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    M@gm@ vol.7 n.1 Gennaio-Aprile 2009

    IL DIARIO PERSONALE COME TESTIMONIANZA DI SÉ E DEL PROPRIO TEMPO



    Alessandra Micalizzi

    alessandra.micalizzi@iulm.it
    Dottoranda in Comunicazione e Nuove tecnologie (XX ciclo) presso la Libera Università di Lingue e Comunicazione IULM. Collabora a attualmente con l’Istituto di Comunicazione della suddetta Università.

    “Il racconto reca il segno del narratore come la tazza quello del suo vasaio.” (W. Benjamin)

    Diari personali e auto-narrazioni

    Tenere un diario costituisce una pratica intima molto diffusa proprio perché “lo scrivere di sé risponde al bisogno di sopravvivenza, al di là della memoria” (Cucchi, 1996). Rispetto al vivere inteso come un flusso ininterrotto di eventi inafferrabili nella loro singolarità, infatti, affidare se stessi alla scrittura, significa sottrarla alla sua fugacità, al suo scomparire in virtù del carattere indelebile della parola scritta (ivi). L’autore non si limita, però, a riportare fatti e accadimenti: il diarista cattura e descrive circostanze particolari, idiosincratiche di un tempo e di una cultura, rilette dal suo sguardo personale. Questo intimo bisogno di dare forma all’informe, di selezionare un momento ritagliandolo dal vivere quotidiano, accompagna da sempre l’esistenza dell’uomo [1] e la ricchezza del materiale prodotto in secoli di storia è stato utilizzato da varie discipline attirando, anche l’interesse degli studiosi del sociale [2].

    La sociologia, rispetto ad altre scienze umane, ha tardato molto a utilizzarlo sia come strumento di raccolta dati sia come vero e proprio oggetto di studio. Le ragioni di tanta diffidenza verso il materiale autobiografico sono da attribuire all’annosa disputa tra l’uso di metodologie quantitative e qualitative che ha a lungo animato gli ambiti accademici. L’esigenza di elevare la sociologia a rango di scienza ha per lungo tempo indotto gli studiosi a sostenere un approccio scientista volto ad assicurare misurabilità, standardizzazione e quindi attendibilità del dato. Secondo Cipriani (1995), invece, è proprio nei diari, come nel resto del materiale autobiografico, che è possibile rintracciare, sparsi all’interno del testo, contenuti salienti e profondi di elevata significatività e dal valore superiore rispetto al dato ottenibile da questionari e domande preconfezionate [3].

    Il diario costituisce l’opera aperta per eccellenza perché manca ogni forma di progettualità, un disegno certo rintracciabile a lettura compiuta (Del Re, 1996) e ciò è sottolineato dall’espressione stessa con cui si indica la pratica dello scrivere, “tenere un diario”, che sottolinea il suo dispiegarsi nel tempo (Scalari, 1996). Certamente, esiste un forte legame con la dimensione temporale in virtù della cadenza quasi quotidiana della scrittura da parte dell’autore. Ma l’aspetto più significativo legato al tempo è proprio la sua concretizzazione attraverso l’atto di riportare nero su bianco un pensiero o un episodio: si condensano circostanze spazio-temporali delegandole ad una memoria esterna e concreta costituita dal diario. E la condensazione del presente nelle parole e nella data posta in alto sul foglio esimono l’azione dall’oblio tanto che Zampolini (1996) definisce questo tempo un “presente conservato”. Nel diario esiste anche una dimensione spaziale. Paesaggi, quartieri, città, ambienti domestici, luoghi degni di nota descritti più o meno minuziosamente dalle parole dell’autore danno le coordinate per i propri vissuti intimistici, facendo da cornice alle tracce di sé, disseminate nel testo, di sentimenti e di esperienze emotive. Potremmo ritrovare proprio nel bisogno di un tempo e di uno spazio personale una delle principali ragioni che sottendono alla volontà di scrivere un diario. Interessante, in tal senso, la riflessione di Del Re (1996) che, come studiosa ma soprattutto come autrice del suo diario personale afferma: “il mio diario è la mia piccola personale rivoluzione contro il tempo e contro lo spazio sociali che mi contengono e mi sostengono, sì, ma anche mi costringono, mi limitano e mi definiscono come essere sociale, come soggetto potenziale di mille azioni e di mille reazioni”.

    La certezza della segretezza di quelle pagine permette a chi scrive di aprirsi, di raccontarsi e, in questo modo, di ritrovare quei frammenti di sé disseminati nel quotidiano, di scoprirli per conoscerli e accettarli. Il diario, come filo rosso da tenere stretto nel labirinto del proprio io (Scalari, 1996), funge da bussola in questo viaggio intimistico e interiore attraverso la scrittura, svolgendo funzioni “terapeutiche” di sfogo e di sollievo: fa sì che il vissuto, concretizzandosi nel testo, si distanzi e diventi riconoscibile (Scalari, 1996). E’, infatti, nell’azione del raccontarsi a se stessi che si verifica ciò che Demetrio (1996) ha definito “bilocazione cognitiva” ovvero la capacità di processare e rendicontare l’esperienza attraverso la separazione dello sguardo, dell’io che narra dall’attore che compie l’azione.

