Raccontare Ascoltare Comprendere
Barbara Poggio - Orazio Maria Valastro (sous la direction de)
M@gm@ vol.10 n.1 Janvier-Avril 2012
STORIE DI GENERE, STORIE DI PARTITO
Elisa Bellè
elisa.belle@unitn.it
Elisa Bellè è iscritta alla Scuola di Dottorato presso il Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale dell’Università degli Studi di Trento. I suoi interessi di ricerca si rivolgono principalmente allo studio dei partiti politici, con un approccio qualitativo e con una particolare attenzione ai processi di costruzione e rappresentazione del genere e delle maschilità. L’autrice sta attualmente svolgendo la propria ricerca di dottorato, che consiste in un’etnografia politica della Lega Nord.
Introduzione
Uno degli elementi che ha contraddistinto l’ingresso nell’era della postmodernità,
segnando una netta cesura con le forme del pensiero moderno consiste nella
fine delle cosiddette “Grandi Narrazioni”, intese come modalità di ordinamento
ed interpretazione totalizzanti, in grado di conferire all’esistente un
senso unitario e globale (Lyotard, 1979). Il paradigma scientifico di
derivazione positivistica, improntato a criteri di generalità, universalità,
astrattezza viene investito da una profonda crisi, che dà inizio ad una
nuova fase della storia del pensiero: le forme del conoscere risultano
sempre più improntate alla frammentarietà ed alla contraddittorietà, tese
a far emergere le ambivalenze e la molteplicità dei punti di vista e delle
narrazioni possibili (Gherardi, Poggio, 2003).
Con tale svolta paradigmatica, si apre un inedito spazio di legittimità
scientifica anche per le narrazioni, fino a quel momento contrapposte
ai fatti scientifici e relegate nello spazio dell’immaginario, della fantasia,
dell’irrazionale. Al pensiero logico-scientifico, sino ad allora modello
incontrastato di produzione di conoscenza “oggettiva” si accosta, acquistando
progressivamente legittimità, il pensiero narrativo. Tale approccio rinuncia
alle istanze di neutralità, oggettività ed astrazione, caratteristiche
del canone scientifico di derivazione illuminista prima e positivista
poi ed elabora un approccio alla conoscenza basato sull’indeterminatezza
delle interpretazioni, sulla molteplicità e frammentarietà dei punti di
vista, a partire dall’assunto che la potenza della narrazione “sta esattamente
nel piegarsi al singolare” (Jedlowski, 2000, p. 181).
Anche la ricerca sociale è attraversata da questo mutamento e si assiste
al fiorire, in anni recenti, di un consistente numero di contributi concernenti
a vario titolo il tema delle narrazioni (per una rassegna si veda: Poggio,
2004a). L’approccio narrativo, un campo di studi assai vasto e variegato,
recupera e mette a frutto un legame peraltro da sempre ben saldo tra ricerca
sociale e dimensione linguistica, oggetto di riflessione entro molteplici
tradizioni di ricerca, dall’interazionismo simbolico, al costruzionismo,
al post-strutturalismo, solo per citarne alcune (Gherardi, Poggio, 2003).
All’interno di tale quadro di mutamento, si sviluppa un dialogo proficuo,
tanto sul piano epistemologico, quanto su quello metodologico e di ricerca,
tra approccio narrativo e studi di genere (Gherardi, Poggio, 2003; Poggio,
2004a). Il carattere relazionale, fluido, mutevole e situato del genere,
inteso in quanto attività storicamente, socialmente e culturalmente determinata
(Piccone Stella, Saraceno, 1996), ben si presta infatti ad essere colto
attraverso la narrazione, intesa sia in quanto paradigma interpretativo
(guardare ai processi di costruzione del genere come narrazioni), sia
in quanto tecnica di raccolta di dati (sollecitare la produzione discorsiva
sul genere attraverso le narrazioni). “Fare” genere (West, Zimmerman,
1987) implica infatti in una certa misura attingere a linguaggi, repertori,
immaginari, che vengono ri-prodotti anche attraverso l’atto narrativo.
Il linguaggio e la narrazione sono atti di costruzione di significati,
individuali e/o condivisi, della realtà sperimentata quotidianamente,
oltre che fonte delle necessarie oggettivazioni e coordinate che danno
senso ed ordine all’esistenza (Berger, Luckmann, 1966). Essi costituiscono
due dei principali strumenti attraverso i quali l’ordine di genere può
essere riprodotto socialmente o, viceversa, decostruito e contestato (Poggio,
2004b). È inoltre attraverso la narrazione che è possibile mettere in
luce la dimensione del potere, che rimane altrimenti spesso taciuta ed
invisibile, in quanto data per scontata (Gherardi, Poggio, 2003).
L’incontro tra narrazioni e studi di genere risulta quindi assai felice,
soprattutto in considerazione del potenziale decostruttivo insito nell’approccio
narrativo, che ben si presta ad essere applicato ad un tema di studio
sfuggente e multidimensionale quale appunto il genere. Sulla base di tale
considerazione si è sviluppata la ricerca che verrà qui parzialmente presentata,
che ha come tema la costruzione del genere all’interno di due partiti
politici. Verranno prese in esame le narrazioni di otto donne ed otto
uomini, equamente divisi all’interno di due partiti politici, collocati
l’uno nell’area di destra e l’altro in quella di sinistra, divisi per
coppie di età (una coppia uomo-donna giovane ed una coppia uomo-donna
matura). Il presente contributo è volto a mettere in luce in primo luogo
le storie politiche e le costruzioni di genere delle persone intervistate.
Esse verranno analizzate anche sulla base delle differenze di genere e
generazionali, non solo in quanto unità narrative singole (storie di genere
di uomini e donne in età differenti), ma anche nella loro relazione con
ben precise culture politiche (storie di genere raccolte in un partito
di destra ed in uno di sinistra).
1. Genere e narrazioni
Il genere si presenta come un concetto dai contorni mobili e sfuggenti,
intrinsecamente in mutamento, in ragione del suo carattere culturalmente,
storicamente e socialmente determinato, dunque mobile (Piccone-Stella,
Saraceno, 1996). I repertori linguistici, culturali, di immaginari e pratiche
attraverso cui l’ordine di genere si riproduce in un dato contesto sociale
e momento storico non sono infatti dati una volta per tutte, bensì passibili
di continue reinterpretazioni e negoziazioni, tanto su piano macro, in
relazione al mutare delle strutture politiche e culturali, quanto su un
piano micro, relazionale e di interpretazione individuale.
Il genere, nella sua dimensione relazionale, non si presenta inoltre come
un insieme di caratteristiche fisse ed ascritte (qualcosa che “si è”),
quanto piuttosto come un complesso di pratiche situate, mutevoli, fluide
e relazionali (qualcosa che “si fa”) (West, Zimmerman, 1987; Butler, 1990;
Gherardi, 1994). Esso si configura inoltre come un’istituzione complessa
e contraddittoria, un variegato insieme di “relazioni sociali e cultura,
che include aspettative e ideologia, strutture sociali, politiche ed economiche,
statuti di micro livello, identità e pratiche, tra gli altri elementi”
(Martin P., 2001, p. 590, mia traduzione). Martin (2003) sottolinea inoltre
come molte pratiche di genere si svolgano rapidamente, “in action” e su
più livelli differenti, non sempre e non tutti consapevoli, o solo liminalmente
consapevoli, sia per chi li agisce, sia per chi vi assiste. Si tratta
dunque di un concetto la cui individuazione ed il cui studio, anche entro
ben determinati contesti, non si rivela semplice, né tantomeno lineare.
Proprio per questo insieme di ragioni, la lente interpretativa della narrazione
si rivela particolarmente adatta allo studio del genere. Le pratiche discorsive,
alla base di ogni narrazione, rappresentano infatti uno dei canali privilegiati
di produzione-riproduzione dei processi ideologici di differenziazione
di genere. L’analisi narrativa permette di fare luce su tali dinamiche,
che rimangono altrimenti molto spesso implicite, inconsapevoli, non dette.
Inoltre, l’approccio narrativo, inteso in un’accezione tanto epistemologica
(le narrazioni in quanto orizzonte euristico), quanto metodologica (le
narrazioni come strumento analitico) e di tecnica di raccolta dati (l’intervista
narrativa), consente di sollecitare ed analizzare le produzioni discorsive
individuali, permettendo di avere accesso alle interpretazioni, alle costruzioni
culturali, all’orizzonte di senso ed ai diversi modi in cui gli individui
interpretano e rielaborano il genere, a partire da una serie di repertori
sociali e culturali disponibili, propri di un dato ordine di genere (Poggio,
2004a).
