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    M@gm@ vol.5 n.2 Janvier-Mars 2007

    FRANCO FERRAROTTI: IL PENSIERO E L'OPERA



    Francesca Colella

    francesca.colella@uniroma1.it
    Dottoranda in Teoria e ricerca sociale presso l’Università degli studi di Roma «La Sapienza». Ha conseguito il Master universitario in Teoria e analisi qualitativa. Storie di vita, biografie e focus group per la ricerca sociale, il lavoro, la memoria. Da due anni è tutor per il Master universitario in Immigrati e rifugiati. Formazione, comunicazione e integrazione sociale, dell’Università «La Sapienza» di Roma.

    Valentina Grassi

    valentina.grassi@uniroma1.it
    Dottoranda di ricerca in Sociologia presso le Università La Sorbonne-Parigi 5 e «La Sapienza» di Roma. Si occupa di metodologie dell’immaginario in sociologia e di metodologie qualitative nella ricerca sociale. Ha coordinato la segreteria didattica dei Master Teoria e analisi qualitativa. Storie di vita, biografie e focus group per la ricerca sociale, il lavoro, la memoria e Immigrati e rifugiati. Formazione, comunicazione e integrazione sociale, dell’Università «La Sapienza» di Roma.

    Introduzione [1]

    In occasione degli ottant’anni del noto sociologo e scrittore Franco Ferrarotti, l’Università degli Studi di Roma “La Sapienza” e l’Università di Roma Tre hanno organizzato un convegno dedicato al suo pensiero e alle sue opere, nei giorni dal 6 all’8 aprile 2006. Le giornate si sono aperte la sera del 6 aprile con un concerto d’organo di Federico del Sordo, alle 19 presso la Basilica dei SS. XII Apostoli, per continuare poi il 7 aprile, alle 9, con il convegno presso il Centro Congressi de “La Sapienza”, a via Salaria 113, e il pomeriggio, alle 15, presso la Facoltà di Scienze della Formazione a piazza della Repubblica. Le giornate si sono così concluse, l’8 aprile mattina, alle 9.30, nella sala Protomoteca del Campidoglio, dove il Sindaco Walter Veltroni ha pubblicamente reso omaggio a Ferrarotti per il suo prolungato e costante lavoro di ricerca sulla città di Roma. Alla fine dei lavori l’intervento di Ferrarotti, recitato in quella forma drammaturgica che lo rende un comunicatore eccelso, ha concluso un evento denso e ricco di riflessioni a proposito dei temi sui quali il maestro dei sociologi italiani ha sempre aperto dibattiti pionieristici in molti campi delle scienze sociali.

    Importanti nomi delle scienze umane e sociali, italiani e internazionali, hanno festeggiato con i loro interventi il decano della sociologia italiana, vincitore del primo concorso a cattedra di sociologia in Italia, nel 1960. Sono stati ospitati a Roma sociologi, antropologi, storici di varie università italiane ed estere, per discutere dei temi di cui Ferrarotti si è nel tempo occupato, di volta in volta aprendo la strada a dibattiti in un’Italia ancora “giovane” in queste discipline. Si è parlato di capitalismo, lavoro e migrazioni, dell’approccio qualitativo nelle scienze sociali, di memoria e vissuto sociale, di istanze religiose e culturali, della città di Roma tra realtà e immagine. A proposito degli interventi internazionali, erano previsti contributi di Michel Maffesoli da Parigi, di Richard Sennett da Londra e Piotr Sztompka da Cracovia, professori e amici dello studioso che sempre ha creduto nel carattere interdisciplinare e internazionale del dibattito intellettuale. L’apertura internazionale di Ferrarotti affonda le radici nelle sue numerose esperienze all’estero: ha studiato in varie Università, da New York e Chicago a Parigi e Londra; per diventare poi professore visitatore negli Stati Uniti, in America Latina, in Africa, in Russia e in Giappone, paesi nei quali le sue opere sono state tradotte. È stato Directeur d’Etudes alla Maison des Sciences de l’Homme a Parigi, chairman dello Staff Seminar della New School for Social Research di New York e member della New York Academy of Science.

    Nel quadro dei numerosi interessi del sociologo, sono significativi gli studi sul capitalismo e sul lavoro, che ritroviamo ad esempio nei lavori “Il dilemma dei sindacati americani”, del 1954, e “Il capitalismo”, edito dalla Newton Compton nel 2005. Ha trattato anche le questioni del sacro, per esempio in “Il paradosso del sacro”, del 1983, o in “Una teologia per atei”, dello stesso anno. Al centro dei suoi studi, in una fase pionieristica soprattutto in Italia, la questione della memoria e dell’approccio qualitativo: un classico della disciplina è ormai il suo testo “Storia e storie di vita”, del 1981. La città di Roma, inoltre, è stata a fondo studiata da Ferrarotti e dalla sua équipe di ricerca, di cui abbiamo testimonianza in “Roma da capitale a periferia”, che esce nel 1970. Generazioni di studenti hanno conosciuto e approfondito la sociologia grazie al suo “Trattato di sociologia”, edito dalla Utet nel 1968. Sul fronte delle riviste, ha fondato, insieme a Nicola Abbagnano, “I Quaderni di Sociologia” nel 1951, e ha fondato e oggi dirige “La Critica Sociologica” La vita di Ferrarotti attraversa, dagli anni Sessanta in poi, la storia della sociologia italiana, a proposito della quale l’autore ci ha detto: “La sociologia ha avuto in Italia un gran successo che però non ha di per sé una gran validità. L’oggetto non è propriamente la sociologia. È la consapevole partecipazione dell’umano all’umano”.

    Una vita intensa quella dello studioso, che oggi ha deciso di raccontare in una serie di libri autobiografici, per la casa editrice Guerini: l’ultimo, “Nelle fumose stanze”, è stato presentato proprio in occasione del convegno per il suo ottantesimo compleanno. Ferrarotti ci racconta in queste pagine la stagione dell’esperienza politica in cui è stato deputato indipendente per il “Movimento Comunità” di Adriano Olivetti, tra il 1953 e il 1968. A proposito del testo l’autore sostiene: “Ecco un libro che presenta un discorso sulla politica non puramente teorico ma come esperienza vissuta”; pagine in cui racconta e si racconta, presentandoci un’esperienza coinvolgente, esperienza che è stata poi abbandonata per dedicarsi pienamente al lavoro intellettuale.

