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    M@gm@ vol.4 n.2 Aprile-Giugno 2006

    PER UN TEORIA OPERATIVA DELLA TRASLAZIONE SOCIALE: il caso del progetto dell’Età Libera a Trieste, analisi di un’impasse


    Augusto Debernardi

    augusto.debernardi@tiscali.it
    Sociologo (laureato all'Università degli Studi di Trento); fino al 1971 collabora con l'ARIP di Parigi (Association pour l’ intervention psycosociologique), è assistente all’Istituto di Psicologia Sociale e di Psicologia del Lavoro dell’Università degli Studi di Torino, componente in qualità di sociologo al Segretariato per la Psichiatria della Provincia di Cuneo, consulente del Centro di Orientamento Scolastico e Professionale di Cuneo dove tra l’altro ha lavorato alla taratura degli strumenti testistici; consulente per la P.O.A. per l'Istituto Psico Medico Pedagogico di Latte di Ventimiglia; dal 1971 è stato componente dell’équipe del Prof. Franco Basaglia all’Ospedale Psichiatrico Provinciale di Trieste; diplomato all’INSERM di Pargi in epidemiologia Psichiatrica; coordinatore dell’équipe sociopsicologica dell’Alloggio Popolare Gaspare Gozzi di Trieste; componente dell’équipe O.M.S. per la psichiatria; collaboratore Unità Operativa dell’istituto di Psicologia del CNR per la prevenzione malattie mentali ed autore di parecchie pubblicazioni; editor del Centro Studi per la salute Mentale, Collaborating Center W.H.O.; fondatore dell’U.O. per l’epidemiolgia psichiatrica ed autore di numerose ricerche e valutazioni; specializzato in statistica sanitaria e programmazione sanitaria; esperto nel settore della cooperazione nel campo della salute mentale nella Repubblica di Argentina e del Cile; Coordinatore Sevizi Sociale presso l’ASS Isontina; direttore servizi minori Comune di Trieste; Collaboratore dell’Associazione Oltre le Frontiere per le questioni dell’immigrazione; collaboratore della CARITAS della diocesi di Gorizia per la questione del manicomio di Nis (Serbia); Direttore di Area Provincia di Trieste; Presidente dell’ITIS (Istituto Triestino per Interventi Sociali); componete dello staff del direttore generale ASS Triestina; Presidente Co.Ri. (Consorzio per la riabilitazione); animatore dell’associazionismo in temi culturali e dell’integrazione europea.

    Per condividere esperienze occorre riuscire a superare le staticità ed i pre-giudizi che ci si è portati avanti fin dai tempi dell’infanzia; occorre avere una mente in grado di accettare aperture e scambi, un mind set elaborato e disponibile che purtroppo cozza e friziona con le forme di partecipazione che di solito ci si rappresenta. Nella modernità le forme di partecipazione rivestono caratteri che sono strumentali. Inoltre esse sono radicate nel bisogno di condividere esperienze ma pretendono di stare al riparo da condivisioni di senso delle esperienze stesse e conseguentemente senza ricadute in termini di legami intersoggettivi e di coesione sociale.

    Il progetto redatto fin dal 1999 per la Provincia di Trieste aveva il titolo dell’Età Libera. Richiamava il testo di Cicerone [1] che affermava che alle persone anziane non venivano più richieste dalla società i lavori e le opere proprio per lo statuto derivante dalle molte primavere vissute, ponendole nell’età libera. Ma, così facendo, si apre la porta anche alla loro emarginazione. Il progetto prevedeva allora di attivare questo mondo sempre più maggioritario per costruire forme di invecchiamento pro-positivo ed al servizio di altri, specie di coloro che per varie ragione accedono alle strutture protette. Portare in quei posti animazione significa ridurre le forme di contenzione oltre che aprire le strutture stesse ed i vari mind set, anche dei familiari, alla partecipazione ed agli ascolti. Ma anche produrre tout court, cultura e senso. Insomma, l’obiettivo del progetto erano migliori condizioni di espressione per le persone in età libera che diventavano i suoi legittimatori. Non dovevano essere di certo i portatori di “sfiga” a dare il senso al tutto. Se questi fossero stati determinanti avrebbero costituito di nuovo la base dell’ideologia statalista dell’assistenza ed il suo presunto ammodernamento senza innovazione. Le persone in stato di bisogno non erano ovviamente escluse, anzi, con la loro presenza e partecipazione avrebbero potuto liberarsi da certe condizioni di necessità più o meno estrema e dalla solitudine provocata dall’anomia nei rapporti. Un progetto che, nella sua estrinsecazione operativa, avrebbe dovuto produrre socialità solidale, con l’associazionismo sociale, appunto. Gli strumenti della cultura, nel senso più ampio e più eclettico possibile, dovevano essere gli utensili operativi del “fare solidale” e del “fare emancipativo-liberatorio”.