Alla luce di quanto sin qui emerso, non sorprende dunque il moltiplicarsi,
in anni recenti, di contributi che hanno come oggetto di indagine, variamente
declinato, la relazione tra genere, discorso e narrazione (Dundas Todd,
Fisher, 1988; Tannen, 1994; Wodak, 1997); le interazioni conversazionali
ed il genere (Tannen, 1993); l’interpretazione dei modelli narrativi di
uomini e donne in relazione alla narrazione autobiografica (Freccero,
1986), alle carriere lavorative (Gherardi, Poggio, 2003), al rapporto
con il lavoro e la precarietà lavorativa (Murgia, 2011), ai processi di
sensemaking messi in atto a seguito di eventi personali traumatici, quali
ad esempio il divorzio (Riessman, 1990). L’insieme vasto e variegato di
questi studi ha contribuito a mettere in luce e ad analizzare il ruolo
cruciale svolto dal linguaggio e dai discorsi nei processi di rappresentazione
ed interpretazione della realtà, sia in termini conservativi, sia trasformativi;
nei processi di costruzione sociale del genere; nelle relazioni di potere
in essi veicolate e riprodotte (Poggio, 2004b). Il filone di studi narrativi
comprende infine anche una serie di contributi specificamente concentrati
sulla relazione tra discorsi, genere e politica, con focus specifici sull’analisi
dei discorsi parlamentari e la costruzione del concetto di “buone maniere”
politiche (Shaw, 2000) e sulla costruzione delle identità di genere delle
donne in politica (Walsh, 1998; 2001).
Un’ulteriore possibilità fornita dall’applicazione dell’approccio narrativo
allo studio del genere è quella di mettere in luce la maschilità, intesa
come dimensione di genere egemone (Connel, 1995) ed in quanto tale invisibile,
naturalizzata, in grado di esercitare un dominio “attraverso il linguaggio,
il potere, l’autorità, la gerarchia” (Gherardi, Poggio, 2003, p. 27),
ma anche mediante processi sessuali ed emozionali (Parkin, 1993). Uno
degli elementi fondanti il sistema di differenziazione di genere, in particolare
all’interno di contesti a dominanza maschile da un punto di vista simbolico,
culturale, numerico è infatti costituito dalla scomparsa della maschilità
dall’orizzonte narrativo, che si costituisce come dato universale e neutro
e connota lo spazio simbolico del femminile come iper-visibile (Kanter,
1977), dissonante, eccezionale (Gherardi, Poggio, 2003).
Anche il contesto di ricerca da me considerato si presenta come una dimensione
a dominanza maschile, non solo dal punto di vista strettamente numerico,
ma anche e soprattutto dal punto di vista simbolico-culturale. La politica
si costruisce infatti nei secoli, sin dalla fondazione delle moderne democrazie
occidentali, come ambito di esclusiva pertinenza maschile (Sledziewski,
1991; Rossi Doria, 1993; Cirillo, 2001), sulla base del dualismo dicotomico
che informa il pensiero occidentale, associando la maschilità all’ambito
della razionalità, dell’attività, dello spazio pubblico-politico e la
femminilità all’emotività, alla passività, allo spazio privato-domestico
(Del Re, 1989; Boccia, 2002).
Alla luce di quanto rilevato a proposito della peculiarità di tale sfera
d’indagine, va sottolineato come l’uso dell’approccio narrativo permetta
di decostruire il carattere neutrale ed universalizzante con cui la politica
sovente si (auto)rappresenta, legittimandosi sulla base di quell’universalismo
astratto di matrice liberale, fondamento delle democrazie parlamentari
occidentali, che occulta le disuguaglianze, annullandole all’interno di
un paradigma astratto e disincarnato di cittadinanza (Calás, Smircich,
1996; Cirillo, 2001; Cavarero, Restaino, 2002).
2. Contesto della ricerca e metodologia
Il presente contributo è basato su una ricerca condotta all’interno di
quattro partiti politici, nel contesto territoriale della provincia di
Trento. I partiti sono stati selezionati in base alla loro collocazione,
rispettivamente due nell’area del centro destra e due nell’area del centro
sinistra. Ai fini di questa esposizione saranno considerati solamente
due dei quattro partiti oggetto di studio, quelli caratterizzati da un
orientamento ideologico più radicale all’interno di entrambi gli schieramenti.
Tale selezione è motivata dall’esigenza di comparare i dati di ricerca
anche sulla base delle diverse culture politiche di appartenenza, mettendo
quindi in relazione la costruzione del genere all’interno delle due organizzazioni
con la loro collocazione politica ed i loro orientamenti ideologici e
valoriali. A tal fine, è parso quindi di maggior interesse mettere a confronto
le due organizzazioni politiche maggiormente distanti dal punto di vista
della collocazione politica [1].
I dati di ricerca sono stati raccolti tramite sedici interviste narrative,
effettuate tra l’ottobre 2007 ed il marzo 2008, con quattro uomini ed
quattro donne per ciascun partito. La selezione del campione ragionato
(Cardano, 2003) si è basata su tre criteri: il sesso, l’età ed il ruolo
ricoperto all’interno del partito. L’incrocio dei tre criteri di selezione
ha dato così origine ad una suddivisione del campione in due coppie d’età
per ciascun partito: un uomo ed una donna relativamente giovani (tra i
22 ed i 36 anni), di recente ingresso nell’organizzazione ed un uomo ed
una donna maturi (tra i 51 ed i 62 anni), presenti da tempo nel partito
e con una lunga esperienza politica alle spalle [2].
Le interviste, della durata variabile da un minimo di un’ora e trenta
ad un massimo di tre ore, si sono svolte in luoghi stabiliti dagli intervistati
e nella maggior parte dei casi si è trattato di sedi istituzionali o di
partito. Tutti i colloqui sono stati audioregistrati e trascritti integralmente.
Le interviste si sono articolate sulla base di una traccia ampia, suddivisa
in diverse aree tematiche: la storia politica della persona; la relazione
tra attività politica, reti familiari e di conoscenza e attività lavorativa;
l’organizzazione partitica ed il genere, inteso come insieme di esperienze
vissute, pratiche quotidiane, ordine simbolico-culturale veicolato dall’organizzazione;
la politica ed il mutamento di genere. Si tratta dunque di una traccia
che, riprendendo la distinzione di Bichi (2002) [3],
combina elementi del racconto di vita (nella parte che fa riferimento
alla carriera politica), a quelli di un’intervista semi-strutturata (per
quanto concerne le aree tematiche relative all’organizzazione-partito,
a quelle sull’interazione tra vita politica e vita privata e quelle su
genere e generazioni). Si tratta di uno strumento volto a fare luce sul
mondo dell’intervistato, nel rispetto del suo universo di senso (Bichi,
2002; Poggio, 2004a), caratterizzato dunque da un grado molto basso di
standardizzazione e direttività. Il grado di strutturazione, come si evince
dall’ampiezza della traccia, è invece piuttosto elevato, benché nella
modalità di conduzione dei colloqui io abbia cercato di far sì che la
strutturazione della traccia non ne compromettesse l’andamento fluido
e non direttivo, aspetti indispensabili alla produzione di storie che
siano espressione il più possibile libera di scelte individuali dal punto
di vista di trama, sequenzialità, personaggi, positioning, usi linguistici.
L’analisi del materiale raccolto si è rivelata complessa, soprattutto
in ragione della sua vastità e varietà. Inoltre, all’interno del paradigma
narrativo è disponibile un insieme molto ampio ed eterogeneo di approcci
analitici. Rispetto all’analisi, è infatti possibile mettere in luce molteplici
dimensioni, talvolta distanti tra loro. Tra le altre, riporto qui di seguito
le più rilevanti, entro le quali si collocano specifici contributi, quando
non veri e propri filoni di studi narrativi: struttura, stili discorsivi,
scelte linguistiche e grammaticali, generi narrativi sottesi al discorso,
atteggiamenti e motivazioni, sequenze temporali, trame, personaggi, attribuzione
dell’agency e posizionamento dell’io narrante nella storia (Poggio, 2004a).