    1. Franco Ferrarotti: precursore e pioniere della sociologia in Italia

    La prima giornata, quella del 7 Aprile, viene aperta dai saluti delle autorità accademiche: il prof. Morcellini, Preside della Facoltà di Scienze della Comunicazione, legge una lettera inviata dal Presidente della Repubblica, Carlo Azelio Ciampi, nella quale il Presidente esprime il suo più vivo ringraziamento per l’opera che questo illustre accademico ha portato avanti negli anni. Ricorda di aver insignito Franco Ferrarotti con la più alta onorificenza della Repubblica e rileva quanto il suo lavoro sia stato importante, in relazione soprattutto all’apertura di una via italiana alla sociologia, intesa ad interpretare, in un’ottica progettuale, le profonde trasformazioni e i cambiamenti della società.

    Mario Morcellini ricorda che Ferrarotti, all’interno del dibattito intellettuale italiano degli anni ‘50, fu tra i primi a proporre, non solo a livello accademico, uno sguardo sociologico sul mondo, laddove la cultura dominante era di monopolio crociano. Franco Ferrarotti è un intellettuale molto particolare e certamente riveste il ruolo di caposcuola a tutti gli effetti. Ricorda anche che Ferrarotti è stato tra i primi a proporre vie di uscita dai vincoli dicotomici dei dibattiti crociani-marxisti, così come è stato tra i primi a parlare di una sociologia qualitativa che fosse in grado di demistificare il mito delle statistiche univoche e delle verità ideologiche. E’ caposcuola anche perché è stato in grado di portare la ricerca fuori dalle accademie, nelle periferie romane, nelle comunità immigrate, nei luoghi delle sottoculture giovanili e nelle comunità religiose.

    Il Magnifico Rettore dell’Università degli Studi di Roma, il professor Renato Guarini, rende omaggio a Franco Ferrarotti a nome proprio e dell’Università “La Sapienza” definendolo come precursore e pioniere della sociologia, come maestro di tutti in ambito universitario, e sottolineando come Ferrarotti rappresenti nel mondo la ricerca e la sociologia italiana. E’ inoltre un punto di riferimento per tutti coloro che si cimentano con il metodo qualitativo nelle scienze sociali. Il Rettore ricorda che nella vita di Ferrarotti c’è stata anche la passione politica nella forma più alta, e cioè quella dell’adesione ad un progetto di sviluppo basato sull’integrità delle persone, sul rispetto delle culture locali e dell’ambiente. Seguendo il filo conduttore nella vastissima produzione di Ferrarotti, Guarini ripercorre le tematiche salienti, come la memoria, le storia di vita, la biografia e chiude il suo intervento sottolineando che Ferrarotti ha ancora molto da dirci e da insegnarci.

    Luciano Benadusi, Preside della Facoltà di Sociologia, sottolinea la capacità dell’emerito professore di aggiornare la sua riflessione di fronte al costante cambiamento della società, ringraziandolo sentitamente e ricordando che tutti gli devono molto. Luigi Frudà, Direttore del Dipartimento di Sociologia e Comunicazione, inizia la sua riflessione facendo cenno alla gratitudine per la possibilità di operare assieme a Ferrarotti, sul piano scientifico, professionale ma anche umano. Sottolinea la splendida opera da lui compiuta, al cui interno c’è una straordinaria lezione metodologica, nella quale la sociologia è individuata come scienza critica: la frase cardine è la “sociologia problematicamente orientata”, impresa dove teoria e ricerca collaborano assieme con una tensione problematica sottostante. Inoltre, la passione straordinaria con cui Ferrarotti ha sempre lavorato accompagna la “giovinezza scientifica” di cui Frudà spera un giorno di conoscere la formula.

    Katia Scannavini legge una lettera giunta dai colleghi americani, nella quale Dory McCarty, a nome di tutti, evidenzia quanto fondamentale sia per il percorso scientifico di tutti gli studiosi il contributo di Ferrarotti.

    Piotr Sztompka, Presidente ISA (International Sociological Association), a nome di tutta la comunità di cui Ferrarotti è membro, interviene cercando di scoprire quali siano i segreti che rendono il professore tanto speciale. Certamente, secondo Sztompka, la capacità di ricoprire più ruoli nel corso del proprio percorso professionale rappresenta una chiave di successo. Ferrarotti ha, infatti, avuto numerosi ruoli sociali e non solo è riuscito ad armonizzarli, ma ha anche raggiunto l’eccellenza. I ruoli assunti da uno studioso sono classificabili attraverso il pubblico che ascolta: i primi referenti sono gli studiosi della comunità scientifica, la gente e gli studenti. La collaborazione con gli altri studiosi è fondamentale per la costruzione della scienza come impresa collettiva.

    2. Capitalismo, lavoro e migrazioni

    Alle ore 10 circa apre la prima sessione mattutina, quella dedicata al “Capitalismo, lavoro e migrazioni”, presieduta da Enzo Mingione, Preside della Facoltà di Sociologia dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca, il quale ricorda le ore trascorse con Franco Ferrarotti, maestro italiano sempre generoso e in grado di donare il proprio tempo, dal quale spera di aver imparato ad essere generoso a sua volta.

    La relazione di Enrico Pugliese, Direttore dell’IRPPS-CNR e ordinario di Sociologia del Lavoro presso l’Università Federico II di Napoli, individua un “filo rosso” all’interno del vastissimo lavoro di Ferrarotti, che è quello riguardante il tema del lavoro e a tutte le aree tematiche ad esso connesse: dalle classi sociali alla povertà, dal welfare state e alle politiche sociali, fino ai movimenti migratori. L’attenzione al lavoro, agli operai, alle loro condizioni materiali, ai loro valori e alle loro culture nei diversi contesti storici e geografici (nazionali), ma anche alle diverse forme di organizzazione del lavoro con le sue costanti trasformazioni sono un tema centrale per Ferrarotti. Inoltre il professore dedica ampio spazio al sindacato e al suo ruolo nel Trattato della UTET [2]. Ferrarotti, dice Pugliese, riconosce alla Sociologia del lavoro l’aver realizzato una serie di “acquisizioni parziali” ma sottolinea come ai suoi rappresentanti, presi da “furore descrittivo”, sia venuto meno il gusto dei problemi di fondo. E ora, a trent’anni da quel commento e dando un giudizio conclusivo su quel filone di ricerche, scrive “La sociologia del lavoro ha perso il passo. Appare disorientata. Diffusa ormai in tutto il mondo, ha la coscienza inquieta, ammesso che ne abbia una. Nel corso degli ultimi anni cinquant’anni si è preoccupata, lodevolmente del resto del lavoro. Naturalmente: è il suo oggetto. Ha temuto di perderlo. Lo ha descritto nella sua evoluzione. Lo ha interpretato nelle sue varie fasi. Si è preoccupata dei datori di lavoro, che dovevano essere inventivi e dinamici per dare, appunto, lavoro e per tenere le ruote del sistema in movimento. Non sembra essersi accorta di una strana metamorfosi: che i datori di lavoro si sono trasformati in datori di precarietà” [3]. Pugliese chiude il suo intervento ricordando come Ferrarotti abbia insegnato a guardare ai grandi movimenti e alle nuove tendenze di rilievo nella società per farle oggetto di ricerca critica. Questo intreccio tra curiosità scientifica, approccio critico e impegno civile si registra sistematicamente in tutti i suoi studi su capitalismo, lavoro e migrazioni.