    Accanto alla dimensione puramente ontologica, per dirla con Somers (1992), e identitaria si affianca una dimensione pubblica o per meglio dire socio-relazionale. I diari raccontano la storia dell’individuo intessuta di legami affettivi e familiari, del contesto culturale di riferimento, delle norme sociali condivise, dei vincoli e delle opportunità del suo tempo. L’organizzazione dei ricordi in forma narrativa, infatti, costituisce un’occasione per realizzare il riconoscimento di sé ma anche per sentirsi parte di una storia comune: nel racconto il narratore raccoglie indizi di altre biografie per lui significative e costruisce la trama della sua storia in conformità con “la traccia” dettata dalla cultura di appartenenza. “Ogni narrazione è dunque un’attività collaborativa e negoziale in cui il protagonista deve tener conto della presenza e dell’agire degli altri” (Sarbin, 1994 in Poggio, 2004).

    Il bisogno di intimità si ricollega a sua volta alla solitudine: il diario, infatti, costituisce o sostituisce amici, affetti e amori, “presenze assenti” o da proteggere “assumendo su di sé scoperte, messe a nudo che, se venissero esplicitate, provocherebbero ferite” (ivi). Ecco che possiamo riconoscere al diario una funzione vicaria rispetto al bisogno di relazione e intimità con l’altro (ivi). Ma il diario è anche custode e in quanto tale rappresenta un importante archivio per la memoria, una testimonianza personale che racchiude in sé frammenti della società e della cultura del proprio tempo. Infine, una dimensione particolare legata alla scrittura diaristica è la spontaneità: “si tratta di una spontaneità complessa e molteplice, ambigua e disordinata, che dà luogo a correzioni, abbattimenti, ricercatezze anche formali” (Cordati, 1996). Il diario, dunque, può essere considerato come un’opera di confine tra segretezza e bisogno di relazione, tra testimonianza e verità personali, tra narcisismo e masochismo, infine tra il monologo rivolto a se stessi e il dialogo con l’altro, sostituito dal diario (ivi).

    La ricerca empirica

    La ricerca che di seguito proponiamo offre un’analisi qualitativa del contenuto di 30 diari di donne, giovani e mature, vissute tra gli anni 50 e i giorni nostri al fine di ricostruire tre macro funzioni della narrazione [4] (Atkinson, 2002) ovvero quella intima (o psicologica), quella sociale e quella definita cosmologico-temporale. Abbiamo cercato di approfondire ciascuna funzione individuando degli aspetti più specifici ad esse riconducibili e rintracciabili nei testi a nostra disposizione.

    La funzione intima del diario è riferibile ai contenuti relativi alla presentazione del proprio sé, al modo di percepire il rapporto con la scrittura e al ruolo, implicito o esplicito, che l’altro non definito assume come referente della propria storia.

    La funzione sociale è afferente alle tracce testuali lasciate dalle diariste in riferimento alle relazioni interpersonali con particolare riguardo per i rapporti parentali, amicali e amorosi. Infine, la funzione cosmologico-temporale è relativa al modo di “sintonizzarsi” rispetto all’universo che ci circonda.

    Ci è sembrato opportuno, in questo caso, declinarlo ulteriormente in due micro-dimensioni. La prima è relativa al tempo libero inteso come il suo impiego in attività che possano scandire o meno la quotidianità, dando maggiore rilievo ai consumi mediali; la seconda concerne il tempo visto come periodo storico particolare in cui le vite delle diariste sono inserite e possono in tal senso dare testimonianza.

    Al fine di riuscire a rilevare non solo le differenze fra generazioni ma anche all’interno dello stesso periodo storico per fasce d’età, abbiamo preso in considerazione 16 diari di giovani donne (dai13 ai 19 anni) e 14 redatti in età più matura (dai 26 in poi). Questo ci ha permesso, come si vedrà nel corso della presentazione dei risultati, di potere sottolineare, laddove presenti, le differenze dettate non solo dal periodo della propria vita ma anche dal proprio contesto storico-sociale.

    Entriamo nel merito della trattazione presentando singolarmente i risultati relativi a ciascuna funzione e supportando l’analisi con stralci di testo tratti dai diari.