Le principali modalità di analisi narrativa fanno inoltre riferimento
ai tre parametri individuati da De Beaugrande (1980) per analizzare i
testi: il contenuto, la struttura, il contesto. A queste dimensioni si
associano rispettivamente tre fondamentali domande, che possono orientare
le scelte analitiche: ‘cosa’, ‘come’ e ‘perché’ (Poggio, 2004a). Nel mio
lavoro di analisi ho privilegiato il ‘cosa’ mi è stato narrato, sia rispetto
al ‘come’, sia rispetto al ‘perché’. L’attenzione analitica si è infatti
concentrata prevalentemente su contenuti e nessi causali nei racconti,
senza tuttavia tralasciare alcuni usi lessicali che sono parsi particolarmente
significativi (il ‘come’) ed alcuni cenni ad elementi di contesto, che
potevano orientare la comprensione di quanto narrato (il ‘perché’). Queste
due ultime dimensioni rimangono tuttavia sullo sfondo di un’analisi particolarmente
rivolta ai contenuti delle storie.
In particolare, l’interesse analitico si è concentrato in primo luogo
sugli elementi di costruzione del genere emersi dai racconti, dal punto
di vista delle dichiarazioni esplicite e consapevoli di convinzioni, orientamenti
valoriali, credenze circa il significato attribuito soggettivamente a
maschilità e femminilità, alle differenze tra uomini e donne, alle interpretazioni
date alla questione della presenza delle donne in politica e nel partito.
In secondo luogo, la mia attenzione si è focalizzata su storie, aneddoti,
esperienze personali che veicolassero elementi di costruzione di genere
maggiormente legati ai vissuti, rispetto all’espressione di convinzioni
ed orientamenti valoriali [4]. Ho poi
messo a confronto tali elementi narrativi con quelli legati invece all’espressione
di posizioni ideali e/o ideologiche, alla ricerca di continuità, ma soprattutto
di fratture, nella convinzione che spesso gli aspetti di maggior interesse
in una storia si celino negli interstizi, nei balbettii e nei frammenti,
più che nelle dichiarazioni esplicite, dirette e coerenti.
Ho infine cercato di mettere a confronto le diverse voci narranti, evidenziando
divergenze ed affinità nei racconti individuali, sulla base dei tre criteri
di campionamento, vale a dire la collocazione politica delle persone intervistate,
l’età ed il sesso. In relazione alla prima delle tre dimensioni, ho prestato
attenzione agli elementi di cultura politica associabili al partito ed
all’area politica di appartenenza ed alla costruzione di genere, mettendo
in rilievo elementi di vicinanza o, viceversa, di distanza tra le due
organizzazioni politiche. Per quanto concerne il sesso, ho messo a confronto
le diverse voci narranti, allo scopo di mettere in luce distanze ed affinità
nei racconti, nelle storie politiche tratteggiate, negli sguardi sul partito
e sulla politica. Ho infine tentato di rendere conto delle fratture generazionali
emerse nei racconti, allo scopo di dare una lettura delle costruzioni
di genere individuali orientata anche sulla base di cambiamenti culturali
dettati dalla diversa età anagrafica.
3. Destra, un partito di “opportunità diversificate”
Maria mi racconta della sua esperienza e dell’incarico ricoperto all’interno
del partito, lasciando emergere una condizione personale di eccezionalità,
all’interno di un contesto a quasi completa dominanza maschile. Le donne
in posizione dirigenziale all’interno dell’organizzazione di cui è parte
sono poche, l’intervistata sottolinea il fatto che non vi sia nessun’altra
donna a ricoprire il suo incarico in altre zone (presidente di circolo).
Rispetto a tale disparità numerica Maria argomenta
«[…] nel senso che ci sono molte meno donne che uomini [nel mondo delle
professioni]. Quindi, se vai a ricercare le professionalità, o le personalità,
se tu hai una donna e nove uomini, è chiaro che la trovi in un uomo.»
(Maria, 51, Destra)
La narrazione di Maria sul tema della disparità numerica tra donne e uomini
nel partito inizia con il riferimento ad una dimensione numerica, neutrale,
che dalla società e dal mondo delle professioni fa discendere automaticamente
le ragioni della scarsa presenza femminile in politica. Si tratta di un
piano argomentativo generico, che non entra specificatamente nel merito
del proprio partito, né tantomeno della propria esperienza personale al
suo interno.
«[…] Secondo me sì, va ovviata [la disparità di presenza tra donne e uomini],
nel senso, ma non perché mancano le donne come genere, ma perché c’è bisogno
di professionalità, c’è bisogno di personalità anche al femminile, perché
io dico, il mondo è fatto di persone, no? Poi le persone e comunque le
donne son diverse dagli uomini, ci son delle specificità tipicamente femminili
che vanno valorizzate. Caratteristiche femminili, che sono, per esempio
le donne son molto più concrete, son molto più pratiche. Oltre ad essere
molto più ambiziose e quindi determinate, forse l’ambizione riguarda più
la carriera che la politica, comunque son più determinate, se fanno le
cose è proprio perché sono più passionali secondo me. E quindi, siccome
le donne devono sempre dimostrare di essere [ride] tre volte più brave
degli uomini, questo vale a scuola, vale all’università, vale sul lavoro,
vale dappertutto, e vale anche in politica» (Maria, 51, Destra).
Nel racconto di Maria la “neutralità” dei numeri, che non sembra concedere
alcuno spazio ad una lettura orientata al genere, viene ribadita dalla
riflessione successiva, incentrata sulla necessità di porre rimedio allo
squilibrio nella partecipazione di uomini e donne. L’intervistata giustifica
immediatamente tale necessità, neutralizzando ogni possibile sfumatura
polemica nel proprio discorso, precisando che si tratta di un’esigenza
non legata al genere, che sembra rimandare, come uso lessicale, ad un
piano conflittuale. Non si tratta di una questione legata alle “donne
come genere” bensì alla necessità di includere “le persone”, e le differenze
che le contraddistinguono.
La narrazione prosegue poi con l’uso di un’altra argomentazione che depoliticizza
il conflitto di genere alla base dello squilibrio numerico tra uomini
e donne in politica, vale a dire la costruzione di una specificità femminile.
Le “specificità tipicamente femminili” citate sono in primo luogo concretezza
e senso pratico: i due sostantivi rimandano ad una tradizionale divisione
simbolica di genere tra il piano della razionalità astratta, speculativa,
associato alla maschilità, ed a quello della concretezza, della materialità,
associato invece alla sfera simbolica del femminile. Tuttavia Maria menziona
altre tre specificità femminili: determinazione, ambizione e passionalità.
Il richiamo a tali caratteristiche costruisce la posizione delle donne
come una posizione di sfida, di eccezionalità, che necessita di competenze
straordinarie. Le donne sono dunque figure eccezionali ed eccezionalmente
disposte a compiere scelte dettate dalla passione, un termine dalla doppia
accezione, che si lega sia alla sfera semantica della sofferenza, sia
a quella del piacere.
La rottura della neutralità numerica con cui Maria ha iniziato la sua
narrazione si incrina ulteriormente nella frase successiva, in cui l’intervistata
sostiene come le donne debbano dimostrare di essere “tre volte più brave
degli uomini”, esplicitando una convinzione antitetica rispetto alla linea
argomentativa iniziale, basata sull’ “oggettività” dei numeri: nel dispiegarsi
del flusso narrativo, la neutralità non conflittuale e giustificatoria
lascia dunque il posto ad una narrazione più densa di sfumature e contraddizioni,
che non giungono tuttavia mai a sfociare in una posizione di aperta criticità
o conflittualità.
La costruzione discorsiva del genere messa in atto da Michele non appare
invece segnata dalle contraddizioni emerse nel racconto di Maria
«[…] a mio giudizio c’è un numero consistente di donne che non ha interesse
particolare per la politica e preferisce organizzare la propria vita intorno
alla famiglia. E a mio giudizio sarebbe una collocazione anche giusta,
non la vedo negativa» (Michele, 57, Destra).
Nel discorso di Michele non è la politica a mostrare uno squilibrio di
genere, un carattere in qualche modo escludente, ma sono le donne stesse
a non essere interessate ad essa, poiché organizzano la propria vita “intorno
alla famiglia”. L’intervistato ritiene tale scelta giusta, esplicitando
subito dopo le ragioni della sua convinzione
«[…] perché io culturalmente sono per le opportunità diversificate. Cioè,
in certi settori a mio giudizio la donna deve essere privilegiata. […]
Eh, quindi, per me la vita politica di una donna, eh, può risentire di
quelli che sono i rapporti familiari, tant’è che, a volte, vi sono momenti
in cui la donna è più disponibile per l’impegno politico, che sono magari
il momento giovanile, oppure magari il momento in cui la famiglia si è
consolidata, i figli crescono, e allora ha più spazi. […] e quindi dico:
tendenzialmente la donna è meno motivata rispetto all’impegno politico.