    A seguire interviene Giuseppe Bonazzi, professore ordinario presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università degli Studi di Torino, il quale apre la sua relazione con una riflessione: lui non è stato allievo di Ferrarotti, per motivi anagrafici, e si considera quindi autodidatta. Potrebbe descrivere la figura di Ferrarotti come un fratello maggiore, ma anche questa figura non lo soddisfa, poiché “un fratello maggiore lo vedi di spalle e il rapporto con lui può essere conflittuale: Ferrarotti può essere invece un giovane zio”. Per Bonazzi, forse, il riferimento più adatto può essere quello di Lévi-Strauss quando descrive il ruolo dello zio nelle popolazioni primitive come “una figura istituzionale e giocosa ma anche di aiuto e benevola nei confronti dei nipoti, nei loro riti di passaggio all’età adulta”. Bonazzi sottolinea che Ferrarotti è stato quindi una figura importante e racconta del loro primo incontro nel quale da un lato sentiva già il fascino della critica marxista e dall’altro il riferimento empirico, non ideologico, alla realtà da studiare. Bonazzi confessa che la sua scelta di studiare la fabbrica, come luogo d’indagine dove c’è una permanente dialettica tra controllo normativo e l’iniziativa del singolo, tra il conflitto e la cooperazione, tra le regole che presiedono alla sua organizzazione interna e le inevitabili aperture verso l’esterno, è stata fortemente ispirata da Ferrarotti. Chiude il suo intervento paragonando il rapporto con Ferrarotti ad un fiume carsico che emerge e che poi s’inabissa, per poi emergere di nuovo. Commosso, spera che questo fiume carsico possa emergere ancora una volta prima di finire nell’oceano.

    Guido Carandini, economista e saggista, già professore all’Università di Macerata, dedica il suo intervento alle trasformazioni strutturali avvenute relativamente al lavoro: “la macchina è divenuta il vero operaio e l’uomo il suo assistente; conseguentemente si è avuta una svalutazione della classe operaia come agente sociale, così come ha subito un ridimensionamento anche il ruolo dei sindacati e dei partiti. La protesta dei giovani di oggi contro il lavoro precario si scontra con la logica del sistema capitalista odierno che rende precario tutto: l’operaio come la macchina”. Questo è il problema per Carandini: il capitalismo non è superabile, rimarrà, poiché le stesse lotte operaie hanno aiutato il capitalismo a trasformarsi. In una cultura ossessionata dal progresso tecnologico, Carandini denuncia che non si parla più di antagonismi e c’è un abbassamento della soglia di attenzione sociale vero i problemi della società.

    “Lo sviluppo del capitalismo è una questione troppo importante per lasciarla solamente ad una disciplina”. Queste parole di Franco Ferrarotti vengono ricordate da Luigi Perrone, ordinario di Sociologia delle migrazioni e delle culture all’Università di Lecce. Per Perrone, questa visione disciplinare va oltre i confini della disciplina stessa. Ferrarotti, assieme al suo gruppo, per primo compie studi attraverso un approccio interdisciplinare, percorrendo contestualmente il lavoro e il fenomeno migratorio. Il capitalismo, infatti, non ha bisogno più di masse di lavoratori. In una società in cui non esistono più barriere che tengano in relazione alla fame, e la fame è più forte della paura, si parla di effetto spinta. Le migrazioni oggi si trovano quindi dinanzi allo strapotere del capitalismo e ai suoi mutati bisogni.

    3. Approccio qualitativo, memoria, vissuto sociale

    Ariel Del Val, sociologo dell’Universidad Complutense de Madrid, è presidente della sessione della seconda parte della mattinata, dedicata all’approccio qualitativo, introduce il tema che entra invece nel vivo con la lunga e complessa relazione di Giovanna Gianturco, dell’Università “La Sapienza”, la quale si propone di riassumere uno dei cardini del pensiero di Franco Ferrarotti: il compito è oltremodo arduo, sia sul piano della ricostruzione bibliografica che sul piano ermeneutico. La produzione è amplissima e il tema dell’approccio biografico nella ricerca sociale taglia trasversalmente gran parte dei suoi scritti. Le riflessioni di Ferrarotti sulla metodologia qualitativa si collocano in un dibattito internazionale evidentemente difficile da ricostruire e in sede di relazione la Gianturco segue il filo rosso di quella che lui stesso ha definito una “trilogia ideale”: “Storia e storie di vita” (1981), “La storia e il quotidiano” (1986) e il “Ricordo e la temporalità” (1987) alla quale si aggiunge “La sociologia alla riscoperta della qualità” (1989), dove egli torna su temi fondamentali come la fondazione dell’approccio biografico e delle storie di vita. Franco Ferrarotti ha molto lavorato sul piano empirico ma è stato uno dei pochi che si è preoccupato di rafforzare l’impianto teorico-epistemologico dell’approccio qualitativo. La sociologia di Ferrarotti non è sociografica, ma è una sociologia come scienza dell’interconnessione del sociale, scienza di auto-ascolto di una società intesa quale risultanza dell’interazione tra attori e circostanze sociali. Un sociale dunque attingibile attraverso non solo categorie, modelli e schemi rigidamente pre-elaborati e usati in forme intercambiabili, quanto comprensibile a partire dalla rilevanza accordata allo studio dei fenomeni sociali, delle azioni, delle norme, dei valori, dando ampio spazio al punto di vista e alla prospettiva di chi viene studiato. “Le persone non possono essere usate strumentalmente senza correre il rischio di oggettualizzarle, ossia negarle come persone”. Da sempre Ferrarotti è convinto che la teoria sociologia debba essere ricerca integrata, scienza del vivente e del presente, capace di coniugare le esigenze di validità empirica e il tentativo di una sistematica teoria.