    L’intimità del diario

    Le prime frasi di ogni diario sintetizzano il bisogno che sottende la scrittura intima richiamato da un evento scatenante o da uno stato d’animo preciso e dal materiale analizzato si possono evincere differenti ordini di motivazioni. In alcuni casi emerge un forte bisogno di condivisione della propria esistenza; il diario avrebbe quindi una funzione vicaria, di sostituzione delle relazioni reali assenti, necessarie per cedere parte del “peso emotivo” che certi vissuti generano: “oggi, 17 maggio, apro questo mio piccolo diario che diventerà d’ora in poi, il mio confidente. Racconterò tutti i miei sentimenti, stati d’animo e giorno dopo giorno annoterò tutto ciò che viene a colpire la mia mente”.

    Talvolta, invece, la decisione di iniziare a tenere un diario dipende dal bisogno di confinare, per custodire, certe sensazioni diventate scomode compagne del quotidiano, fungendo da memoria “esterna”, diga di emozioni necessaria alla sopravvivenza: “Vorrei buttar fuori quella morsa che mi sta distruggendo ma a volte il mio vocabolario è insufficiente e le parole sminuirebbero quello che provo”.

    Il ritagliare un proprio spazio interiore può rispondere anche al bisogno di riflettere sul mondo e su se stessi, a mettere nero su bianco quel processo autoriflessivo per prenderne maggiormente coscienza oggettivandolo nella scrittura. In altri casi iniziare un diario risponde al bisogno latente di scrivere che prende forma a partire da un episodio scatenante, da circostanze specifiche che portano ad un cambiamento “caro diario, oggi è l’ultimo giorno di scuola . L’ho trascorso in modo più vivace e sereno di prima. Non ero contenta dentro di me…”.

    In qualsiasi diario personale, uno degli aspetti che emerge con maggiore forza è quello della segretezza, manifestata spesso dai resoconti per tenere il diario lontano dalla portata di possibili occhi indiscreti: “mio caro diario, è notte ed io sono in bagno a scrivere perché non voglio che nessuno sappia che ti scrivo”. Sotto il letto, sopra armadi irraggiungibili, fra gli scaffali: al diario spettano sempre collocazioni bizzarre a tutela dei contenuti e, talvolta, anche della pratica stessa della scrittura.

    Un elemento discriminate del proprio rapporto con il quaderno dei segreti è rappresentato dall’uso o meno di espressioni dialogiche. Possiamo definire “dialogico” il diario in cui l’autrice si rivolge a un “qualcuno” reale o immaginato, che spesso coincide con il diario stesso. La personificazione dell’oggetto si traduce nella sua piena investitura ad amico del cuore, confidente speciale delle proprie emozioni e dei propri vissuti. Definiamo “monologico” il diario più introspettivo in cui la dimensione prevalente è quella del racconto a se stessi, della conversazione intima con le proprie emozioni, che non ammette neppure in forma discorsiva la presenza dell’altro.

    In rari casi si scorge nella parole delle diariste un riferimento al possibile lettore usato in due accezioni: come giudice, strumento di paragone per evidenziare quei tratti sopiti nella riflessione su se stessi, o come testimone, destinatario ultimo di confidenze ritenute per l’appunto verità.
    Possiamo quindi distinguere la figura dell’altro come destinatario delle propria intimità in quattro differenti ipotetici interlocutori:
    - il proprio sé;
    - il diario stesso;
    - persone significative del proprio passato;
    - lettori ipotetici collocati in un tempo e in uno spazio diverso da quello dell’autrice.

    Altro elemento distintivo dei diari è il tipo di contenuti custoditi in esso. Immaginando gli estremi di un continuum individuiamo da un lato il diario descrittivo e dall’altro il diario introspettivo.

    Nel primo caso la scrittura funge da rendiconto giornaliero più rivolto a fatti ed episodi della propria giornata, più orientato all’esperienza che alla dimensione intima. Dall’altro lato troviamo la scrittura di chi fa un vero e proprio percorso per conoscere se stesso alla ricerca delle sue zone d’ombra. La dimensione spaziale è quasi assente o comunque relegata a contesti ristretti come può essere la stanza di un albergo, il proprio letto o la scrivania. Mancano le descrizioni dei luoghi e anche le sensazioni percettive ad essi legate; dominano invece ossessive puntualizzazioni sulle emozioni di un dato momento, sui sentimenti più profondi legati anche a fatti del passato, dell’infanzia e della giovinezza. Un simile percorso è evidentemente più semplice nell’età matura quando il vivere il presente significa “correggere” o adeguare esperienze del passato.

    Non emergono grandi differenze intergenerazionali a prova del fatto che il diario sembra rispondere a bisogni reconditi e presenti in ogni tempo; al contrario, in genere è possibile scorgere motivazioni differenti nelle diariste di diversa età, che pur vivono negli stessi anni. Le più giovani tendono a tenere diari descrittivi e dialogici, mentre le motivazioni sottese sono spesso legate a episodi precisi che vengono riportati come incipit del loro diario, utilizzandolo solitamente per colmare il loro bisogno di relazione e condivisione di esperienze della loro età.