[…] però io credo che sia sempre una scelta, una scelta sua e non c’è
discriminazione» (Michele, 57, Destra).
L’intervistato rovescia il concetto di pari opportunità in quello di “opportunità
diversificate”, sostenendo che le donne debbano essere “privilegiate”,
in tutte quelle scelte che “consentono” loro di vivere il tradizionale
ruolo riproduttivo e di cura come elemento centrale dell’esistenza. La
costruzione del genere e dei ruoli maschili e femminili è improntata ad
una naturalizzazione di elementi di divisione simbolica tradizionali,
che assegnano le donne alla sfera privata-familiare e in particolar modo
materna, costruendone l’impegno politico come una remota possibilità che
può esplicarsi eventualmente in particolari “momenti”, che lasciano le
donne libere dal proprio compito essenziale, dalla propria vocazione di
madri.
Appare interessante rilevare come anche Francesca, una delle due persone
giovani intervistate, menzioni la questione delle pari opportunità, che
sembra configurarsi come un tema rilevante all’interno del partito, rispetto
al quale emerge una visione condivisa. Infatti, il discorso di Francesca
risulta in linea con quanto espresso da Michele, nonostante la differenza
generazionale, di posizione all’interno del partito e di condizione soggettiva.
A proposito delle sue prime scelte politiche nel ruolo di coordinatrice
del gruppo femminile di partito, Francesca racconta
«Infatti noi la prima cosa che abbiamo fatto è stato, “Io le pari opportunità
non le voglio tenere, abbiate pazienza” [ride]. […] [A proposito delle
donne degli altri partiti, che si organizzano in gruppi autonomi] Io francamente
non so, probabilmente vivranno una situazione di frustrazione in questo
senso. Io non avendone motivo, anzi, cioè, quando mi hanno proposto qualcosa,
l’ho ricevuta inaspettatamente, come dire, io ho fatto quello che potevo
fare, mi danno un riconoscimento che io manco per il cavolo mi aspettavo.
[…] è una cosa che ho spiegato anche l’altra sera a cena alle nuove, che
eventualmente non conoscono e non sanno: “Noi non abbiamo motivo di lottare,
se noi facciamo, a prescindere che siamo uomo o donna, c’è il riconoscimento,
verrà la responsabilità, chi la vuole, perché ci son persone che non la
vogliono, e va benissimo così, ci mancherebbe altro di imporre cose a
chi non le vuole”» (Francesca, 22, Destra).
Francesca esprime una netta distanza dal tema delle “pari opportunità
ed è rilevante che l’intervistata citi la scelta di non occuparsi del
tema come “la prima cosa che abbiamo fatto”, a voler segnare, nella struttura
narrativa, un incipit chiaro e nettamente posizionato. Le donne che si
organizzano in gruppi autonomi, negli altri partiti, probabilmente hanno
delle buone ragioni, ma nella comunità politica di Francesca certe cose
non accadono. Francesca rafforza questa affermazione raccontando di come
il suo contributo alla vita di partito sia sempre stato valorizzato. L’accento
sulla sorpresa, sulla mancanza di aspettative a riguardo dipinge tale
riconoscimento come una sorta di elargizione, e non come il giusto riconoscimento
di impegno e partecipazione. L’insieme del racconto è impostato su un
forte senso di coesione e difesa della propria comunità politica, rispetto
alla quale Francesca vuole dimostrare lealtà.
La narrazione prosegue coerente, con Francesca che si racconta nel ruolo
di colei che trasmette le regole organizzative alle “nuove”. Ancora una
volta, il sistema di partito è dipinto come neutrale rispetto al genere:
coloro che si impegnano vedranno riconosciuto il proprio lavoro, proprio
come è accaduto a lei. Con una strategia retorica non dissimile da quella
delle “opportunità diversificate” di Michele, anche Francesca rovescia
infine il piano del discorso: chi si impegna, dimostrando di avere interesse
per la politica, verrà premiato, se, al contrario, le responsabilità venissero
distribuite a prescindere dall’interesse delle persone, si tratterebbe
di un’ingiusta “imposizione”.
Nonostante il quadro idilliaco descrittomi inizialmente, con il procedere
dell’intervista, in maniera non dissimile a quanto avvenuto con Maria,
anche nel racconto di Francesca si insinuano crepe e contraddizioni, in
particolare a proposito della sua attività all’interno del gruppo giovanile
«Ma forse coi rapporti coi pari all’inizio avevo un po’ di frustrazione,
perché vedevo che tra di loro avevano un modo di giocare che io, unica
donna in quel momento, non entravo a farne parte, e poi hanno iniziato
a picchiare pure me, e quindi [ride], va benissimo. Tipo un branco di
lupi. Noi usiamo molto spesso questa metafora. All’inizio ero un po’ frustrata.
Però dopo, a mente fredda ho capito che era giusto così, che io, essendo
donna, abbia un’altra forma di rapporto. E quando ho capito che era giusto
così è il momento in cui mi hanno buttato [ride] dentro nel branco, e
allora ho detto “Bene, allora era giusto così, però, a me va bene così”»
(Francesca, 22, Destra).
Francesca mi racconta, seppure tra mille cautele, di un inserimento difficoltoso
in un gruppo di pari tutto maschile (“io, unica donna in quel momento”),
in cui i rapporti sembrano essere improntati all’esercizio di virilità
e cameratismo. La metafora del “branco di lupi” in questo senso risulta
assai significativa, associandosi semanticamente all’idea di un gruppo
coeso, improntato ad una socialità “animale”. Francesca, sola donna, evoca
sentimenti di frustrazione e di esclusione rispetto ai “giochi” maschili,
nei quali non è coinvolta. Il racconto oscilla tra il desiderio di inclusione
nel gruppo maschile e il senso di ciò che l’intervistata giudica “adeguato”
rispetto al proprio essere donna, in una dinamica di gender switiching
(Bruni, Gherardi, 2001). Al termine della fase di accettazione, di “prova”,
Francesca racconta della sua integrazione nel “branco”, per mezzo della
sospensione del codice di genere, in favore del prevalere del codice di
gruppo.
È significativo notare come la costruzione del genere di Francesca presenti
uno iato tra narrazione e pratica: le sue convinzioni parlano di una netta
demarcazione tra sfera maschile e femminile, con precise prescrizioni
di comportamento per uomini e donne, tuttavia il suo racconto parla anche
di un profondo bisogno di inclusione nelle pratiche di omosocialità del
gruppo (“era giusto così, però a me va bene così”). Tale contraddizione
non viene però articolata dal punto di vista dell’ordine di genere, che
non risulta messo in questione nel discorso dell’intervistata, la quale
racconta in una certa misura una storia sospesa, irrisolta, in cui una
strategia individuale e quotidiana di gestione di un conflitto di genere
l’ha condotta a trovare una soluzione che, seppure precaria (“era giusto
così, però a me va bene così”), sembra soddisfarla.
Al pari di Francesca, anche Marco racconta di un’organizzazione meritocratica,
in cui non viene messo in atto nessun tipo di discriminazione. Tuttavia,
a differenza di Michele, nella cui narrazione le donne sono soggetti universali
ed astratti, Marco cita degli esempi concreti di donne con incarichi dirigenziali
nel partito, dimostrandosi in qualche modo più vicino al tema, in termini
esperienziali
«[…] Elena [dirigente di partito di una regione vicina, ora divenuta assessora
regionale], eh, vedo che è cresciuta all’interno del partito, ha avuto
dei suoi spazi, perché era una persona che li meritava. E ti dico, anche
se noi eravamo ragazzi, eh, veniva, eravamo contenti che venisse proprio
perché poteva farci crescere… quindi non c’era un problema perché lei
era una ragazza o altro. Ma ci sono anche altre donne all’interno del
partito, ma sono, diciamo, cresciute all’interno, facendo la strada che
han fatto tutti gli altri, non hanno avuto vantaggi o svantaggi, cioè,
all’interno, è una comunità e quindi, deve funzionare il sistema meritocratico,
quindi chi vale, chi ha le possibilità deve andare avanti, uomo o donna
che sia. Cioè, non vedo in questo, no, non vedo che ci debba essere un
vantaggio perché è donna» (Marco, 31, Destra).