    A seguire, lo storico Franco Pitocco esordisce dicendo di dover a Franco Ferrarotti un pezzetto della propria vita intellettuale, tornando alla metafora dei fratelli, in quella che è chiamata comunità scientifica. Nell’università esistono dei rapporti generazionali diversi e a volte quello che è il fratello maggiore non ha consapevolezza di avere un fratello minore, mentre un fratello minore sa di avere un punto di riferimento preciso. Claudio Bondì, regista e saggista, racconta che nel 1963 biennalizzò l’esame di Sociologia, conoscendo il professor Ferrarotti: per lui rimarrà sempre il Professore. Sempre poi, negli anni, Ferrarotti è stato presente nel suo lavoro. È sempre stato un punto di riferimento. Ricorda i due lavori audiovisivi che raccontano la biografia del professore, dei quali ha curato la regia: manca però una terza parte che spera di realizzare in un prossimo futuro. E’ un uomo che rispetta le idee degli altri, ma anche le sue. E’ stato fondamentale per la comprensione del valore della “storia minore”, indispensabile per raccontare la grande storia. Daniele Conversi, sociologo della London School of Economics and Political Sciences, rivolge il proprio intervento principalmente al lavoro “La tentazione dell’oblio” e al tema della memoria e della comunità, affrontate sempre da Ferrarotti rifiutando la logica del conformismo, essenziale per la cultura italiana. Olivetti, in questo, è stata una figura importante per Ferrarotti, con la sua sensibilità nel carpire che qualcosa stava effettivamente cambiando.

    All’interno dell’infinità dei temi trattati dal prof. Ferrarotti, Antonio Cavicchia Scalamonti affronta il tema della morte, ricordando il suo libro di quasi due anni fa dal titolo “Vietato morire”. Affronta quindi il tabù del XXI secolo, esercitando tutta la sua capacità sociologica e antropologica, facendo anche una meditazione sulla morte, cosa che non si fa solitamente in questi tempi. Facendo riferimento a modelli passati riflette come un filosofo, uno storico, un saggio greco. “Nel momento in cui, con l’avvento della società industriale, la morte ha smarrito il suo significato religioso e la categoria di passaggio, essa ha perduto anche il suo significato”. Si sostituisce il termine morte con altre parole. Noi non riusciamo a pensare alla morte e la vera sfida della contemporaneità è il tentativo di produrre un significato che comprenda o la inserisca in una sorta di universo simbolico a noi adatto. Inmaculada Serra Yoldi, sociologa dell’Università di Valencia, si definisce allieva del prof. Ferrarotti, del quale ha sempre ammirato la spontaneità e la vitalità. Venendo dalla Spagna, paese in cui “è amata l’anarchia”, la professoressa ha sempre ammirato anche la semplicità con cui Ferrarotti si muove all’interno del mondo accademico, sempre gerarchico e formale.

    4. Istanze religiose e culturali

    Per la sessione pomeridiana della prima giornata, il convegno viene ospitato dall’Università di Roma Tre, in particolare dalla Facoltà di Scienze della Formazione. Ad aprire i lavori è il presidente di sessione, Vittorio Cotesta, il quale definisce Franco Ferrarotti “di un’intelligenza graffiante, ironica” e fa cenno ad un sentimento di umana comprensione che lo ha sempre caratterizzato. A seguire Roberto Cipriani, Presidente dell’AIS e Direttore del Dipartimento di Scienze dell’Educazione, legge una lettera scritta da Francesco Susi, Preside della Facoltà di Scienze della Formazione, il quale si rammarica di non poter essere presente per impegni presi in precedenza ma tiene a sottolineare l’importanza dell’opera del prof. Franco Ferrarotti a partire dal secondo dopoguerra per la diffusione del pensiero sociologico in Italia. Roberto Cipriani inizia quindi la sua relazione ricordando l’importanza del luogo in cui si svolge questa sessione: un’aula emblematica che ricorda gli inizi della Sociologia in Italia dopo la seconda guerra mondiale. Da quell’aula molte strade sono partite. Cipriani sottolinea di essere allievo di Ferrarotti e di non dovere a lui molto ma bensì tutto. La relazione è volta alla ricostruzione storica del percorso della sociologia in Italia: partendo dal lontano 1874, anno in cui fu assegnato a Giuseppe Carle, vichiano, il primo insegnamento di Sociologia a Torino; successivamente, nel 1878-79 a Bologna ricorda l’insegnamento di Sociologia teoretica di Pietro Siciliani, spenceriano. Per quanto riguarda gli anni a seguire, nel 1898 ad Enrico De Marinis venne affidata la cattedra di Sociologia a Napoli. Casi che si contavano sulle dita di una mano. Un evento importante, ricordato da Cipriani con molta enfasi, è la nascita della Rivista Italiana di Sociologia, nel 1894 prima e rifondata diversamente poi tre anni dopo. Tutto ciò per raccontare come la Sociologia un tempo fosse solo un “rigagnolo” ma che dal 1874 in poi è cresciuta sempre più, con balzi enormi in alcuni periodi particolari. Oggi, in Italia, con una stima per difetto, si contano circa 1500 sociologi e di questo deve essere certamente ringraziato Franco Ferrarotti.

    Michel Maffesoli, a cui impegni inderogabili hanno impedito di essere presente, invia una relazione, letta da Valentina Grassi, a proposito della nozione di “chiesa invisibile”. Sarebbe questo un punto importante dell’opera di Ferrarotti, che riguarda quella “religiosità di base” a fondamento della socialità dei gruppi. Questo spirito religioso fa sì che si costituiscano, all’interno delle istituzioni ufficiali, vere e proprie “società segrete”, dove il legame sociale si consolida a partire da ciò che permette a ciascuno di essere se stesso, a partire da una relazione effettivamente esistenziale con l’altro. Le relazioni tra gli uomini sono sempre state fondate su questa “chiesa invisibile” che, secondo Maffesoli, è stata in qualche modo annunciata nel pensiero di alcuni autori classici quali Schelling, Hegel, Hölderlin, Durkheim e Simmel. È questa la “deità” secondo Maffesoli: il piacere di stare insieme senza un progetto predeterminato, il piacere ludico della vita in comune. È in questa linea che Ferrarotti parla del “paradosso del sacro”, di un sacro come costante antropologica al di là delle diverse forme di religione. Si tratta di ciò che in diverse occasioni il sociologo francese ha chiamato “centralità sotterranea”, dimensione che integra aspetti onirici, immaginari, ludici, immateriali della mondanità, e che si oppone alla dimensione positiva di un sociale visto come puramente razionale. Proprio all’interno di comunità “ritrovate”, seguendo il pensiero di Ferrarotti, il bisogno di sacro s’impone come esigenza di significati che si configurano al di sopra dell’individuo e della stessa individualità. Leggendo la produzione di Ferrarotti sul sacro, è così che Maffesoli intende i mutamenti di cui il postmoderno sarebbe intessuto: dalla “centralità sotterranea” alla “socialità in nero”, sono queste tutte sfide che le metodologie tradizionali della ricerca sociale è oggi chiamata ad affrontare.