    Le donne più adulte non eleggono interlocutori privilegiati nella loro conversazione con se stesse: utilizzano il diario come luogo di rifugio da una realtà spesso poco gradita e insoddisfacente. Come se si trattasse di un quaderno dei bilanci, fanno i conti con loro stesse, con i loro amori, con gli altri significativi da cui non si sentono comprese. A differenza delle giovani autrici, le donne più mature tendono a fare molti riferimenti al loro passato, all’infanzia, ad episodi a cui addebitano scelte compiute, privando il racconto sia di una contestualizzazione spaziale che temporale: manca quell’ancoramento al quotidiano, all’oggi, tipico delle rendicontazioni minuziose delle adolescenti. L’introspezione, dunque, non è rivolta al presente né al prossimo futuro ma assomiglia di più a un rimuginare il passato.

    Funzione sociale

    Le diariste fanno i conti quotidianamente con la loro realtà sociale e culturale legata ai vissuti delle relazioni che colorano l’esistenza e spesso entrano a far parte dei loro racconti personali. Nei diari si rintracciano facilmente tre principali aspetti della sfera sociale che si manifestano nelle relazioni parentali, amicali e amorose.

    Si riscontrano, com’è ovvio, evidenti differenze intergenerazionali che abbracciano essenzialmente tre periodi: il primo include gli anni 50 e gli anni 60, il secondo gli anni 70, periodo di grossi cambiamenti in ambito sociale, e il terzo abbraccia gli anni 80 e 90 fino ai giorni nostri.

    Nel primo troviamo una relazione familiare orientata al riconoscimento dei modelli di riferimento e la volontà ad accettarli come corretti e adeguati; la violazione delle “regole sociali” apprese in famiglia genera paura, timore di non essere accettate e di rischiare il rifiuto da un contesto “sicuro” “il pensiero che i miei familiari non mi stimano mi uccide…le mie zie mi hanno insegnato a stare zitta e a subire, a non ribellarmi, neanche quando era giusto…”. Al centro di descrizioni familiari vi è spesso la figura del padre raccontata come una “personaggio” della famiglia con un ruolo ben preciso: quasi assente dalla quotidianità domestica, esercita il suo potere sociale di capo famiglia attraverso il timore più che il rispetto. Anche il ruolo materno è spesso freddo e poco intimo, orientato più a fungere da esempio dell’incarnazione dei costumi del suo tempo. E’ chiaro che il dialogo è una dimensione spesso assente nelle relazioni familiari:“con lei (la madre) non mi sono mai confidata in nessuna cosa: chissà che cosa pensa di me e forse mi chiederà che cosa penso io di lei? Non lo so; sono, e credo saranno, domande senza risposta…”.

    La famiglia anni 50 è un contesto rigido dove anche il ruolo dei fratelli è stabilito a priori e deve essere rispettato e riconosciuto dagli altri membri: così spesso il diario diventa custode di litigi per colpa di chi per “diritto di nascita” precede l’altro.

    I diari degli anni 70 raccontano un altro registro di storia familiare: i modelli rigidi sopravvivono a stento agli scontri e alle battaglie portate avanti dalla nuova generazione. E spesso l’oggetto del contendere è quella libertà di azione e di decisione difficile da concedere per chi è cresciuto in altri tempi: “sono molto arrabbiata con mio padre perché non mi lascia nessuna libertà; mio padre è un uomo sbagliato, posto dal destino in un’epoca sbagliata: sarebbe dovuto nascere nell’800”.

    La relazione con il mondo dei grandi per le generazioni dagli anni 80 in poi, invece, ruota intorno a un concetto chiave: il bisogno di un rapporto. L’idea che ci sia maggiore possibilità di dialogo con gli adulti di casa comporta anche la conquista di un certo ruolo decisionale da parte dell’adolescente che acquisisce una voce nel processo decisionale soprattutto per le scelte che lo riguardano. I diari lasciano traccia anche delle situazioni familiari, un tempo forse più atipiche, come il caso del divorzio dei genitori o della loro separazione in casa: “arrivata la lettera del giudice per il divorzio fra mio padre, “il dittatore”, e mia madre, “dispiacere 10 e lode”. Ci sono scritte delle bugie, mio padre si è messo a piangere, anch’io; mi ha detto sii forte non far vedere a tua madre che piangi!.... non è colpa mia!”.

    Nei diari delle donne adulte emergono spesso ricordi legati all’infanzia e alle figure che l’hanno caratterizzata come cicatrici o punti di forza acquisiti un tempo e adesso oggetto di discussione: “ricordo fin troppo bene il tuo autoritarismo, l’esigenza di essere padre padrone per farsi rispettare, perché solo così un padre compie il suo dovere”. I genitori ritornano spesso anche come termine di paragone rispetto all’esperienza di madre vissuta dalle diariste magari in prima persona, soprattutto nel tentativo di non ripetere errori subiti nel ruolo di figli.