La narrazione di Marco rivela un’abitudine al confronto con donne coetanee
attive in politica, del tutto assente nell’intervista di Michele. Elena
viene descritta come un punto di riferimento formativo importante, del
quale Marco sembra avere stima, segnalando dunque un parziale cambiamento
generazionale nell’organizzazione.
Come per le precedenti interviste, anche nel racconto di Marco viene negata
la possibilità di qualsiasi tipo di discriminazione di genere, lasciando
invece spazio ad una retorica non dissimile a quella del riconoscimento,
proposta da Francesca, che pone invece qui l’accento sulla meritocrazia,
intesa come sistema di promozione interna neutrale dal punto di vista
del genere e “giusto”. La retorica della meritocrazia sembra inoltre svolgere
una funzione riparatoria dell’ordine simbolico di genere infranto (Gherardi,
1995) dalla presenza di una giovane donna a capo di un gruppo al maschile
(“ha avuto dei suoi spazi, perché era una persona che li meritava”): il
merito neutralizza l’aspetto di genere culturalmente dirompente e potenzialmente
conflittuale, diventando una sorta di giustificazione che rende l’eccezione
tollerabile.
L’accento cade inoltre, come per Francesca, sul tema della “comunità”
politica, intesa come uno spazio coeso e trasparente, dove chi lo merita,
“uomo o donna che sia”, va avanti, si fa strada. Come nei racconti di
Michele e Francesca, anche Marco opera un’interessante rovesciamento logico,
per cui l’uso di criteri di selezione diversi da quello meritocratico
(qui il riferimento è alle politiche di azione positiva e di pari opportunità)
comporterebbe un ingiusto avvantaggiare “la donna”, qui nuovamente disincarnata
e universale.
Infatti, la narrazione di Marco prosegue sulla base di tale rovesciamento,
spingendosi oltre
«No, sono, penso siano poche, ma non sono poche perché, diciamo, gli uomini
non le vogliono all’interno. Ma perché ci sia un modo diverso forse di
vivere quello che è la politica, quindi magari non abbiano magari, magari
neanche loro interesse a diventare o a fare il presidente provinciale
o il presidente della sezione o altro. Cioè, gli spazi ci sono, la possibilità
c’è, e poi penso che sia una scelta loro» (Marco, 31, Destra).
Marco ammette la scarsa presenza femminile, evitando tuttavia di trarne
conclusioni che chiamino in causa dinamiche di potere legate all’ordine
di genere, affermando che la diversità femminile determina un minor interesse
a ricoprire ruoli di responsabilità Il presunto minor attaccamento al
potere femminile, la “diversità” femminile in politica, che rimane non
spiegata, diventa ragione del potere maschile, analogamente a quanto emerso
nel racconto di Michele. La differenza nella costruzione del genere che
si insinua tra i due uomini, portato di una differente esperienza generazionale,
sfocia quindi in una ricomposizione coerente, che costruisce le donne
come naturalmente e universalmente differenti.
4. Sinistra, una lunga transizione interrotta
Il racconto di Carmen, in maniera non dissimile da quanto emerso in quello
di Maria (51, Destra) è improntato all’eccezionalità, alla rottura della
norma, alla passione, tutte dimensioni associate alla scelta di vita che
a sua detta una donna deve compiere per poter perseverare nell’attività
politica:
«[…] una donna che fa politica non è una donna di casa, non ha il tempo
materiale per farlo, non ha il tempo materiale. […] Le donne che fanno
politica sono diverse dalle donne normali, perché eh, le donne che si
mettono in campo a fare politica, se hanno famiglia, se hanno eccetera
eccetera, devono essere spinte da un… no» (Carmen, 61, Sinistra).
Carmen nel suo discorso contrappone le donne che “fanno politica” alle
donne “di casa”, affermando che solo a queste ultime è possibile avere
una vita familiare “normale”, a causa della mancanza di tempo. La politica
è dipinta come un’attività totalizzante, che non lascia “tempo materiale”
per altro. Nella costruzione discorsiva viene inoltre riproposta la dicotomia
tra sfera privato-domestica, tradizionalmente associata alla femminilità,
e sfera politico-pubblica, storicamente di appannaggio maschile ed a lungo
preclusa alle donne. Carmen descrive le due dimensioni come inconciliabili
(“una donna che fa politica non è una donna di casa”), se non in casi
assolutamente eccezionali - nella duplice accezione di rari e al di fuori
del comune - interpretati, analogamente a quanto raccontato da Maria (51,
Destra), con la retorica del forte slancio (“devono essere spinte da un…
no?”). Solo la presenza di una simile spinta permette a queste donne sdoppiate
di portare avanti il proprio impegno politico.
Il racconto di Carmen prosegue, mettendo in luce altri aspetti conflittuali
e contraddittori della propria esperienza
«E la roba più tremenda è non diventare come loro: io ogni tanto, ogni
tanto ho ben assunto degli atteggiamenti da maschiaccio. Noi non possiamo
fare politica e diventare come i maschi, perché sarebbe la nostra rovina…
noi dobbiamo andare avanti e dovremmo riuscire a mettere da parte questa
violenta ambizione. Cioè, dovremmo, dovremo come dire, creare rete e confronto.
[…] Perché la politica può essere salvata dalle donne, io son convinta
di questo» (Carmen, 61, Sinistra).
L’intervistata sembra dibattersi nel conflitto generato dalla dinamica
del double bind (Bateson, 1969; Gherardi, 1994; Jamieson, 1995). Con questo
termine si indica il dilemma incontrato generalmente dalle donne
“che entrano in un’organizzazione in cui l’ordine simbolico dominante
è maschile […]: possono comportarsi “da donne”, accentuando così la loro
“alterità” rispetto alla cultura organizzativa maschile, oppure possono
cercare di conformarsi alle norme associate alla mascolinità, suscitando
tuttavia disapprovazione da parte dell’organizzazione, che le considera
come donne che cercano di agire da uomini” (Gherardi, Poggio, 2003, p.
215).
Carmen racconta di un’esperienza politica nel corso della quale ha assunto
degli atteggiamenti associati ad una maschilità stereotipica (il riferimento
qui è alla dimensione dell’aggressività e dell’imposizione), tuttavia
tale esperienza genera in lei un conflitto. L’intervistata manifesta infatti
un’esigenza di cambiamento della politica, la necessità di trovare modi
e forme diverse, rispetto a quelle dei “maschi”, meno improntate all’“ambizione
violenta”. La costruzione del discorso è basata sulla contrapposizione
tra l’ambizione, legata ad un atteggiamento individualista, che contraddistingue
l’attuale situazione politica, associato al predominio degli uomini, ed
un atteggiamento cooperativo e solidale (la rete, il confronto), che Carmen
vorrebbe venisse costruito dalle donne.
Emerge inoltre un elemento narrativo forte, quello delle donne “salvatrici”
della politica, un ruolo femminile che mobilita un immaginario di genere
piuttosto tradizionale, che dilata simbolicamente la sfera semantica della
cura, ma che è qui collegato alla dimensione politica, dimensioni tradizionalmente
maschile, in un mescolamento di piani e registri.
Anche Giulio, al pari di Carmen, sottolinea la centralità della divisione
del lavoro domestico e di cura nel determinare una disuguale presenza
di uomini e donne in politica
«[…] la politica dovrebbe a quel punto veramente organizzarsi in modo
eh… molto diverso per garantire, no, la potenziale parità. Non sto pensando
semplicemente a una politica che si adegua ai tempi delle donne, eh, soltanto.
Ma c’è proprio un problema di ruoli, che non è detto che siano fissi,
però, di fatto, non è cambiato molto. Pensando a me, insomma, non è cambiato
molto nella dinamica all’interno della famiglia … è la donna che si incarica
di tutta una serie di cose che dai per scontate. Però quell’organizzazione
lì è chiaro che ti taglia fuori da una serie di momenti. E quindi ho l’impressione
che questo problema ce lo porteremo dietro per molto tempo» (Giulio, 62,
Sinistra).