    Alberto Abruzzese si sofferma, nella sua relazione, sul rapporto che Ferrarotti ha con il libro. Sarebbe questa una costante della produzione dell’autore, che si ritrova nel testo “Leggere, leggersi”. Attraversando la storia della formazione di un intellettuale come Ferrarotti, e le differenze con la propria formazione, Abruzzese sottolinea come essa abbia influito sull’amore che il sociologo ha per la cultura del libro, che non gli ha impedito però di mantenere con esso anche un rapporto di tipo “sensoriale”, e non solo mentale. Un altro aspetto che il relatore sottolinea come interessante nel pensiero di Ferrarotti, e dichiara di condividere, è il disincanto che egli mostrerebbe nei confronti delle istituzioni e della composizione delle classi dirigenti. Rimane tuttavia pur sempre legato, nelle parole di Abruzzese, ai destini di una nazione, alla tradizione di un mondo intellettuale in cui da sempre avrebbe vissuto.

    Luigi Berzano, sociologo dell’Università di Torino, ricorda il periodo delle contestazioni studentesche, durante il quale Ferrarotti teneva delle lezioni che erano in tutto dei veri e propri happening culturali. Franco Ferrarotti accettò tesi di laurea che nessun altro professore osava: quelle concernenti le lotte dei baraccati dell’Acquedotto Felice, delle occupazioni e delle contestazioni. Nei suoi studi e nelle sue ricerche, il rapporto tra razionalità ed esperienza esistenziale è fondamentale, laddove l’attore sociale era semplicemente percepito come un campo esclusivo della razionalità.

    Al rapporto con la filosofia è invece dedicato l’intervento di Giuliano Campioni, filosofo dell’Università di Pisa, il quale ricorda un incontro fondamentale per il prof. Ferrarotti: quello con Abbagnano. Ferrarotti con queste parole descrive quell’incontro: “L’ho incontrato per caso, ma forse il caso è l’atto di un Dio che si vergogna della sua bontà”.

    L’intervento di Federico Del Sordo, dal titolo “La critica sociale passa anche attraverso la musica. Franco Ferrarotti e lo spirito delle nuove comunità”, si concentra sul pensiero socio-musicologico del sociologo. La musica è uno dei temi praticamente ignorati dal pensiero sociologico, tuttavia le riflessioni di M. Weber e T. Adorno, come quella di P. Sorokin, hanno aperto la strada a studi interessanti. È difficile per la musica emanciparsi da una visione storico-estetica, tuttavia lo sviluppo della comunicazione di massa ha fatto sì che siano stati elaborati apparati concettuali sociologicamente fondati. La componente sonica rimane ancora sostanzialmente trascurata, mentre l’attenzione è concentrata sull’extra-musicale. Di Franco Ferrarotti si ricordano due opere importanti rispetto al tema della musica: “Homo sentiens. Giovani e musica. La rinascita della comunità dallo spirito della nuova musica e Rock, rap e l’immortalità dell’anima”, nelle quali, secondo Del Sordo, l’autore mostra un pensiero indipendente, ritrovando il concetto di comunità dietro il tema della musica. In tali opere, Ferrarotti analizza le “nuove musiche” e il mancato appuntamento della musica con il mercato; i luoghi della neotribalizzazione, la forza della musica di creare comunità. L’homo sentiens è un uomo che non legge, ma non va condannato, ma compreso in senso sociologico. In “Rock, rap e l’immortalità dell’anima” emerge l’indebolimento della soggettività, in un modo di fare musica che va oltre la musica stessa. Per Ferrarotti rimane una questione aperta, con la quale si conclude anche l’intervento di Del Sordo: è sufficiente riprodurre il linguaggio della strada per superarlo?

    L’intervento di Massimo Introvigne si apre con una notazione curiosa: il maestro di Ferrarotti, il filosofo Nicola Abbagnano, è stato uno dei condomini di Introvigne stesso a Torino. Egli ha avuto quindi non una conoscenza filosofica dell’autore, ma umana. Ha poi scoperto Ferrarotti alla fine degli anni ’70, dal momento che si occupava anche dei temi di cui Introvigne si stava interessando. Due opere vengono ricordate: “Studi sulla produzione sociale del sacro” e il testo di un’allieva di Ferrarotti, Maria Immacolata Macioti, “Teoria e tecnica della pace interiore. Saggio sulla Meditazione Trascendentale”. Lo studio di Ferrarotti si soffermava sulle forme periferiche, marginali, ma non meno importanti, della religione: gli accadimenti più importanti, dice Introvigne, succedono tutti nelle periferie, come nel caso degli Stati Uniti. Era anche il periodo in cui si affermavano nuove religioni, fra cui quelle che venivano dall’Oriente. La sociologia era “passata” come scienza, ma la sociologia della religione era comunque mal vista, tanto dalla tradizione marxista quanto da un certo atteggiamento della chiesa, che la vedeva come una forma di decadenza. Gli studi sul cattolicesimo non davano particolarmente fastidio, mentre non si era ben visti se ci si occupava di esoterismo. Introvigne sottolinea come Ferrarotti sia stato un anticipatore di dibattiti che sono poi esplosi: quando nel 1981 viene coniata l’espressione “Nuovi Movimenti Religiosi”, in Italia, grazie a Ferrarotti, se ne discuteva già da dieci anni.

