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  • La lettura di sé e dell'altro
    Orazio Maria Valastro (a cura di)

    M@gm@ vol.9 n.1 Gennaio-Aprile 2011

    PROCESSI DI CAMBIAMENTO E ‘RI-SIGNIFICAZIONE’ DEI VALORI NELLA NARRAZIONE E L'ASCOLTO DI SÉ E DELL'ALTRO

    Santo Di Nuovo

    s.dinuovo@unict.it
    Professore ordinario, Cattedra di Psicologia, Istituto dei Processi Formativi, Università degli Studi di Catania; Presidente della struttura didattica di Psicologia dell’Università degli Studi di Catania.

    1. “Ri-significare i valori”

    Oggi si parla tanto di crisi del significato dei valori, e della necessità di una loro “ri-significazione”. Di fatto nella cultura contemporanea si parla di valori in modo generico e de-contestualizzato, spesso strumentale (come nella comunicazione politica). Se ne parla poco invece nella comunicazione fra le persone, dato che molte persone – specie in età adolescenziale - li vivono senza tematizzarli e senza analizzarli criticamente, quindi in modo spesso incoerente.

    Con riferimento alla letteratura internazionale sull’argomento (Caprara, 2003; Schwartz, 2003) va ricordato che alcune dimensioni valoriali sono condivise in diversi contesti in quanto rispondono a bisogni essenziali delle persone umane: il valore è la rappresentazione cognitiva di un bisogno, sia esso di tipo biologico, o di relazione interpersonale o ancora di funzionamento dei gruppi sociali. Più il bisogno è universale, più facilmente i singoli individui sono indotti dallo sviluppo cognitivo e dai processi educativi a rappresentarlo come valore “oggettivo”.

    Le variazioni, specifiche del contesto culturale in cui lo sviluppo avviene, riguardano l’applicazione dei valori ad ambiti particolari, per esempio relativamente al lavoro e all’occupazione, che dipendono da come questi ambiti si declinano nel particolare contesto.

    Mentre molti dati si accumulano sul piano descrittivo e comparativo tra culture, sulle relazioni tra le dimensioni macro-sociali, di piccolo gruppo ed individuali dei valori – sia generali che lavorativi – c’è ancor oggi poca evidenza empirica, mentre si tratta di un argomento essenziale per comprensione sia della stabilità che dei cambiamenti dei valori (Roe ed Ester, 1999).

    I rapporti tra i valori universali (analoghi a quelli “finali” secondo la definizione di Rokeach, 1973) e quelli specifici, o ‘strumentali’, vanno maggiormente approfonditi dalla ricerca, con riferimento soprattutto alle ricadute sul piano socio-educativo.

    “Ri-significare i valori” mediante un progetto educativo è essenziale in un contesto sociale che di questi valori ha tanto più bisogno, quanto più essi tendono ad essere sostituiti da disvalori proposti dai mass media e che vengono spesso tradotti in atteggiamenti e comportamenti senza essere assimilati e rielaborati criticamente.

    Il riferimento va soprattutto ai valori degli adolescenti, che sono la categoria più a rischio della eclisse valoriale ma al tempo stesso ricercano valori forti per fondare su di essi la loro identità, soprattutto familiare e professionale.

    Su questo tema i dati delle ricerche empiriche recenti offrono utili spunti di riflessione. I valori dell’edonismo, della stimolazione e dell’autodirezione sono fondamentali per i ragazzi in età adolescenziale, e testimoniano l’importanza del bisogno di autonomia, della ricerca di stimolazioni e di piacere (Aa.Vv, 2008). Al tempo stesso però, nella qualità di vita dello studente assume particolare rilievo la relazione con i compagni, la percezione di supporto e di riconoscimento che solo il gruppo può offrire.

    Paradossalmente (ma non tanto) i ragazzi più soddisfatti dell’esperienza scolastica risultano i più conformisti e tradizionalisti: la scuola oggi soddisfa solo chi accetta le regole e i ruoli tradizionalmente previsti dalla istituzione scolastica stessa.