    Ma la sfera sociale non si esaurisce nel contesto familiare. I diari sono ricchi di avvenimenti che riguardano la vita fuori dalle mura domestiche e che implicano quindi il relazionarsi al gruppo dei pari e le esperienze amorose. Sebbene il diario assolva spesso questa funzione suppletiva rispetto a figure di confidenti, non mancano i riferimenti costanti agli amici con cui si dividono esperienze più o meno felici e che diventano compagni di viaggio di quel processo di crescita che porterà le giovani adolescenti alla maturità. La descrizione di circostanze condivise con amici costituisce, in qualsiasi epoca, il tema centrale di molti diari adolescenziali soprattutto quando riguardano episodi che segnano la svolta nell’inserimento in un nuovo gruppo o nel riconoscimento del proprio ruolo: “il bilancio del mese è positivo, anche se sono stata malata, perché ho saputo imporre la mia personalità alla classe e sono uno dei membri del cosiddetto gruppo”. Gli elementi distintivi intergenerazionali sono soprattutto legati al margine di libertà lasciato dai genitori nella gestione delle proprie amicizie e ai luoghi/circostanze deputati all’incontro e alla socializzazione. Nel primo caso, i diari tengono traccia dei numerosi vincoli soprattutto di carattere sociale che condizionano le scelte delle ragazze vissute negli anni 50 e 60 a fronte di una maggiore ribellione, negli anni 70, e di una conquista vera e propria, negli anni successivi, di un margine maggiore di libertà. Riguardo invece alla gestione degli spazi, se fino agli anni 70 i principali luoghi di ritrovo e di contatto tra adolescenti sono rappresentati da cortili domestici e bar vicino alle dimore, gli adolescenti degli anni 80 e 90 sembrano preferire luoghi prestabiliti come la scuola, gli ambienti adibiti allo sport o contatti mediati come ad esempio quelli telefonici.

    Nei diari delle donne più adulte è invece difficile trovare delle figure amicali forti se non come termini di paragone per descrivere se stesse. Spesso le proprie conoscenze, anche se intime, si traducono in rapporti “costruiti” sulla base delle aspettative dell’altro, ma che nascondono insoddisfazioni, invidie e incomprensioni, traducendosi in rapporti ambivalenti tra il bisogno di relazione e la difficoltà di comprendere e accettare l’altro.

    Altro aspetto molto presente nei racconti delle diariste è la relazione amorosa. L’adolescenza è anche l’età dei primi amori e il diario è da sempre riconosciuto come il confessore per eccellenza di queste passioni spesso passeggere. Attraverso gli stralci di vita custoditi nel diario si possono evincere anche i modelli sociali, soprattutto quelli di un tempo, e i vincoli che portavano al successo o all’insuccesso di una storia d’amore. Emozioni, forti, paure, reazioni bizzarre e imbarazzanti. Il diario diventa il catalizzatore di tutte le energie stimolate da un incontro passeggero e fugace. Una sostanziale differenza intergenerazionale è riscontrabile nel meta-obiettivo della relazione. Se le adolescenti degli anni 80 danno maggiore peso all’esperienza in sé senza troppe ipotesi di lungo periodo, nelle giovani adolescenti degli anni 50 e 60 vi è anche una forte progettualità verso l’ipotetica meta del matrimonio. Non è difficile trovare riferimenti a questo progetto (non desiderio) quasi dato per scontato presente come meta-obiettivo della propria vita: “Io adesso, nell’attesa di trovare un marito, sempre che lo trovo, mi torturo perché mi sto rendendo conto che la mia vita e quella dei Ciompi (gruppo di amici) sono legate assieme da un filo sottilissimo che se si spezza io sono finita!”…

    Non mancano i condizionamenti sociali, soprattutto negli anni 50 quando la scelta del proprio compagno deve necessariamente passare al vaglio della famiglia di origine, al giudizio inesorabile del padre che ne valuta la “fattibilità” in termini di corrispondenze di classe e di estrazione sociale. Il diario diventa il confidente dell’inconfessabile: relazioni clandestine vissute con la complicità di conoscenti, baci rubati, sotterfugi di ogni genere per scampare all’occhio vigile dei “sorveglianti”. Spesso le storie si colorano di “personaggi” esterni alla coppia ma altrettanto fondamentali alla riuscita dell’incontro clandestino: “Il servitore Carlo è il nostro postino segreto: quando ha una lettera di Lidio, si mette una mano sul petto, così da quel segnale capisco…”. Se le relazioni amorose “ufficiali” degli anni 50 e 60 sono pubblicamente riconosciute, quelle clandestine non riescono ad esimersi da occhi indiscreti tanto da giungere ad altrettanta pubblicità. Di certo, in ogni caso, si può parlare di relazioni amorose condivise dove alla diade si accostano altri soggetti che intervengono sulla relazione favorevolmente o negativamente.