Giulio imposta il proprio discorso su una base completamente differente
rispetto alle persone intervistate nel partito Destra, ponendo in questione
la politica ed i suoi “tempi”, che vengono descritti non come una dimensione
naturale e scontata, bensì passibile di rinegoziazioni e mutamenti. In
particolare, la sua riflessione si rivela addirittura antitetica rispetto
a quella di Michele, impostata su una dicotomica divisione di ruoli (produttivo-maschile
e riproduttivo-femminile) e di sfere (pubblica- maschile e privata-femminile).
Inoltre, Giulio sposta il ragionamento dalla politica alla famiglia stessa,
ponendo in questione la divisione di genere del lavoro domestico.
Risulta inoltre di notevole interesse constatare che Giulio, come vedremo
unico fra tutti gli uomini intervistati, faccia riferimento nel suo argomentare
al piano dell’esperienza personale, mettendo in questione il proprio comportamento
(“Pensando a me, insomma, non è cambiato molto nella dinamica all’interno
della famiglia”).
La lunga storia politica dell’intervistato si traduce anche in uno sguardo
prospettico, teso ad un confronto tra il passato, gli inizi della sua
carriera politica, e l’oggi
«Bè, devo dire che il panorama è molto cambiato: entrare adesso in un
comitato direttivo, insomma, in una direzione di trenta persone, pensando
a quel che era una direzione trent’anni fa, c’è un abisso insomma. Oggi
veramente ti trovi lì mescolato… con le donne che non fanno il soprammobile,
intervengono alla pari, talvolta son più loro. […] Qua forse i conti non
tornano, nel senso che questa presenza negli organismi non si traduce
in un rapporto uguale negli incarichi, diciamo così principali. Eh, da
questo punto di vista quindi son stati fatti dei passi avanti però siamo
ancora sotto, c’è ancora una sottorappresentazione. Indubbiamente …» (Giulio,
62, Sinistra).
La struttura narrativa di questo secondo estratto si divide in una prima
parte, nella quale Giulio mette in luce i cambiamenti rispetto al passato.
La descrizione degli attuali organismi decisionali interni rimanda ad
un ambiente “mescolato”, in cui la presenza femminile assume ormai un
rilievo non solo numerico, ma anche in termini di contenuti. La seconda
parte della narrazione si sofferma invece sul presente, rilevando come
questa paritaria presenza femminile nelle strutture interne al partito
non si traduca tuttavia in un “uguale rapporto negli incarichi […] principali”.
L’analisi di Giulio si spinge quindi ben oltre la mera constatazione di
una presenza egualitaria nel partito, mettendo in luce come tale dato
sia per certi versi ingannevole e nasconda il permanere di una disparità
riguardo ai ruoli di maggior prestigio.
La costruzione del genere di Giulio appare paritaria nei contenuti, dando
per scontato, nel racconto, che un’equa presenza di uomini e donne sia
da considerare un elemento necessario e positivo, benché si tratti di
un risultato raggiunto solo parzialmente. La differenza rispetto ai racconti
del partito Destra, ancora una volta, si rivela marcata, in particolare
rispetto a Michele e Marco, i quali attribuiscono invece, come abbiamo
visto, la minor presenza delle donne in politica ad un loro “naturale”
minor interesse a partecipare.
Prendendo in esame ora le narrazioni dei due giovani, Anna e Matteo, risulta
in primo luogo rilevante il differente rapporto con il tema delle scelte
di vita familiari messo in luce da Anna. Infatti, se il racconto di Carmen
è improntato alla pressoché impossibile inconciliabilità tra vita familiare
e politica, se non in termini di eccezionalità, Anna traccia per sé una
storia personale diversa, in particolare a proposito della propria scelta
di maternità
«[…] io a trentatré anni ho cominciato a fare un ragionamento piuttosto,
diciamo… forse normale, forse che ti viene a una certa età e dici “Adesso
devo fare una scelta, o mi decido o non mi decido”. E devo dire che frequentare
questi posti, e soprattutto frequentare ad esempio donne che si sono lasciate,
per scelta, per non scelta, voglio dire non so, non voglio entrare, ma
frequentare donne che sono state così assorbite dalla politica che, che
magari a un certo punto il tempo gli è passato... E io ho detto “Io non
voglio che il mio tempo passi per poi guardarmi indietro e dire: “Ma,
non ho…” Ecco. Allora mi sono detta: “Adesso voglio o non voglio?” e ho
detto, adesso è per me il momento giusto. […] Questo non ha, ha condizionato
la mia esperienza politica, ma non l’ha, non l’ha compromessa. L’ha per
certi versi arricchita» (Anna, 36, Sinistra).
Anna racconta di una scelta fatta anche sulla base dell’esempio fornitole
da altre donne nel partito, che non hanno avuto figli, a sua detta perché
troppo assorbite dalla politica, in analogia a quanto raccontato da Carmen
(“Le donne che fanno politica non sono donne di casa”). Anna decide di
tracciare per sé un destino diverso, senza tuttavia rinunciare alla politica.
La sua è una narrazione improntata ad una forte agency, in cui si descrive
come una persona determinata ad esercitare un diritto di scelta (“Allora
mi sono detta: “Adesso voglio o non voglio?””). Tale diritto si caratterizza
inoltre come volontà di porre un limite ad una sfera di attività, quella
politica, che sembra portare con sé un pericolo di annullamento (“donne
che sono state così assorbite dalla politica che, che magari a un certo
punto il tempo gli è passato”). Se il discorso di Anna è lontano negli
esiti da quello di Carmen, in una certa misura tuttavia lo conferma: la
necessità di salvaguardare uno spazio di scelta sembra infatti in qualche
modo segnalare la necessità di un’imposizione, di uno sforzo di volontà.
Il racconto di Anna si sofferma sul tema delle differenze tra uomini e
donne in politica, una questione emersa anche nelle interviste di Maria
e Carmen, ma i toni sembrano differenti
«Non credo, non l’ho mai creduto, e l’essere qui me l’ha proprio dimostrato,
che noi donne ci rapportiamo fra di noi in maniera diversa. Cioè, non
è che siamo più buone, né che siamo meno concorrenziali, né fra di noi,
né nei confronti degli uomini. Anzi, credo che siccome i posti nostri
sono sempre minori… è più facile che sia anche più concorrenzialità. Però
devo dire che se ho visto fare sgambetti, li ho visti fare da una parte,
dall’altra, verso uomini e verso donne, cioè no, non percepisco una differenza
nei rapporti interpersonali o verso il potere dell’essere donna o dell’essere
uomo. Io non li ho vissuti. E anche nel lavoro di gruppo eh, ecco una
solidarietà femminile sì, ma proprio perché abbiamo bisogno di guadagnare
degli spazi» (Anna, 36, Sinistra).
Il racconto è improntato all’uguaglianza ed alla negazione di presunte
differenze o specificità femminili, sia in termini di rapporti interpersonali,
sia in termini di relazione al potere. Anna rivendica l’uscita da una
serie di stereotipi e ruoli, che vorrebbero le donne meno concorrenziali,
meno interessate al potere, “salvatrici” della politica in quanto più
buone, differenti dagli uomini. La strategia discorsiva di Anna è volta
ad introdurre differenze individuali, indipendenti dal sesso (“devo dire
che se ho visto fare sgambetti, li ho visti fare da una parte, dall’altra,
verso uomini e verso donne”). La narrazione appare tuttavia contraddittoria
rispetto al tema della relazione tra donne, oscillando tra una la descrizione
di una maggior concorrenzialità e, al contrario, di solidarietà, entrambe
presentate come risposte ad una condizione minoritaria.
La narrazione di Anna si rivela di interesse, poiché è l’unica volta a
far emergere differenze individuali e non di genere, rifuggendo non solo
dalla retorica della specificità femminile, adottata da Maria, ma anche
da quella del “non diventare come loro”, proposta da Carmen. Il racconto
di Anna appare distante anche da quello di Francesca, divisa tra un codice
di genere appropriato, ma escludente rispetto al “branco” e il bisogno
di inclusione nel gruppo. Anna racconta di rapporti paritari e di un’unitarietà
di codici di comportamento, che non sembrano essere condizionati, nella
sua esperienza, da questioni legate al genere.
Di segno del tutto diverso il racconto di Matteo, in cui torna ad affacciarsi
la generalizzazione, intesa come costruzione di un “altro da sé” stereotipico.
«Sì, ce ne sono poche. Ma perché è una questione legata un po’, un po’
al fatto che voi donne alla fine siete sempre più umili degli uomini,
per cui l’uomo si butta, voi donne invece se non siete certe, generalmente
eh, questo si parla, non ci credete, siete forse un po’ meno ambiziose.