    I valori influiscono sugli aspetti della personalità giovanile, servono come guide ideali per l’autoregolazione del comportamento, e per ridurre la discrepanza fra questi comportamenti e ciò in cui si crede. Ma viceversa in certi casi i valori possono essere modificati per giustificare le caratteristiche di personalità e comportamentali.

    Una particolare rilevanza ha il rapporto fra valori e l’autoefficacia regolatoria, cioè sensazione di essere in grado di regolare il proprio comportamento (Bandura, 1986; Caprara e al., 1999).

    Il ruolo dei valori è essenziale nel determinare le scelte professionali, costituendo una spinta motivazionale per il successo lavorativo delle giovani generazioni.

    Al tema dei valori sono infatti associati quelli del cambiamento organizzativo, della soddisfazione lavorativa e del benessere delle persone e delle organizzazioni in cui esse sono inserite professionalmente. I valori costituiscono un fondamentale parametro per determinare la soddisfazione; infatti una delle cause dell’insoddisfazione sul lavoro è la mancata corrispondenza tra i propri valori e quelli condivisi nell’ambiente di lavoro. Spesso il contenuto stesso del lavoro non permette di ottenere risposte corrispondenti ai propri valoriali.

    I valori sono quindi essenziali non solo per comprendere atteggiamenti e comportamenti in ambito lavorativo, ma anche per definire il modo in cui i soggetti interpretano e vivono i significati connessi al lavoro, alla realtà sociale in cui esso è incluso, o alla propria vita nel suo complesso.

    Su questi aspetti si può agire sia nella formazione per (e nel) lavoro, sia soprattutto a livello di orientamento scolastico-professionale. L’orientamento può favorire la maggiore coerenza tra i valori connessi alle scelte lavorative e quelli essenziali per le più generali scelte di vita. Questi aspetti provengono dall’educazione familiare, ma possono essere modificati e precisati con azioni di didattica orientativa.

    Le fondamentali istanze educative, famiglia e scuola, dovrebbero non certo ‘imporre’ valori, ma aiutare i giovani ad organizzare i valori da loro autonomamente scelti e costruiti in vista del proprio progetto di vita e di lavoro.

    2. Il metodo della “ri-significazione” dei valori: la narrazione e l’ascolto

    Si è detto che una ri-significazione dei valori non può essere imposta durante il percorso educativo, ma va tematizzata criticamente rispetto ai modelli offerti e spesso accettati senza riflessione critica, e riscoperta alla luce dei bisogni e delle aspirazioni genuine delle persone. Questi bisogni sono spesso latenti, e vanno dunque portati alla luce mediante metodi che non possono essere intrusivi o - più o meno nascostamente - inquisitori.

    Il metodo più adatto per questo scopo è quello che deriva dall’approccio fenomenologico, su cui ci soffermeremo brevemente in quanto esso è spesso trascurato nella ricerca psicologica ed educativa.

    Già nel 1913 lo psichiatra fenomenologo Karl Jaspers evidenziava la necessità di un mutamento nel metodo di osservazione: il ‘sintomo’, ciò che appare all’osservazione esterna ‘obiettiva’, in realtà è un segno che indica un diverso modo di elaborare l’esperienza, che segnala uno specifico modo di essere al mondo e di progettare il proprio mondo.

    La vita psichica è un processo, un accadere temporale, che va non solo ‘spiegato’ mediante i metodi obiettivanti ma ‘compreso’ rendendo presenti ed evidenti percezioni, vissuti, stati emotivi che le persone sperimentano.

    Il metodo dunque deve astenersi da tutte le interpretazioni che trascendono la pura descrizione (come già sosteneva il filosofo Edmund Husserl), vedendo il fenomeno in esame, e le strutture che in esso emergono dal versante della persona, non da quello di chi la studia. Partecipando al fenomeno, esso mostrerà la sua essenza a chi lo comprende, che è l’insieme della persona e di chi la studia: in ciò consiste appunto il metodo fenomenologico.