    Di tutt’altra natura sono i racconti delle donne più mature che appaiono fortemente introspettivi e, in misura differente, lasciano dei margini alla vita di coppia desiderata e alle amarezze di rapporti vissuti spesso con troppi compromessi, lontani dai propri desideri e aspirazioni. In questo senso, il diario si rivela spesso un importante compagno, un partner ideale per vivere le fantasie irrealizzate e per confessare la profonda paura di solitudine. Infine, il tema della passione costituisce un elemento di distinzione generazionale proprio perché legato a determinate costruzioni sociali strettamente dipendenti dal tempo in cui si è vissuti. Negli anni 50, ad esempio, prevalgono i forti condizionamenti educativi e spesso religiosi che inibiscono anche le confidenze sul diario: “A volte ho sentito venirmi meno le forze, in seguito ai tuoi ripetuti inviti all’amore vero: ho invocato l’aiuto del signore e della Vergine santa che mi facesse superare una prova così dura”.

    Il tempo come coordinata cosmologica

    La terza e ultima dimensione oggetto di analisi è quella cosmologica. Atkinson (2002) ci suggerisce che i racconti personali possono “aiutarci a capire l’universo di cui facciamo parte, a integrarci in esso, e possono fornirci una visione più nitida del nostro ruolo nel mondo”. Nel corso dell’analisi, quindi, abbiamo tenuto conto anche delle riflessioni contenute nei diari che facessero riferimento a due ambiti distinti: da un lato alle modalità di gestione del tempo libero, con particolare riguardo al consumo mediale e, dall’altro, ai resoconti degli avvenimenti storici che si sono succeduti e di cui le diariste sono state talvolta testimoni attive. In modo particolare facendo riferimento a un arco temporale caratterizzato dalle grandi rivoluzioni mediali, che va appunto dagli anni 50 ai giorni nostri, abbiamo cercato di capire in che modo i media interferiscano con la gestione del tempo libero e che significato o ruolo assumano nella vita delle autrici.

    Una prima evidente differenza si scorge nella natura pubblica o privata del proprio tempo libero (vedi graf.1). Fino agli anni 70 i diari sembrano testimoniare un uso condiviso del proprio tempo, un impiego delle ore libere rivolto ad attività che solitamente coinvolgevano altri significativi, familiari, amici o semplici vicini di casa e di quartiere. All’interno di questa dimensione pubblica del loisir si può individuare un tempo ordinario e uno straordinario. Quest’ultimo include tutti quegli eventi che coinvolgono la comunità, che fungono da momento di condivisione e integrazione con essa: “15 agosto. Giorno di sagra. Stasera ho potuto uscire, c’erano anche i fuochi di artificio e tanta gente e in mezzo a quella confusione dopo avere incontrato Lidio presi per mano ci siamo incamminati per il viale che porta al municipio”.

    Ai momenti straordinari si alternano gli appuntamenti settimanali anch’essi ritenuti impegni inderogabili non solo per il valore personale attribuitogli ma anche per il risvolto sociale ad essi legato. Alcuni impegni sono meno attesi di altri come la messa della domenica, che comunque funge da momento di incontro e di socializzazione con la propria comunità.

    Altro appuntamento settimanale ben più atteso è il cinema, nella maggior parte dei casi sempre domenicale, che funge da premio e da rituale vero e proprio da condividere sia con la famiglia che con gli amici. I diari testimoniano quindi questa partecipazione corale alle prime visioni di film divenuti oggi cult della tradizione cinematografica italiana, come “Roma città Aperta” o “Don Camillo, mon signore ma non troppo”. Possiamo dire che fino agli anni 70 il tempo libero è ben cadenzato da impegni “pubblici” ordinari e straordinari, attesi e obbligati, che coinvolgono tanto la persona quanto il suo intorno sociale. Ad eccezione della lettura, tutti gli altri momenti, inclusa la fruizione mediale, è condivisa con gli altri assumendo soprattutto funzioni socializzanti e di partecipazione alla vita della comunità. E forse la stessa ricerca di intimità per la scrittura del diario è prova di questa pressante presenza della condivisione con l’altro.

    Ben diversa la situazione presentata nei diari delle donne più vicine ai nostri tempi in cui i racconti sono prova di un uso sempre più intimo e privato del proprio tempo: occasione di chiusura dei numerosi contatti esterni spesso obbligati, come il lavoro o la scuola per le diariste più giovani.