    In fondo od inoltre, la prefigurazione di una maniera di “buon invecchiamento” era assolutamente in linea con le tendenze che si registrano nelle persone anziane: maggiore predisposizione al volontariato specie per coloro che sono in possesso di titoli di studi. Ma la tendenza sta ormai diventando di prassi anche per le persone con scolarità inferiore. Modalità operativa avrebbe dovuto essere uno stabile adibito a sedi di varie associazioni che aderivano al progetto e caratterizzato dalla presenza di sale polifunzionali per le varie attività ed azioni collettive. Sulle ali ovest ed est del territorio provinciale avrebbero dovuto sorgere delle sedi intermedie. Le dotazioni create ad hoc di natura informatica avrebbero dovuto consentire la diffusione in rete degli artefatti, riuscendo così a raggiungere anche i bar delle periferie che avessero aderito. In questo modo si sarebbe potuto portare anche nei posti considerati di secondo ordine - mentre invece sono luoghi di grande aggregazione potenziale e reale - come appunto i bar e le osterie delle periferie, la “cultura” prodotta dagli attori collettivi e cioè le associazioni. Non nascondo che nella mente “diabolica” del progettista, cioè la mia, la gestione dell’insieme avrebbe potuto essere affidata con successo al C.S.V. (centro servizi volontariato della regione Friuli Venezia Giulia) che proprio negli anni immediatamente successivi all’ideazione stava (finalmente) nascendo e che rappresentava e rappresenta “l’associazione delle associazioni”: un modello di sintesi dell’Associazionismo Sociale [2].

    Nell’attesa che tutto il discorso diventasse davvero discorso sociale ed iniziasse i primi passi concreti nel regno della fisicità dell’edilizia, il progetto dell’Età Libera incominciò mettendo in campo momenti di aggregazione virtuale attraverso la messa a punto di un portale telematico dedicato all’Associazionismo Sociale. Si idearono anche i primi centri di aggregazione per aree tematiche (enti, parrocchie, associazioni per la cultura, per lo sport, per la religione, per l’assistenza) che, se stimolati, avrebbero dovuto svolgere il ruolo di capofila delle azioni future attraverso le “dotazioni” informatiche prima e gli interventi poi. Dotazioni allora non chiuse su se stesse, non privatizzate o tesaurizzate o burocratizzate dal pubblico, ma aperte all’Altro, all’uso concreto. Il controllo era demandato all’Assessore competente nel momento della domanda di adesione nella quale si illustravano anche le finalità complessive e gli “oneri” sociali verso il target anziani. Il progetto informatico, decisamente innovativo [3], trovava il suo controllo in un apposito comitato a preminenza pubblica cioè di rappresentanti - assessori - della provincia. I centri di aggregazione, uno per settore tematico, erano cioè primi inter pares. Un corso di formazione per la gestione e la messa a punto dei siti web specifici per ogni associazione, raggruppati in un ampio portale dal nome accattivante come “triesteincontra”, era il primissimo passo per una conoscenza e per stipulare in maniera “botton up” un patto operazionale che si sarebbe avviato con un contratto scritto nel momento della concessione in uso di un p.c. con stampante e collegato alla rete (momento che a tutt’ora non è mai stato operativo, purtroppo, e per quello che se ne sa ancora oggi i p.c. che avrebbero dovuto essere distribuiti giacciono in qualche magazzino) [4].

    L’età libera avanzava, dunque, come un progetto esattamente diverso dalle forme di partecipazione che di solito ci si immagina chiuse perché pongono al riparo l’autorità e l’istituzione (cioè l’apriori istituito). Addirittura a partire dalle dotazioni aperte (il luogo e/o le sedi sarebbero venute dopo e certo non si era così sprovveduti dal pensarle prive di percorsi irti di salite e di buche più o meno profonde). L’obiettivo della prima fase, si capirà, era allora la creazione della rete, di un network attraverso lo strumento informatico.