    Sta ad Enzo Pace sottolineare il piacere della memoria, il piacere di ripercorrere la propria autobiografia intellettuale in un’occasione del genere. Pace viene da un gruppo di ricercatori che è cresciuto attorno ad Acquaviva, di cui si ricorda la polemica con Ferrarotti rispetto all’eclissi del sacro. Leggendo la trilogia di Ferrarotti sulla religione, il sociologo della religione dice di aver capito che c’era qualcosa, nell’ipotesi dell’eclissi del sacro, che la rendeva troppo azzardata, impossibile da sostenere. Quando nel 1983 Pace pubblica un testo sulle comunità pentecostali e catecumenali, si avvale del contributo di Ferrarotti, in particolare della sua lettura di Weber. Come riconnettere la sociologia della religione con la più ampia sociologia? È stato Ferrarotti a mantenere sempre fisso questo rapporto, mentre proprio Acquaviva abbandonava questa strada. Sempre in tema di percorsi autobiografici, Marcello Strazzeri ricorda come abbia conosciuto Ferrarotti a Lecce, mentre il suo approccio con la sociologia passava attraverso la passione suscitata dalla lettura proprio di Ferrarotti. Interessante la citazione che Strazzeri fa sul dibattito, di qualche anno fa, tra l’allora Cardinale Ratzinger e J. Habermas, pubblicato dall’editore Marsilio: entrambi convergono sulla necessità di un uso pubblico della ragione, e sull’esigenza di religiosi e laici di discutere in termini appropriatamente politici. Entrambi inoltre sottolineano l’importanza del sacro: ebbene, molto prima, sul finire degli anni Ottanta, Ferrarotti diceva: “È opportuno definire irreversibile la religione, il sacro non scompare”. Il sociologo è stato anticipatore anche rispetto al dibattito sull’impossibilità di misurare e quantificare tutti i fenomeni umani: in “Storia e storie di vita” diceva proprio come “tutto il mondo possa essere contenuto in un grano di riso”.

    Rispetto agli altri relatori, Arnaldo Nesti decide di non parlare del passato, ma del futuro. Tra le attività in cui Ferrarotti è coinvolto, Nesti ricorda il convegno sul cattolicesimo dell’Associazione Italiana di Sociologia della Religione e un seminario sulla questione del rapporto tra sacro e religione oggi. Ricorda inoltre il numero della rivista “Religioni e Società” sul religioso afro-brasiliano e sui buddhismi oggi. Ancora, Nesti parla della Scuola estiva organizzata dell’associazione Asfer, con il Cisreco, a San Gimignano, quest’anno dedicata al senso della festa oggi; mentre sono in programma due iniziative a Casole d’Elsa sul tema del dono, e un colloquio sul tema “l’Europa è una mera espressione geografica?”, per trattare il tema delle religioni riguardo al futuro dell’Europa. A Poggibonsi, infine, sono previsti due giornate sullo sfondo del tema “religione e laicità”. Nesti intende mostrare così come Ferrarotti sia ancora una presenza costante per i sociologi, e non solo, che si occupano dei temi della religione.

    Alla fine del pomeriggio di venerdì, interventi e ringraziamenti di docenti e amici di Ferrarotti mettono in luce come sia forte e sentita la sua capacità di spaziare negli studi sui diversi fenomeni sociali, dando ogni volta un contributo proficuo che arricchisce e amplia il dibattito. In questa linea, Vittorio Cotesta sottolinea proprio come Ferrarotti sarà ancora per molto il centro da cui partiranno spunti, piste e critiche per l’attività dei sociologi.

    5. La città di Roma tra realtà e immagine


    La mattinata dell’8 aprile si apre con le parole di Franca Eckert Coen, Delegata del Sindaco alle politiche per la multietnicità, che annuncia il prossimo arrivo del Sindaco. La Coen sottolinea come la prestigiosa sala ospiti in questa occasione un personaggio che alla città ha dato molto, anche a favore della partecipazione di persone diverse dagli autoctoni a un mondo ormai globalizzato. Ricorda così una frase che Ferrarotti ha pronunciato in occasione di un convegno organizzato dall’ufficio da lei diretto: “Non c’è identità senza alterità”. Possiamo ritrovare quest’idea, dice la Coen, anche in alcuni passi della Bibbia: si tratta di un modello di orizzontalità del dialogo in cui accoglienza dell’altro si traduce in accoglienza di se stessi.

    Maurice Aymard, storico della Maison des Sciences de l’Homme a Parigi, presiedendo la sessione al Campidoglio, si concede due parole all’inizio: ringrazia Ferrarotti per la sua costante presenza a Parigi e sottolinea che le due città di Roma e Parigi condividono molti problemi che l’attualità ci ricorda. Come storico, inoltre, si dichiara particolarmente interessato proprio al confronto tra realtà e immagine, che è il titolo della sessione. Interviene quindi l’Assessore Gianni Borgna, che ricorda come il lavoro che sta svolgendo in questi mesi con Ferrarotti sulle ex borgate romane abbia il compito di rinverdire l’importante ricerca del sociologo condotta alla fine degli anni Sessanta, mettendo in luce le trasformazioni degli ultimi trenta, quarant’anni. Il mutamento del rapporto centro-periferia, messo in luce da Ferrarotti, mostra come Roma sia ormai una città policentrica, fenomeno che è anche prodotto di un lavoro delle ultime amministrazioni. L’idea di Borgna è quella di creare, con Ferrarotti, una sorta di monitoraggio costante della realtà urbana in trasformazione. Anche Borgna si dedica poi a ricordi autobiografici: Ferrarotti è stato suo professore alla Sapienza, quando da professore spiegava sempre la materia in modo brillante e coinvolgente. Ricorda anche il periodo della contestazione, alla fine degli anni Sessanta, quando Ferrarotti, sempre da professore, dialogava attentamente con gli studenti, di cui Borgna faceva parte.