    Grafico 1. Il tempo libero

    Oltre agli amici e agli impegni sportivi, il tempo libero è trascorso in solitudine e anche la fruizione mediale è sempre di più un’esperienza ordinaria e solitaria. È evidente che la maggiore diffusione della televisione negli ambienti domestici influenzi molto sia la quantità che le modalità di fruizione della TV e anche il cinema perde in parte il fascino dell’appuntamento ritualizzato, per divenire una semplice occasione per qualcosa di diverso. La musica non è più solamente la colonna sonora delle feste da ricordare ma diventa invece una buona abitudine della giornata: “eccomi qui per scrivere due righe, in compagnia della mia radio, sul mio diario”.

    Nei diari si trovano riferimenti anche ad avvenimenti storici importanti dello scorso secolo, che fanno del quaderno dei segreti una traccia del nostro passato. È possibile scorgere diversi gradi di interessamento e partecipazione a tali accadimenti che va dal semplice riferimento come spettatore passivo alla partecipazione piena e attiva all’evento. In modo particolare, dai diari analizzati emergono sostanzialmente due grandi temi: gli avvenimenti storici e la partecipazione politica, che, va specificato, è presente solo nei diari antecedenti agli anni 80.

    Questi due grandi temi, ritrovati nella maggior parte dei diari, sono poi declinati secondo focus di attenzione e di rilevanza differenti che possono essere così categorizzati:
    - la testimonianza: la diarista offre un personale rendiconto dell’evento;
    - il riferimento flebile: l’autrice è mera spettatrice dell’accaduto e lo vive con distacco;
    - il trasporto attivo: l’accadimento viene vissuto in prima persona e con forte coinvolgimento emotivo.

    Cercheremo di entrare maggiormente nel dettaglio proponendo anche alcuni stralci di testo significativi.

    Alcune diariste hanno vissuto molto da vicino accadimenti, divenuti oggi fatti storici, sia per la loro prossimità temporale che per quella spaziale. Sono proprio questi i casi che abbiamo definito di testimonianza dell’evento perché le diariste descrivono l’accaduto inserendolo nella propria quotidianità: “sai perché pensavamo che ci fossero i ciompi (nome della compagnia)? Perché c’è stato lutto nazionale per una bomba fatta scoppiare in piazza Fontana e che ha ucciso 15 persone e ferite 90”. Il racconto dell’avvenimento si “intreccia” con la sua vita da adolescente un po’ ribelle. Più profonde e sentite, invece, sono le parole di un’altra diarista:: “sono a casa coccolata dai parenti e desidero fare una cronaca degli avvenimenti di cui sono stata testimone: il ricordare forse mi aiuterà a rassegnarmi. Ero a Firenze il 4 novembre. Le immagini dell’alluvione sono ancora vivissime nella mia memoria e mi fanno male”. I due episodi sono accomunati proprio da questa prossimità spaziale con l’accaduto che inevitabilmente lascia un segno marcato, che trova la sua prima elaborazione a partire dalle parole riportate nero su bianco.

    Di natura molto diversa sono invece le brevi citazioni, molto decontestualizzate rispetto ai racconti e alla quotidianità, di quei fatti di cronaca di cui sono mere spettatrici. La scelta del termine non è casuale proprio perché il fatto viene acquisito in quanto episodio di cronaca riportato da TG e radio giornali. Non sembra esserci una piena coscienza di quanto accade in un posto spesso lontano, ma probabilmente, per la rilevanza percepita, merita di essere citato: “l’anno scorso si minacciava una guerra per ragioni che non conosco, ma poi non si fece per fortuna, le nazioni coinvolte erano: America, Italia, Libia”.

    Ultimo caso, molto più raro, è quello di racconti di fatti ed eventi vissuti in prima persona come parte integrante del “tassello di storia”. Tra i diari a nostra disposizione ve ne sono due degni di nota proprio perché il tema centrale sembra ruotare attorno a un’esistenza segnata fortemente dalla partecipazione attiva al corso degli eventi. Aumenta il phatos dei racconti e le stesse relazioni interpersonali, familiari, i fatti quotidiani vengono riletti e interpretati in funzione del proprio essere parte della storia. Rossella si trova a fare per lavoro il giro del mondo e, fra le tante mete, vi è pure il Vietnam. I racconti sono pieni di dolore e di quel senso insopportabile di impotenza e riluttanza verso ciò che non è compreso e non è voluto. Appena arrivata scrive sul suo diario: “sono a Saigon(...). All’inizio è stato molto brutto avevo tanta paura si vedevano solo soldati armati fino ai denti, intorno all’aeroporto c’erano le barricate con i militari di vedetta, tanti aerei da combattimento e tanti militari spossati dal caldo insistente”. Anche Valeria dedica le parole del suo diario al Vietnam, alle sofferenze e ai dolori della guerra ma per sottolineare, confermare il suo pensiero politico che è diventata da tempo la sua ragione di vita: “questa sera gruppi di giovani attaccano manifesti di protesta. Domani l’onorevole Menicacci terrà un comizio in piazza Repubblica…anche Vanessa va a diffondere la voce operaia”.