    L’orientamento della persona nel mondo deve tendere a chiarificare la sua esistenza (“essere se stessi in senso autentico” secondo Jaspers, 1935), realizzando la libertà nel rischio della scelta tra diverse possibilità di vita.

    La “comunicazione esistenziale” è lo sforzo di fare emergere i nuclei più autentici nell’interazione fra due persone (tra questi nuclei abbiamo visto quanto siano essenziali i valori personali): e la narrazione è appunto un modo adeguato per far emergere questi nuclei di senso, gli unici capaci di ‘ri-significare’ i valori in modo autentico e senza imposizioni di schemi prefissati e costruttivi. Grazie a questo metodo di ‘ascolto’ dell’altro senza filtri potenzialmente pre-giudiziali, chi fa ricerca e/o intervento in ottica fenomenologica può sospendere la propri schemi di conoscenza pregressi, per consentire alla realtà della persona di manifestarsi nella sua vera essenza (Ray, 1994).

    La narrazione è il metodo privilegiato per ‘ascoltare’ se stessi e l’altro, e va pertanto privilegiata nella comunicazione educativa a vari livelli, da quello familiare a quello scolastico e dei contesti extrascolastici, per esempio nell’orientamento alle scelte formative e professionali.

    In un altro scritto su questa stessa rivista (Di Nuovo, 2005) ho messo in evidenza le particolarità del metodo narrativo come approccio qualitativo che mira – nell’ottica fenomenologica sopra presentata - a descrivere e comprendere il significato e il valore attribuito da particolari individui o gruppi sociali agli eventi o situazioni che costituiscono l'oggetto della ricerca.

    Diversi fra di loro, e soprattutto rispetto alla ricerca quantitativa, sono i metodi di campionamento di raccolta e di analisi dei dati tipici della ricerca qualitativa che si avvale della narrazione [1]. Voglio solo qui ricordare, in relazione all’oggetto di questo contributo, come solo un approccio fenomenologico può evitare la prefigurazione di senso che costituisce in certi casi un vero e proprio pre-giudizio del ricercatore, e che è particolarmente pericoloso quando l’oggetto studiato sono i valori.

    La soggettività della persona, la sua capacità di ‘narrazione’ non va limitata riconducendola forzatamente in schemi precostituiti, ma tutti gli elementi della narrazione (impressioni, intuizioni, emozioni, ricordi personali) devono trovare spazio al fine di ricostruire strutture latenti di senso. Il narrante passa da ‘soggetto’ passivo ad attore principale di ciò che succede nella ricerca-azione, ricostruendo così il senso del cambiamento che si va realizzando e del suo impatto nella propria vita.

    Da parte sua il ricercatore esce dal ruolo di puro e semplice ‘osservatore neutrale’ ed immette nella costruzione di senso conoscenze e valutazioni personali.

    3. La narrazione del cambiamento dei valori: esempi di ricerca

    Nel campo della ricerca sui valori, il metodo descritto è stato utilizzato in una nostra ricerca in cui il colloquio condotto con metodo narrativo è stato utilizzato per studiare la trasmissione dei valori fra una generazione e l’altra, in coppie sia italiane che immigrate.

    Il colloquio con i singoli componenti di giovani coppie, con i loro genitori - e, se presenti, con i loro nonni – ha consentito di far emergere dalla narrazione delle loro esperienze di vita i valori ritenuti preminenti, quelli provenienti dalla famiglia d’origine e quelli da trasmettere alle successive generazioni.

    I risultati sono stati del massimo interesse. Le coppie intervistate mediante tecniche narrative, nonostante risiedano in Italia da diversi anni, sia sul piano sociale che in quello privato non valorizzano le relazioni intenzionali con la comunità ospitante limitandosi a ridurle a quelle casuali o a quelle necessarie per fini lavorativi. Dagli scenari narrati sembra che i soggetti abbiano adottato la strategia dell’isolamento che si spiega con il bisogno di conservare una storia e un’identità individuale, oltre che sociale.

