone il ritmo della vita e lo spazio? Ed allora, nell'immagine dello spazio nel quale si ritrova Lucy, se pensiamo allo spazio come ad una configurazione di immagini collettive (Bastide, 2013) e ad un luogo dove si costituiscono i quadri sociali che ci rendono partecipi di una memoria sociale (Halbwachs, 1997, 2001), in una sorta di reciprocità tra prospettive individuali e collettive (Lavabre, 2004), è possibile riconoscere e lasciare in eredità una conoscenza e una comprensione del mondo? La riflessione che possiamo sviluppare, pensando allo spazio puro nel quale si ritrova Lucy e che si contrappone all'instabilità e all'incertezza del divenire nella vita ordinaria e nello spazio sociale contemporaneo, parte dalla narrazione cinematografica dove coesistono quell'istinto di conservazione e di abbandono (Caillois, 1998) indispensabili all'essere umano per affermarsi o assimilarsi allo spazio, per conoscerlo o comprenderlo. La rappresentazione di uno spazio puro dove il soggetto conosce e comprende se stesso e il mondo, richiama quello spazio sacro di coesione e dissoluzione (Caillois, 2001) del mondo profano, che sostiene e fa perdurare l'universo profano o lo induce a rinnovarsi e lo salva da un lento impoverimento. Rispetto all'esigenza di conoscenza e di comprensione dell'essere umano e della sua relazione con lo spazio sociale, la sociologia deve di conseguenza ricomporre quell'epistéme contemporanea (Wunemburger, 1989) situata tra una logica parcellizzante e chiusa in sé stessa, e una logica aperta, pluridimensionale e conflittuale, che sostiene un approccio globale e complesso, abbandonando sistemi di pensiero monolitici, riduttori e settoriali.
Un approccio transdisciplinare per una comprensione della complessità della relazione tra l'essere umano e lo spazio sociale, non poteva essere avviato se non con una riflessione, grazie al contributo di Paola Di Nicola, sulla rete di internet. La rete come spazio che delimita delle relazioni e che diviene metafora dello spazio sociale contemporaneo e del nostro essere sociale, dove le relazioni dipendono da nodi e forme di legami che li uniscono, individua un radicamento delle identità su più livelli e dimensioni spazio-temporali, senza che nessuna di queste diventi dominante ed esclusiva. Da questo iniziale approfondimento ne consegue un'attenzione particolare alla transizione della società a base comunitaria verso una società a base societaria, considerazione che mette in rilievo un soggetto che deve comprendersi e comprendere la relazione con se stesso e l'altro rispetto a un'inedita autonomia dai vincoli di solidarietà che scaturiscono dai legami familiari, culturali e sociali. Per sostenere questa comprensione è necessaria l'intelligenza delle emozioni, e su questa si sofferma Maria Caterina Federici nel suo contributo, esaminandone il ruolo fondamentale nella costruzione della nostra vita spirituale e sociale. Mentre si accresce la consapevolezza di vivere in uno spazio che sembra annullare i confini del mondo, l'intelligenza delle emozioni non solo sostiene una maggiore comprensione delle situazioni sociali in cui ci troviamo ad agire, ma ci permette di cogliere una straordinaria possibilità, approfondita nel contributo di Donatella Pacelli: cogliere la condivisione di molteplici orizzonti di senso e porsi in ascolto per comprendere i numerosi alter del mondo globale che abitano gli spazi di incontro oltre i sistemi culturali. Questa necessaria comprensione degli spazi di incontro è strettamente connessa con la comprensione della relazione con l'alterità, argomento quest'ultimo sviluppato dal contributo di Enzo Colombo. La crescente interconnessione globale e l’emergere di nuove forme di relazioni attraverso cui si organizza il rapporto con l'alterità, nell'ambito urbano e nella dimensione locale della vita quotidiana, hanno un valore esemplare rispetto alla definizione degli spazi sociali e ciò che socialmente è possibile costruire o decostruire rispetto alle differenze culturali. Su questo aspetto, le relazioni con l'altro comprese all'interno o tra contesti definibili spazialmente e temporalmente, ci porta a riflettere il contributo di Mauro Antonio Fabiano imperniato sulle aree di confine, dove per area di confine si presuppone un doppio movimento, una separazione che virtualmente è al tempo stesso una relazione. Le aree di confine assumono una importanza capitale per la ricerca sociologica e la comprensione qualitativa delle relazioni sociali, di natura concreta o simbolica, e delle loro trasformazioni. Questo ci permette di attribuire un ruolo attivo alla ricerca e alla capacità dei soggetti di creare delle aree di confine significative, delle aree di confine che presupponendo la conoscenza della realtà, immaginano la possibilità di modificare gli spazi nei quali viviamo e ci relazioniamo con gli altri.