    In entrambi i casi il racconto è minuzioso, dettagliato e carico di emozioni discordanti che assumono toni accesi e vivi come la paura di essere scoperti o il fervore per una rivoluzione tanto auspicata. La due giovani donne sono entrambe testimoni e attrici allo stesso tempo di quello squarcio di storia raccontato attraverso le parole del diario.

    Conclusioni

    Abbiamo cercato di sintetizzare in queste pagine un breve viaggio attraverso la diaristica femminile per sottolineare il valore sociologico di questi manoscritti sia come strumento che e soprattutto come oggetto di studio vero e proprio. Attraverso lo sguardo personale del suo autore, il diario si presta, più di altri tipi di documentazione o di metodologie a restituire intatte immagini di un tempo e di uno spazio già vissuto e per questo molto spesso dimenticato o deteriorato. Una scrittura, in questo caso solo femminile, probabilmente perché la donna ha sviluppato, per attribuzione culturale, la competenza del journey of self-discovery (Del Re, 1996), ovvero la capacità di guardarsi dentro.

    La soggettività dello sguardo è superata dal confronto di materiali differenti appartenenti a periodi diversi della nostra storia e l’analisi qualitativa restituisce traccia della ricchezza contenutistica di questo tipo di testo.

    Ciascuno di noi attraverso la sua storia non può fare a meno di collocarla in un tempo e in uno spazio ben preciso arricchendo le trame del suo racconto di scorci sociali, storici e culturali che entrano inevitabilmente a fare parte della narrazione stessa.

    Tramite le parole delle diariste abbiamo ricostruito questo intimo rapporto con la scrittura di sé e le abbiamo riconosciuto funzioni che vanno dal semplice bisogno di condividere la propria storia al bisogno più profondo di ritrovare se stessi. Fra le parole di ogni racconto, inclusi quelli riportati su un diario personale, si scorge il perenne dialogo dell’uomo con la morte (Abruzzese, 1991), il profondo desiderio di redenzione ed eternità e lo smanioso bisogno di condividere la propria esperienza. Dai loro racconti siamo riusciti a trovare le tracce dei cambiamenti sociali che si sono succeduti dagli anni 50 ai giorni nostri; forse apparentemente scontati, ma che trovano la loro concretezza in testimonianze vere di quel tempo. La prova più affascinante del prezioso valore di quelle parole custodite in un diario è l’emozione profonda nello scorgere, sparse all’interno di una vita personale, i segni di grandi avvenimenti del passato che per noi oggi sono storia e che per loro, allora, erano quotidianità.

    Note

    1] Rispetto all’origine della pratica, però, riconducibile al V secolo A.C. con la nascita dei bios1, il diario personale è stato confinato per un lungo periodo all’uso privato e trattato come un documento estremamente personale, privo di qualsiasi valenza storica, letteraria e sociale. Bisogna aspettare molto tempo e precisamente il XIX secolo perché confessioni, memorie e autobiografie costituiscano un genere letterario vero e proprio (Pineau, Le Grand, 2002) e, solo molto più tardi, la storiografia rivaluterà cautamente la veridicità dei contenuti di questi documenti personali, elevandoli a fonte di informazione e testimonianza di determinati periodi storici.
    2] Il primo lavoro che si possa annoverare fra quelli di stampo sociologico, che abbia avuto il merito di fare un uso rigoroso del materiale autobiografico, è “Il contadino polacco” di Thomas e Znaniecki che ricostruisce gli aspetti sociali della vita di quegli anni attraverso corrispondenze e testimonianze di chi li ha vissuti (Bertaux, 1998).Uno studio che risale ai primi anni 20 e che ha costituito per lungo tempo un’eccezione rispetto alla consuetudine di delegare i metodi qualitativi, con particolare riferimento a diari e storie di vita, a un ruolo ancillare nell’ambito della metodologia di ricerca.
    3] La crescita di interesse verso gli approcci qualitativi è stata segnata dalla cosiddetta “svolta narrativa” (Smorti, 1994), una prospettiva sociologica affermatasi recentemente, che riconosce alle narrazioni un ruolo centrale nella storia dell’uomo e della società. Gli universi simbolici di riferimento e i sistemi culturali sono intessuti di storie, racconti e narrazioni; attraverso il pensiero narrativo (Bruner, 1990), l’uomo dà significato agli eventi e alla realtà; infine, è attraverso le narrazioni che cerchiamo di abbracciare il senso più generale della nostra esistenza e “di tenere insieme i pezzi del nostro sé, altrimenti soggetto a disperdersi nel suo svolgersi nel tempo e nei mille rivoli e nelle maschere sociali dietro cui ci ripariamo” (Di Fraia, 2004).
    4] Per un approfondimento sulle 4 funzioni individuate da Atckinson psicologica, sociale, mistico-religiosa e cosmologico-filosofica cfr Atkinson (2002).

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