Eh… lì, però, le donne che hanno, che hanno i coglioni, han lo spa[zio],
hanno tutti gli spazi: cioè, io dico sempre che adesso da noi abbiam bisogno
delle quote azzurre. Con un consiglio comuna[le], un’amministrazione comunale,
in cui ci son quasi solo donne che rappresentano Sinistra [partito]» (Matteo,
36, Sinistra).
Le donne insicure, umili, non ambiziose, vale a dire caratterizzate da
tratti stereotipicamente associati alla femminilità, non trovano spazi
politici. Ma quelle “con in coglioni”, ovvero, fuor di metafora, trasformate
in uomini, possono invece farsi strada. Il discorso di Matteo ricorda
quanto affermato da Marco, a proposito del minor interesse femminile a
ricoprire incarichi di autorità. È inoltre significativa l’attribuzione
di “virilità”, di un dato biologico ed al contempo profondamente simbolico
associato alla corporeità degli uomini, identificato come caratteristica
necessaria alle donne per fare strada.
Nella seconda parte dell’estratto Matteo cita l’esempio di un consiglio
comunale in cui la maggior parte delle persone elette tra le fila del
proprio partito sarebbero donne, rivendicando in questo caso l’esigenza
di “quote azzurre”. Si tratta di un rovesciamento retorico non dissimile
da quelli emersi nei racconti di Michele, Francesca e Marco, per il partito
Destra. In questo caso Matteo attua la strategia del rovesciamento a proposito
di un caso di riuscita partecipazione femminile, trasformata, discorsivamente,
in una condizione di ingiusto squilibrio, rispetto alla quale Matteo invoca
una tutela per gli uomini. La narrazione di Matteo risulta inoltre diametralmente
opposta a quella del suo più anziano compagno di partito, Giulio, che
nel suo racconto faceva invece notare come non sia ancora stata raggiunta
una condizione di equa rappresentanza nei contesti istituzionali ed in
quelli di maggior potere.
Torna infine il dilemma del double bind, che abbiamo già visto emergere
nel racconto di Carmen, inteso come condizione conflittuale tra comportamenti
“da maschiaccio” ed esigenza di fare una politica diversa, “non diventare
come loro”. I termini del dilemma nel racconto di Matteo sono tuttavia
molto differenti
«Credo che le quote rosa potrebbero portare un altro elemento in questo
frangente utile. Perché il rischio è di aver donne che si trovano in ambienti
maschili e assumono le modalità maschili di far politica. Insomma, le
donne, siete anche, portate anche un altro modo di vedere, di fare, serve
anche quello» (Matteo, 36, Sinistra).
In primo luogo nel racconto di Matteo le quote sono un provvedimento utile
non a controbilanciare un deficit democratico del sistema politico, bensì,
paternalisticamente, a preservare le “virtù” femminili dal rischio di
mascolinizzazione. In secondo luogo, emerge una concezione di genere determinista,
che attribuisce a tutte le donne, indistintamente, caratteristiche diverse
per natura (“voi donne siete anche portate a un altro modo di vedere”),
che in politica “serve”. Dunque le donne, portatrici di una propria specificità,
devono essere presenti in politica, in un numero sufficiente ad impedirne
la “mascolinizzazione”. Al contempo, tuttavia, come abbiamo visto nel
precedente stralcio, sono le donne “con i coglioni” ad avere le caratteristiche
per potersi fare strada. Alle donne viene quindi fatta una richiesta ambivalente,
che consiste nel preservare una presunta differenza, portandola come valore
aggiunto nella sfera politica ma, al contempo, di essere capaci di farsi
spazio, diventando uomini.
Nel complesso, le quattro storie raccolte nel partito Sinistra appaiono
assai meno omogenee rispetto al quelle del partito Destra, non tanto dal
punto di vista delle esperienze individuali (che abbiamo visto essere
contraddittorie e dissonanti anche nell’altra organizzazione), quanto
sul piano delle convinzioni e dei valori legati al genere. Alle quattro
voci narranti corrispondono infatti quattro diverse costruzioni di genere:
la narrazione eccezionale, conflittuale e rivendicativa di Carmen; quella
prospettica ed autocritica di Giulio; la rivendicazione di “normalità”
ed individualità da parte di Anna; il racconto più stereotipico e discriminante
di Matteo, il più simile, nei contenuti e negli usi linguistici, a quelli
del partito Destra. Tenendo conto della questione generazionale, emerge
dai racconti il ritratto di un partito profondamente cambiato negli anni,
in cui la cultura di genere è stata oggetto di mutamenti e rinegoziazioni,
all’interno del quale tuttavia la tensione verso un percorso di superamento
di discriminazioni e stereotipi sembra essersi oggi smarrita.
Conclusioni
Rispetto alla domanda di ricerca attorno a cui si struttura il presente
contributo, vale a dire la costruzione del genere emersa dalle otto interviste
narrative condotte all’interno dei due partiti considerati (Destra e Sinistra),
è ora opportuno fare una serie di considerazioni conclusive, che restituiscano
e sistematizzino gli elementi analitici salienti, mettendoli in relazione
tra loro.
In primo luogo è necessario confrontare quanto emerso nelle interviste
rispetto alla collocazione politica dei due partiti considerati, Destra
e Sinistra. Le due organizzazioni politiche si contraddistinguono infatti
per un’ampia serie di differenze in termini di cultura politica ed orientamenti
valoriali, che si traducono anche in costruzioni di genere profondamente
differenti.
Gli uomini e le donne del partito Destra non nominano sostanzialmente
mai la discriminazione di genere come una dinamica possibile all’interno
dell’organizzazione e, in generale, nella politica più ampiamente intesa.
Il genere non esiste, per lasciare posto all’indifferenziazione: in politica
si è persone, individui, senza determinazioni di sesso e senza attribuzioni
di genere.
Inoltre, come abbiamo visto, in tutte le narrazioni raccolte all’interno
di Destra la minor presenza femminile è attribuita ad un minor interesse
verso la politica, poiché la principale forma di realizzazione per le
donne attiene alla sfera familiare e della maternità. La cultura di genere
dominante è improntata alla naturalizzazione delle attribuzioni biologiche,
da cui discendono, meccanicisticamente, caratteristiche proprie di maschilità
e femminilità, espresse in maniera perlopiù prescrittiva e rigida e mai
oggetto di una riflessione anche minimamente decostruttiva.
Dal punto di vista generazionale si intravvede una forma di cambiamento,
che emerge soprattutto attraverso il confronto tra quanto raccontato da
Michele (57) e da Marco (31). Se il primo sostiene infatti una divisione
di ruoli di genere del tutto tradizionalista, esplicitata in termini decisamente
netti (le “opportunità diversificate”), il secondo esprime un orientamento
più aperto e sfumato, che appare dettato in particolar modo dalla concreta
esperienza politica, vissuta insieme ad alcune giovani donne, con le quali
ha condiviso il proprio percorso di formazione interna al partito. Questo
portato esperienziale, del tutto assente dal racconto di Michele, sembra
influenzare la costruzione di genere di Marco, rendendola maggiormente
paritaria sebbene, in ultima analisi, non dissimile nei contenuti di fondo
rispetto a quanto espresso da Michele a proposito del minor interesse
delle donne per la politica.
Va inoltre rilevato come, nelle narrazioni raccolte all’interno del partito
Destra, tutte compatte nel confermare come il genere non esista, le uniche
incrinature in un ritratto dai contorni apparentemente idilliaci (la meritocrazia,
la comunità che premia l’impegno delle persone, a prescindere dal sesso
ecc.) emergano dai racconti delle due donne intervistate. Maria (51) e
Francesca (22), sebbene distanti generazionalmente, propongono infatti
narrazioni entrambe segnate dalla contraddizione tra piano ideologico,
di dichiarazione di convinzioni (da una parte l’oggettività dei numeri
di Maria, dall’altra la meritocrazia comunitaria di Francesca) ed esperienziale.
Per quanto concerne invece il partito Sinistra, la cultura di genere risulta
improntata ad una visione meno rigida e prescrittiva di maschilità e femminilità.
Le costruzioni culturali relative al genere si rivelano infatti assai
meno deterministiche rispetto alle precedenti interviste: dalla diversa
sessuazione dei corpi non discendono meccanicisticamente caratteristiche
ed inclinazioni “naturali” di uomini e donne; i discorsi su maschilità
e femminilità presentano un grado molto minore di stereotipizzazione.