Le ricerche documentate dai contributi successivi, riconoscono lo spazio sociale come oggetto di ricerca declinato al singolare e al plurale, esaminando come si trasforma nel tempo e come incide sui legami sociali. Il contributo di Alessia Bellarosa si focalizza sugli spazi e i beni comuni che definiscono un nuovo soggetto sociale, un soggetto costituito dalla collettività e dai beni comuni, individuato attraverso azioni e linguaggi collettivi e condivisi che spostano il rapporto tra proprietà privata e pubblica, tra spazi e beni pubblici, verso una nuova logica sostenuta dai diritti fondamentali. Cosa rende possibile la creazione di spazi comuni, in un contesto nel quale la precarietà degli spazi e dei legami è collegata alla precarietà sociologica ed economica che intacca i beni comuni? Nel contributo di Andrea Cavazzini e Roberta Cavicchioli troviamo gli argomenti di una riflessione sul tema del condividere, delle modalità e delle condizioni che rendono possibile la condivisione di un bene altrui e che sono la premessa per la creazione di uno spazio comune che restituisce senso a sistemi di reciprocità. Negli spazi urbani è quindi necessario ritessere i legami emozionali e identitari, al fine di ricostruire le comunità che partecipano alla vita delle città e condividono spazi e beni comuni. Ma è la paura dello spazio urbano, con il contributo di Luigi D'Aponte, a permetterci di elaborare un'immagine sulla trasformazione della città contemporanea dove gli spazi si svuotano di senso e di funzioni politiche, e dove il tema della restituzione o della creazione di senso va oltre gli stessi sistemi di reciprocità. Tutto ciò implica una necessaria ricostruzione di senso delle città, a partire dalle storie e dalle relazioni quotidiane con gli spazi che devono essere ricostruite per rinnovare il senso profondo nel nostro rapporto con il mondo. L'osservazione dei movimenti sociali, dove risiede il rivificarsi dei legami affettivi e comunitari, sono l'oggetto del contributo di Isotta Mac Fadden, e attraverso l'analisi di progetti realizzati come alternativa alla città e agli spazi urbani costruiti e pensati a partire da rigide dicotomie che contrappongono, ad esempio, categorie di opposizione e di rappresentazione come centro-periferia, cittadini-immigrati, immigrati regolari-clandestini, si pone l'attenzione sulla generatività di spazi e risorse e alla creazione di luoghi che riattivano il dialogo tra politica, giustizia sociale e pianificazione urbana.
Vi sono anche altri fenomeni urbani, il recupero di spazi interstiziali della città, tema di cui si occupa il contributo di Daniela Panariello, che completano l'insieme degli approfondimenti richiamando l'attenzione, in modo prioritario, sugli spazi cittadini non più vissuti quotidianamente dagli autoctoni che riacquistano nuova vitalità con la presenza dei migranti. Gli spazi interstiziali come scarto della pianificazione moderna delle città, dove ogni spazio ha una sua peculiarità e funzione, divengono degli spazi vitali e acquisiscono un nuovo significato. Questi processi di risignificazione degli spazi attribuiscono nuovi significati alla città del tempo presente, attraverso una risemantizzazione individuale e collettiva, e sono un esempio che sollecita un cambiamento di prospettiva per cogliere nuove effervescenze sociali e nuove forme di socialità. L’ignoto si insinua nella città attraverso la presenza dell’altro e dello straniero, di culture diverse, e nella ridefinizione dei confini degli spazi sociali è il rapporto più generale tra gli esseri umani e lo spazio che converge con il rapporto tra gli esseri umani nello spazio. Le osservazioni su questo argomento, proposte dal contributo di Veronica Polese, rendono inevitabile una riflessione sul sistema di gestione dello spazio sociale come inscenamento di relazioni di potere. Dal rapporto tra le donne e gli uomini nello spazio, passiamo a considerare, grazie al contributo di Irene Ranaldi, il valore del loro rapporto nello spazio pubblico come forma e simbolo della relazione sociale. Le occupazioni degli spazi pubblici, la riappropriazione fisica degli spazi declinati in forme differenti di partecipazione sociale, liberano luoghi e presentano modalità spaziali dell'esperienza che orientando il configurarsi delle forme sociali: queste ultime assumono, infine, un significato sociologico in quanto simbolo della relazione sociale. Il tema della riappropriazione degli spazi è affine alla problematica sviluppata dal contributo di Sergio Straface, rinviando, da ultimo, all'essere in relazione in quanto persona. Riconnettere il sé e riconnettersi al proprio corpo come spazio consacrato, uno spazio che rispetto agli elementi complessi dell'esperienza umana assume una propria consistenza che diviene un universo di senso consapevole dei legami con se stessi, gli altri e il mondo, richiama quella sacralizzazione del corpo che in Mircea Eliade (2013) è il luogo dell'anima e del mondo e proprio per questo si costituisce come uno spazio che assume una dimensione sacra. La comprensione delle relazioni sociali e della socializzazione negli spazi e con lo spazio, deve necessariamente sottrarsi al paradigma dicotomico che contrappone natura e cultura, costruito su strati sovrapposti e non comunicanti (Morin, 2001), uomo-cultura, vita-natura, fisica-chimica. Un percorso di conoscenza fondato sull'unificazione complessa dei saperi per la comprensione di un mondo sempre più complesso, contrapposto ad una conoscenza fondata sulla separazione e sull'opposizione, è ciò che in fondo salva, come nella trasformazione di Lucy cui mi riferivo inizialmente, e consente all'essere umano di comprendere e comprendersi nello spazio sociale che fa parte della persona e delle sue relazioni: «noi facciamo parte della società che fa parte di noi. Ecco il nodo gordiano molto interessante, che un pensiero mutilante non può che fuggire. Non solo noi siamo in un luogo particolare della società, ma anche la società, in quanto totalità singolare, è in noi» (Morin, 1985, p. 98).
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