    Il punto nodale era però la forma di partecipazione che era ancorata nel mind set istituzionale improntato alla distanza, al non coinvolgimento pratico, alla non contaminazione. Il baricentro di questo mind set non poteva che essere quello della partecipazione strumentale ma riservata ad agenzie forti e non certo agli outsider del sistema come possono essere le varie associazioni. Come spesso si dirà! Ma per certe strade che la politica sa ben percorrere, nonostante si espongano in bella evidenza dei segnali di “pericolo ignoranza”, si sente poi attribuire ad altri, coloro che si danno da fare con la traslazione, di fare politica e non tecnica. Di solito questi gruppi appartengono all’istituito forte, alle istituzioni forti come quelle della sanità. Accusando costoro di fare politica (di invadere cioè domini altrui e di essere strumentali e strumentalizzatori) non ci si rende conto del doppio traslativo della politica e della tecnica (ormai sinonimo di quasi verità assoluta, ahimè!) che quelle istituzioni e quei gruppi agiscono. Per loro la traslazione, anche senza saperlo bene, é qualche cosa di più della realizzazione di obiettivi aziendali nel campo della salute. E’ difesa ed espansione del proprio dominio e potere ma è anche risposta sociale. Però non è male rammentare che è sempre stato così in quel dominio della sanità e, come diceva Luison, vale la pena ricordare che “se un medico fa due tabelle è geniale; se un sociologo dà un’aspirina va sotto processo”! Tuttavia oggi con la riduzione della politica all’apparire, con l’affidarsi della politica ad altri poteri (giudiziario, contabile) perché non è più in grado di far fronte alla dinamica inclusione/esclusione o conflitto/negoziazione, [5] è evidente che qualsiasi istituzione dotata di un po’ di abilità riesce a fare qualche cosa, anzi di più. La politica ovvero lo stato non riesce assolutamente a governare il cambiamento epocale della storia che vede la fine dell’economia industriale fordista e l’assoluta incapacità di qualsiasi stato a controllare minimamente le transazioni finanziarie che, alla velocità della luce, spostano ogni 24 ore un montante pari a più del debito pubblico italiano. Una globalizzazione capitalistica di portata storica, nella quale chi fino a ieri si diceva “resistente” in realtà oggi è assai funzionale al trend. Ma rientriamo nell’analisi del progetto età libera, anche se il punto sul macro contesto non è irrilevante.

    Nell’ambito del lavoro sociale si spiega proprio con questi riferimenti di caratterizzazione riscontrata ed anche teorizzata (traslazione) perché le logiche indotte dalle scelte degli attori di governement pubblico schiacciano di norma le organizzazioni del volontariato e l’Associazionismo Sociale sui versanti della residualità o delle cosiddetta omologazione al mercato rispetto alle politiche sociali e culturali - che anche se non espresse esistono eccome - delle istituzioni pubbliche.

    Il progetto “età libera” orientava invece l’azione e le organizzazioni concordanti ed aderenti verso la ricerca di pratiche sociali (si chiamava addirittura “per una nuova pratica di comunità”). Tutto ciò significa strutturare norme, culture, significati condivisi e prodotti collettivamente, capaci di declinare localmente in maniera diffusa il principio della “sussidiarietà orizzontale” (previsto dalla legge quadro 328/200 tanto declamata, forse più a sx che a dx!). L’ottica è quella vera e propria della governance se si vuole o, meglio, del potere messo al servizio e che mette al servizio mezzi e risorse in conto capitale (in prima battuta) per additare target importanti o prioritari per il bene del bene comune.

    La diffusione del ‘progetto o del prodotto’ (sociale) avviene tuttavia con i processi di persuasione che iniziano od originano dal momento autoritativo. Ci vuole cioè un’autorità.

    Nel caso specifico di Trieste essa è stata agita dalla giunta uscente della Provincia che nel primissimo momento ha messo in moto la potenzialità riuscendo addirittura ad avere delle specifiche norme regionali che finanziavano il progetto. I finanziamenti sarebbero serviti per “ristrutturare” (non comperare) stabili già di proprietà dell’ente per adibirli alle azioni programmate e per ospitare le dotazioni che si pensavano necessarie ed utili. L’acquisto dello stabile avvenne ad opera della Provincia di Trieste con l’accensione di un apposito mutuo. Fu scelto uno stabile significativo, sulle rive, fronte mare. Decisamente interessante per il progetto e per le potenzialità che permetteva. Ma va detto che nella delibera di acquisizione le motivazioni orientavano la funzione anche per necessità scolastiche. Infatti c’era anche la disponibilità di un altro stabile, già di proprietà, completamente inutilizzato ed abbandonato (molti anni addietro aveva ospitato l’archivio di stato) ed anche questo collocato nel centro della città, vicino al canale detto di Ponte Rosso. Ma torniamo al nuovo acquisto edilizio. Lo stabile apparteneva alla Compagnia Portuale, schiacciata da debiti elevati. La cessione all’ente pubblico fu un’azione politica importante ma aprì la porta a conflittualità elevatissime. Infatti in quello stabile trova la sua “aitia” (fondamento) anche un teatro importante, il “Miela”, gestito dalla Cooperativa Buonaventura, che permette espressività, dietro normali compensi, anche alle avanguardie ed ai gruppi più diversi. Facile immaginare le tensioni allorquando la nuova amministrazione di centro destra s’insediò, forse galvanizzata dal successo elettorale a livello nazionale e regionale che era avvenuto non molto tempo prima, iniziò non solo a pensare ma a dire un allontanamento del teatro! Ma lasciamo stare la cronaca pseudo-politica. Basti ricordare che fin dal 2002 chi scrive coniò un celèuma, ossia quella cantilena della ciurma delle navi a remi, che recitava “… Miela si … Miela no … Miela si …. Miela no …” ad indicare l’indeterminatezza complessiva, l’empasse dell’azione politica e sociale.