La linea simbolica che demarca universo maschile, pubblico, politico ed
universo femminile, privato, affettivo si fa insomma decisamente più labile
e sfumata, lasciando spazio a ruoli maggiormente intercambiabili e fluidi.
Emergono inoltre delle differenze generazionali di segno opposto rispetto
al precedente partito: se in Destra, in particolare nelle narrazioni maschili,
la prospettiva del giovane intervistato restituisce una concezione di
genere leggermente più paritaria, in Sinistra, confrontando i racconti
di Giulio e Matteo, la dinamica è di segno esattamente opposto. Giulio
esprime infatti una serie di valutazioni che vanno nella direzione di
una visione egualitaria, mettendo in questione i ruoli familiari nella
divisione del lavoro di cura, rispetto ai quali l’intervistato cita addirittura
la propria esperienza personale in maniera autocritica. Al contrario,
Matteo esprime una serie di considerazioni dai tratti decisamente più
stereotipati: in primo luogo, la sua narrazione è segnata dalla trappola
del double bind. Da una parte le donne in politica sono poche perché spesso
troppo timide e poco ambiziose. Dall’altra egli si mostra tuttavia critico
nei confronti delle figure femminili che hanno raggiunto una posizione
di successo, che corrono il rischio di trasformarsi in “uomini”, perdendo
la propria specificità. In questo genere di analisi, va inoltre rilevato,
Matteo si rivela piuttosto in linea con la cultura di genere espressa
dalle persone intervistate in Destra, sia dal punto di vista della generalizzazione
e costruzione di tratti femminili stereotipati (la minor ambizione, la
timidezza), sia per quanto concerne l’enucleazione di una “specificità”
femminile, tema ricorrente in particolare nelle interviste di Maria e
Michele.
Per quel che riguarda i racconti delle due donne, se Carmen sembra ancora
segnata da una condizione conflittuale, sospesa tra le regole del gioco
da lei definite maschili, che impongono una serie di comportamenti, dall’altra
mostra il desiderio di uscire da tale dinamica, rinnovando la politica
secondo regole altre, bastate sulla “rete” e sul “confronto” e lontane
dalla “violenta ambizione” maschile.
Anna rifiuta invece ogni tipo di associazione della femminilità a caratteristica
date a priori e generalmente valide, esprimendo una visione egualitaria
di matrice liberale, che interpreta le differenze in quanto soggettive
e in nessun caso legate ad una dimensione di genere. Da questo punto di
vista il suo racconto risulta di segno assai diverso da quello di Carmen.
Anna rifugge infatti dalle interpretazioni basate sui concetti di maschile
e femminile, preferendo quelle basate sulle caratteristiche individuali.
Un’ulteriore, netta distanza emerge inoltre dalle narrazioni sulle scelte
familiari: Carmen contrappone le donne di casa alle donne che fanno politica,
dichiarando una quasi impossibile conciliabilità delle due sfere, mentre
Anna, racconta della prioria scelta di maternità in termini di rivendicazione
di uno spazio, imposizione di un limite alla politica e di discontinuità
rispetto ad esempi di donne che l’hanno preceduta. In questo senso, emerge
quindi una differenza generazionale. Dunque, se Carmen nella sua esperienza
di pioniera politica racconta una storia di sacrificio personale, tesa
alla conquista dello spazio pubblico Anna, trent’anni più tardi, in un
ambiente “mescolato”, fa invece sua la rivendicazione di uno spazio privato.
Appare infine interessante mettere in rilevo come, sebbene Destra si configuri
nell’insieme come un partito improntato ad una visione tradizionalista
ed essenzialista del genere, esso presenta tuttavia alcuni tratti di mutamento
e dinamismo, che sembrano sfumarne leggermente la fisionomia marcatamente
conservatrice. Tale dinamica va interpretata tenendo in considerazione
il tipo di organizzazione, segnata da una storia quasi completamente maschile
e da un orientamento ideologico conservatore e familista dal punto di
vista politico e, dunque, anche della cultura di genere. Al contrario,
il partito Sinistra, pur esprimendo un orientamento ideologico ed una
cultura di genere assai più paritaria, sembra aver interrotto un percorso
che, stando alla narrazione di Giulio, negli ultimi trent’anni ha portato
a grandi cambiamenti ma che, in particolare dal punto di vista delle narrazioni
al maschile, non sembra essersi trasmesso nel passaggio da una generazione
all’altra.
Tabella 1: campione di intervistati/e
Destra
Maria: 51 anni, dirigente di pubblica amministrazione, iscritta al partito
da dieci anni, avvicinatasi in occasione delle elezioni comunali, in occasione
delle quali le fu proposto di candidarsi. Dirigente del partito a livello
provinciale.
Michele: 57 anni, insegnante, dirigente del partito sin dagli anni della
sua fondazione, è stato consigliere comunale. Attualmente ricopre la carica
di presidente del partito, oltre che di consigliere provinciale.
Francesca: 22 anni, studentessa, si è avvicinata al partito da quattro
anni e fa parte del direttivo provinciale, come responsabile di uno specifico
dipartimento e come coordinatrice del gruppo donne.
Marco: 31 anni, funzionario di partito, si è iscritto quando frequentava
le scuole superiori e ricopre ora la carica di coordinatore del gruppo
giovanile, a livello provinciale e regionale.
Sinistra
Carmen: 61 anni, ha da sempre lavorato in politica. Iscritta per la prima
volta ad un partito dalla metà degli anni Settanta. Alla fine degli anni
Ottanta viene eletta in consiglio provinciale, dove rimane per tre legislature,
ricoprendo anche la carica di assessora.
Giulio: 62 anni, insegnante in pensione, si è avvicinato alla politica
subito dopo l’università, grazie all’attività in un’associazione, di cui
diventa presidente. In seguito gli viene proposta una candidatura al Consiglio
provinciale dal partito. Viene eletto per tre mandati consecutivi. Negli
anni Novanta è stato anche segretario del partito ed è ora sindaco di
un paese del Trentino.
Anna: 36 anni, insegnante, si è avvicinata al partito alla fine degli
anni Novanta, dopo aver terminato l’università, ricoprendo quasi subito
un ruolo dirigenziale al suo interno. In seguito ha svolto vari incarichi
interni, venendo infine eletta in un Consiglio comunale nel 2003.
Matteo: 36 anni, lavora all’interno del partito, con incarichi disparati
di funzionariato, dal 1996. Si è avvicinato alla politica durante gli
anni dell’università. Negli anni Novanta viene eletto in un Consiglio
comunale, in seguito diventa segretario cittadino del partito e da allora
rimane all’interno dell’organizzazione con incarichi interni.
Note
1] Ai fini di preservare l’anonimato
delle persone intervistate e frapporre una necessaria distanza tra campi
di ricerca, analisi ed astrazione teorica, ai due partiti sono stati attribuiti
nomi di fantasia (Destra e Sinistra), così come alle persone intervistate.
Nella trascrizione degli stralci di intervista vengono riportati, in parentesi,
i nomi fittizi, seguiti dall’età e dal partito di appartenenza.
2] Al termine del contributo è
riportata, in forma di tabella, una sintetica descrizione delle persone
intervistate, divise per partito. La tabella riporta inoltre età, nome
di fantasia e una breve storia dell’esperienza politica e del ruolo ricoperto
all’epoca dell’intervista all’interno del partito.
3] Bichi (2002) opera una distinzione,
all’interno della più ampia categoria di intervista biografica, tra storia
di vita, con la quale si riferisce ad una narrazione volta a ricostruire
l’intero percorso biografico di una persona, e racconto di vita, una tipologia
di intervista che si focalizza invece su specifiche fasi o esperienze.
4] Non è mia intenzione dividere
qui in maniera dicotomica e forzata le narrazioni in un piano di riferimenti
teorici (le convinzioni ed i valori) e di prassi (gli aneddoti e le esperienze),
ma di mettere in luce elementi di continuità e/o frattura fra quanto raccontato
dalle persone intervistate in termini di visioni del mondo ed in termini
di esperienze. Questa attenzione, oltre a rappresentare in generale un’accortezza
metodologica rilevante nella conduzione di un’intervista, si rivela cruciale
in relazione all’argomento di interesse, che rischia spesso di generare
una certa tendenza al politically correct in chi è chiamato/a ad esprimersi
a riguardo.
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