    Agli studi sociologici di Ferrarotti sulla città di Roma è dedicato l’intervento di Maria Immacolata Macioti, che ricorda subito il forte nesso tra teoria e ricerca sul campo che da sempre ha caratterizzato i lavori del sociologo. Tra i più noti, il testo “Roma da capitale a periferia”, a proposito della ricerca sulle borgate romane: il testo esce per il centenario di Roma capitale, ma è una nota dissonante, in virtù dell’ottica critica che adotta. Testimonia una diretta e profonda conoscenza della città e affronta i temi dell’emarginazione e del disagio sociale. In modo complementare, il testo “Vite di baraccati” dà voce ad alcuni abitanti di borgate e borghetti. Si prendono in esame le principali teorie sulla città: la concezione ecologica e meccanicistica, la concezione materialistica, la weberiana teoria della città come mercato, la concezione spiritualistica. Secondo Ferrarotti, la città è una realtà in movimento, in cui la miseria risulta funzionale ai quartieri di lusso: Roma è un importante laboratorio sociale, soprattutto in virtù dei flussi di immigrazione dal Sud Italia e da zone depresse del centro-nord. È una città esposta al fenomeno dell’urbanizzazione ma senza industrializzazione, prevale il terziario; è una città che vive una realtà contraddittoria e in mutamento, di cui le baraccopoli nelle borgate sono uno degli aspetti più rilevanti. Nelle borgate, le classi differenziali sorte ai primi del Novecento per aiutare i figli delle famiglie più povere sono diventate strutture che confermano l’esclusione, lo stigma sociale. La periferia è vittima della speculazione edilizia. Le ricerche di Ferrarotti e dei suoi collaboratori, di cui la Macioti ricorda Maria Michetti e Marina D’Amato, producono importanti testi: “Vite di baraccati”, del 1974, “Vite di periferia”, del 1981, e molti resoconti delle interviste appaiono nella rivista “La Critica Sociologica”. Negli scritti, si denuncia la burocratizzazione e lo sfruttamento della povertà anche da parte dell’industria della solidarietà sociale; dalle interviste emergono alcuni temi fondamentali: mentre prima c’era una comunità, ora si vive come monadi. È questo un esempio di come si possa risalire dall’empiria alla teoria, essendo il vissuto e l’esperienza ben più ricchi del pensato. Sono successivi, sottolinea la Macioti, gli studi di Ferrarotti sul rapporto tra potere e Roma: emerge da questi una forte personalizzazione del potere soprattutto nelle basse sfere sociali. Il potere è qui visto dal basso. Ancora, vengono condotte da Ferrarotti ricerche sugli immigrati a Roma: è grazie a questi studi che ci si interrogherà sulla possibilità dell’incontro tra culture. Infine, con il testo “Roma madre matrigna” Ferrarotti regala al lettore un’esperienza di quasi quarant’anni di studi sulla capitale. Sono anche qui dure le denunce verso i costruttori e la speculazione edilizia, mentre emerge la convivenza, in una città così complessa, di localismo e globalizzazione.

    Durante l’intervento di Maria I. Macioti, arriva il Sindaco Walter Veltroni, che ringrazia a nome della città Franco Ferrarotti, il quale, a capo di una generazione di sociologi, ha dato un importante contributo di studi e riflessioni sulla città di Roma. Ha, infatti, permesso a Roma di costruirsi un’identità dal punto di vista sociologico mentre subiva più di una trasformazione. Il testo “Roma da capitale a periferia” ha avuto un grande successo, e l’abolizione dei borghetti è uno dei mutamenti più significativi che Roma ha visto, anche con tutti i problemi connessi. Dimensione urbanistica e dimensione sociale sono sempre profondamente interrelate, ed è per questo che l’interesse per tali temi è sempre vivo: il Piano regolatore appena approvato è, sostiene Veltroni, anche un’opera sociale. Due sono le tematiche che secondo il Sindaco sono particolarmente rilevanti in relazione alla città: la prima riguarda l’immigrazione, rispetto alla quale la città si mostra nella sua vocazione inclusiva; la seconda riguarda la precarizzazione della vita e il complementare allungamento del tempo di vita, elementi che stanno avendo effetti sistemici enormi, anche sull’assetto urbano. All’intervento di Veltroni, e al suo affettuoso saluto verso Ferrarotti, segue la proiezione del video “Le borgate di Roma”, realizzato dal Master universitario in “Teoria e analisi qualitativa”, diretto dalla prof.ssa Maria I. Macioti.

    Anche Giandomenico Amendola è stato un allievo di Ferrarotti e lo dice in apertura del suo intervento: gli è debitore per i suoi studi sulla città, dei quali parla ai suoi studenti della Facoltà di Architettura. Ha, infatti, proposto, in architettura, quello che c’era nella sociologia urbana: un massimo di criticità e di pragmaticità; ha ritrovato inoltre la stretta connessione tra forma fisica, culturale e sociale. C’è inoltre l’eco dell’importante insegnamento perciò la metodologia va ricreata ogni volta in relazione all’oggetto di ricerca. A Ferrarotti deve anche l’esempio dell’intreccio tra conoscenza e narrazione: il sociologo è sempre stato un narratore in senso artistico, come nel passato lo era E. Zola. Franco Pittau, che non poteva essere presente per motivi di salute, ha chiesto a Delfina Licata di leggere il suo intervento. Pittau racconta di aver conosciuto Ferrarotti e la sua équipe negli anni Ottanta: occuparsi di immigrazione a Roma significava seguire le orme di Ferrarotti, che con Monsignor Di Liegro aveva trovato una proficua unione. In questa linea il volume “Stranieri a Roma” rimane una pietra miliare della bibliografia sull’immigrazione: si ritiene così un allievo indiretto di Ferrarotti, di cui sottolinea la semplicità e la genialità, l’impegno e la costanza. Una collaborazione continuata e proficua di Pittau è quella con la professoressa Macioti, che cita con stima e gratitudine.

    È quindi la volta di Alessandro Portelli che parla di Roma non solo come città storica ma anche in quanto composita socialmente: se la si pensa anche così è grazie a Franco Ferrarotti. Anche Portelli ricorda volentieri personaggi che tanto hanno dato a Roma, in particolare Maria Michetti e Aldo Natoli. Di una città che subiva mutamenti profondi, Portelli cita le diverse conflittualità politiche: ad esempio, il senso di disorientamento degli ex baraccati alla Magliana. È bene, quindi, da un punto di vista della riflessione sociale, cominciare ad accorgersi di quello che la borgata, la periferia, ha fatto per se stessa. La zona dell’Acquedotto Felice, come zona periferica, racchiude in sé, simbolicamente, un doppio inizio per la città di Roma: da una parte accoglie i ruderi archeologici dell’acquedotto e dall’altra ha visto la generazione dei migranti del dopoguerra arrivare a Roma. La periferia è per la città di Roma uno spazio assolutamente centrale: la Resistenza, all’inizio, si è annidata proprio nel tessuto sociale nelle periferie, così come il Sessantotto, o anche l’esperienza del Teatro Centocelle a Roma degli anni Settanta. Altri fenomeni che nascono e si sviluppano nelle periferie riguardano la costruzione d i centri sociali e l’attività delle brigate rosse. Da Ferrarotti si apprende la tecnica dell’ascolto, che per studiare tali temi sembra la più appropriata. Del resto la città è fatta anche dall’immaginazione di chi ci abita, e Franco Ferrarotti è un maestro della parola, mentre le immagini che evoca fanno parte dell’identità della città.