    Tale condizione, diffusa tra gli adulti, non è invece riscontrabile fra i figli minorenni degli immigrati, che presentano una marcata tendenza a considerare il presente, a rimuovere il passato ed a proiettarsi in un futuro che lascia poco spazio ad un eventuale rientro in patria. La differente percezione spazio-tempo tra minori ed adulti determina un diverso senso della realtà: paradossalmente gli adulti presentano forme riconducibili ad atteggiamenti adolescenziali; l’attaccamento esasperato ad alcuni modelli comportamentali, quali il significato sovradimensionato di tradizioni e riti religiosi, si scontra con l’evidente desiderio di possedere oggetti rappresentativi dello status raggiunto.

    Questa dissonanza di atteggiamento e di valori nelle diverse generazioni presenti nelle famiglie immigrate costituisce il punto di frizione e di snodo più importante nell’orientamento verso il futuro delle famiglia immigrate. Esso emerge spesso dalle narrazioni, ma è poco tematizzato sul piano consapevole, mentre meriterebbe maggiore attenzione sul piano sia educativo che sociale, perché dall’esito di questa dissonanza generazionale presente spesso in modo latente deriverà la soluzione del dilemma tuttora presente in molte coppie rispetto alla decisione se restare in Italia o tornare al proprio paese.

    Un altro settore in cui il metodo narrativo e dell’ascolto delle famiglie è stato utilizzato per cogliere la significazione dei valori ha riguardato le famiglie con figli disabili (Di Nuovo e Buono, 2004).

    Anche in questo caso il metodo narrativo ha consentito di pervenire a risultati molto interessanti. Atteggiamenti e valori dei genitori riguardo al figlio con ritardo mentale risultano connessi soprattutto alla soddisfazione dei bisogni primari (accudimento, miglioramento fisico e psichico) e appaiono correlati meno con il grado di ritardo e più con il clima relazionale della famiglia. Più la famiglia condivide valori basati sulla coesione e al tempo stesso apertura e flessibilità relazionale, più è convinta che il figlio possa progredire e appagare i suoi bisogni.

    Sul piano formativo e del sostegno, i genitori con figli disabili devono essere posti in condizione di prevedere, o meglio programmare insieme agli operatori specializzati, il progetto di vita ‘adulta’ del figlio con disabilità, proiettandone nel futuro l’immagine in modo realistico. Su questa possibilità incidono fortemente i valori che la famiglia condivide, e che contribuiscono a determinare l’aspettativa di cambiamento, che è la molla essenziale per la collaborazione al trattamento e in definitiva per la sua effettiva riuscita.

    E’ indispensabile tenere conto di questi aspetti nel progettare e nel perseguire il lavoro con le famiglie con figli disabili, spostando l’attenzione sul sistema valoriale della famiglia, nucleare ed allargata, e sulle modificazioni che esso ha subìto in conseguenza della disabilità del figlio.

    L’acquisizione di competenze nuove nell’adattamento alla situazione di crisi e nella gestione di essa, e la ri-valorizzazione del sistema familiare, con adeguata ri-significazione della genitorialità, devono andare di pari passo per ottenere risultati significativi, evitando la coesistenza di valori non coerenti fra loro o diversi fra i componenti la famiglia.

    L’uso di metodo narrativi si è dimostrato essenziale in questo lavoro di supporto e di ri-assestamento del sistema valoriale di famiglie che subiscono eventi critici che alterano l’equilibrio preesistente, come la nascita di un figlio disabile.

    Come si evidenzia dagli esempi di ricerca riportati, la narrazione come metodo di costruzione / ricostruzione di senso si rivela essenziale per definire i bisogni latenti su cui i valori espliciti sono fondati e per contribuire alla loro ri-significazione per migliorare il benessere e la qualità di vita personale, familiare e sociale.

    Note

    1] Sui metodi e le tecniche di ricerca qualitativa esiste un’ampia letteratura; cito, fra i tanti: Titscher e al. (2000); Silverman D. (2001); Flick (2002); Smith G.A. (2003); Denzin e Lincoln (2003); Marshall (2005); Stake, R.E. (1995). In lingua italiana, Ricolfi (1997); Mazzara (2002); Mantovani e Spagnolli (2003).

    Bibliografia

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