    Lo storico Vittorio Vidotto ricorda il filone di studi su Roma che dal 1956, in particolare da Caracciolo, giunge fino a Ferrarotti e al suo “Roma da capitale a periferia”: in questo campo, i sociologi, non c’è dubbio, sono arrivati prima degli storici. In Italia, l’incontro tra storia e sociologia è stato un incontro tormentato, e c’è voluto molto tempo perché si realizzasse. La storia, in questo senso, ha un grande debito nei confronti della sociologia, avendo spesso utilizzato categorie che provengono proprio da questa disciplina. Studi e ricerche sociologiche sono state utilizzate spesso come fonti storiche, e considerata l’importanza delle fonti per la storia, la sociologia ha in questo senso un ruolo di primo piano.

    Verso la fine della mattinata, viene proiettato nella sala della Protomoteca il video “Sguardi incrociati: Franco Ferrarott”i, realizzato dall’Archivio della memoria di Sergio Pelliccioni. Colleghi, ex collaboratori, allievi e amici di Ferrarotti ne raccontano gli interessi, le piste di ricerca, la biografia, le esperienze e il carattere, nonché il suo incontro con la poesia e con l’arte. Ne esce il ritratto di un uomo ricco di interessi, che sempre ha saputo aprire nuovi campi di dibattito nei temi sociali di più marcato interesse rispetto all’attualità. Tra gli intervistati nel video, spiccano le voci della poetessa Maria Luisa Spaziani e del pittore Alberto Sughi, a testimonianza dei rapporti sempre proficui che un’intellettuale come Ferrarotti ha avuto con il mondo artistico.È quindi la volta di Carlo Sini, che sottolinea, sempre nell’ottica degli interessi pluridisciplinari di Ferrarotti, come egli non abbia mai abbandonato il dialogo con la filosofia. In un momento così difficile per l’Italia e la cultura italiana, è bene secondo Sini stringersi intorno ai grandi maestri e confidare in un futuro migliore. Giancarlo Santalmassi, presentando il testo autobiografico di Ferrarotti “Nelle fumose stanze, la stagione politica di un cane sciolto”, racconta come il maestro gli abbia trasmesso amore per la cultura e curiosità. Citando interi stralci del testo, sottolinea come al suo interno ci sia un pezzo importantissimo di storia d’Italia. Ricorda inoltre la storia della travagliata esperienza di tesi di Ferrarotti, fino all’incontro con il filosofo Abbagnano che decide di firmarla. Quando Ferrarotti parla di genius loci, si chiede Santalmassi, cosa intende? Per lui, che si è sempre sentito un cittadino del mondo, qual è il loci? Ebbene, esso sembra essere la mente umana.

    Conclusioni

    Quando alla fine è il turno di Ferrarotti, il pubblico, certamente segnato da una mattinata intensa e faticosa, è allietato e divertito da quello che come sempre si annuncia una brillante performance da oratore professionista quale è il professore. Parla delle giornate, ringrazia ma decide di non nominare nessuno in particolare. Ammette che non avrebbe potuto far altro che il sociologo nella sua vita. Accenna al luogo dove è nato, luogo di montagna e di collina allo stesso tempo, dove un bambino “malaticcio” come lui è fortunatamente scampato alla vita contadina per dedicarsi agli studi. In seguito, approfittando delle note “distrazioni” dell’editore Giulio Einaudi, è riuscito a tradurre un testo di Reich. Poi, contravvenendo a ciò che si era riproposto, Ferrarotti nomina Sztompka, che ha accennato alle assonanze tra il sociologo italiano e Merton, e ha parlato di un suo lavoro non tradotto in italiano a proposito del mito del progresso inevitabile. Il progresso va costruito a poco a poco, e gli specialisti della comunicazione confondono il piede con la scarpa. In questo, non possiamo non dirci durkheimiani: la società non è una metafora linguistica, la società è anche un insieme di regole, leggi, vincoli e ganci che pesano sugli individui. Ricorda inoltre il suo incontro con Nicola Abbagnano, il quale subisce il fascino della sociologia: il filosofo è un esistenzialista positivo perché ha davanti a sé un uomo né completamente determinato casualmente né completamente libero, ma condizionato da quelle circostanze oggettive che sono studiate proprio dal sociologo. Gli uomini e le donne vivono ma allo stesso tempo sono vissuti. È così che nascono i “Quaderni di sociologia”, con cui Abbagnano spera di uscire dal “blocco” filosofico. Afferma che è giusto ricordare la protosociologia in Italia, come ha fatto Cipriani, ma tenendo sempre ben presente che vigeva qui il veto idealistico e del fascismo, mentre al di fuori dell’Italia era evidente il carattere frammentario e non problematico delle ricerche. Ferrarotti si riconosce come testimone dell’antico passaggio dell’Italia da mondo agricolo artigianale a mondo urbano industriale: da sociologo, ha sempre partecipato salvando allo stesso tempo la necessaria distanza critica. C’è una grande cesura tra l’intellettuale di tipo tradizionale e i nuovi intellettuali di tipo eterodosso, i sociologi, che, a differenza degli altri, vanno sul campo, sono pronti a “sporcarsi le mani”. Non pretendono di capire la situazione umana prima di esserci stati. Ferrarotti racconta poi di aver vissuto quattro carriere: quella di redattore editoriale, di produttore, di consulente industriale, di diplomatico, deputato nelle “fumose stanze” dove si giocano i nostri destini. Dichiara comunque di essere sempre stato “dentro”: quando studiava la vita delle baracche nella periferia romana, ha preso in affitto una baracca per capire come si viveva. Proprio come Socrate dai discorsi con le persone arriva a formulare i concetti filosofici, le scienze sociali fanno emergere i concetti dal vissuto.

    Parlare oggi di Ferrarotti, prendendo come pretesto il suo ottantesimo compleanno, sembra un modo per ribadire la necessità del dibattito e del confronto, anche a livello istituzionale, su questioni di spiccato interesse sociale. Un modo per riflettere sull’origine e sul destino del capitalismo, nella sua anomala versione italiana, sulla questione delle migrazioni che tanto oggi coinvolgono l’Italia, come paese di relativamente recente immigrazione, su cosa intendiamo oggi parlando di sacro e quali siano le nuove forme che esso assume. Riflettere anche sull’importanza del vissuto quotidiano come luogo di costruzione dei significati sociali, perché la sociologia sia sempre, innanzitutto, partecipazione.


    NOTE

    1] Francesca Colella ha scritto i paragrafi 1, 2 e 3, mentre Valentina Grassi ha scritto Introduzione, Conclusioni, e i paragrafi 4 e 5.
    2] F. Ferrarotti, Trattato di sociologia, UTET, Torino 1968.
    3] F. Ferrarotti, Il Capitalismo, Newton & Compton, Roma 2005, p. 58.


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