    Il punto è che così facendo, anzi non facendo, la spinta propulsiva da parte dell’autorità è venuta meno andando a collocarsi fatalmente nell’alveo della contingenza attuale che è quella dello scontro e della contrapposizione bipolare “dx contra sx” che genera una continua campagna elettorale. Nel gioco che si determina le opposizioni sembrano godere di un simpatico vantaggio anche se, nel caso dell’età libera, non sembrerebbe assurdo ipotizzare una insana alleanza bipartisan caratterizzata dalla contrarietà [6].

    La Provincia, nei fatti, con i suoi amministratori ha impedito ogni diffusione. Ha dato il via a scelte nemmeno piccole e piuttosto costose (implementazione informatica delle dotazioni) ma molto importanti. Però esse avevano (ed hanno) necessità di una coerenza di senso. Probabilmente non se ne è colta la significatività e il senso scambiando il tutto per una semplice operazione commerciale (partecipazione strumentale, assai cara agli apparenti naif della dx) che - ma non è chiaro a chi scrive l’interpretazione più corretta - avrebbe potuto diventare concorrenziale con altre scelte non ancora proprio chiarite e poco dichiarate, oppure con altre agenzie che forse qualche pensierino sul cotè informatico del progetto l’avevano fatto. Ma così facendo, in ogni caso, non si agiva nemmeno il ruolo dell’interconnessore per un possibile allargamento di menti e risorse o di alleanze.

    La non comprensione (direi voluta) del senso ha impedito che si determinasse la reale diffusione. Si pensi, tanto per fare un esempio, che quando il dirigente incontrava le associazioni per i corsi di formazione agli strumenti informatici del software ideato, veniva accusato di invadere il dominio dell’assessore che però evitava di intervenire o di prendere l’iniziativa. Interessante comunque che c’erano già centoquaranta associazioni che partecipavano al portale ed ai corsi e che molte di esse attendevano le dotazioni hardware per mettersi a disposizione del target individuato. Ci si avvicinava a poter contare su un numero davvero elevato di sportelli usufruibili in orari concordati anche da persone anziane non necessariamente aderenti alla associazione specifica. Col solito e stupido giochetto “questa è politica e non tecnica!” l’operatività diventava impossibile, non aveva conseguenze concrete.
    Ma cosa si sarebbe dovuto fare? Attingere ed utilizzare la traslazione.

    La traslazione è l’aggregazione partecipativa e dice che un’idea, una innovazione è assunta perché viene passata da attore ad attore tramite “agenti di traslazione” che si implicano in quanto “prime mover” cioè portatori di un proprio interesse ad impegnarsi in operazioni innovative. Alla base di tutto ciò vi è la nozione di traslazione intesa come progetto e sforzo di costituire una relazione di scambio fra due e più attori individuali e/o collettivi. Il successo è in funzione della capacità di mobilitare e stabilizzare un network.

    Il processo di traslazione aggregativa non costituisce solo la “rete” ma anche l’identità di coloro che ne sono coinvolti. E’ indubbiamente un esercizio di potere che si basa su “interessi” e sulla capacità di suscitare interesse attraverso passaggi articolati in:
    1. Problematizzazione, cioè quando un attore assume la responsabilità ed il potere di riattivare o introdurre modificazioni nelle relazioni esistenti cercando di definire la natura dei problemi e degli altri allo scopo di proporsi o consolidarsi come punto di passaggio rispetto a questioni sociali, assistenziali, economiche, di cultura;
    2. Cointeressamento che prevede un potenziale regime di scambio che configura il vantaggio che ogni elemento otterrà in cambio della sua adesione al network;
    3. Partecipazione che implica qualche forma di negoziazione e procede sempre per passi successivi e richiede di sopportare vissuti di tradimento, di incomprensione, di trasformazione e di capacità/abilità a lasciarsi implicare;
    4. Mobilitazione, ossia il momento delle sinergie a supporto delle azioni messe in atto in modo “proattivo”. La mobilitazione deve essere politica e fisica. Politica vuol dire conferire un ruolo e identità riconoscibile ad un attore che può essere spostato nei luoghi in cui è necessaria la mediazione (ciò che in realtà si è impedito per dare spazio - si fa per dire - all’assessore). Quella fisica è data dall’avere un luogo od anche una dotazione capace di permettere il riconoscimento del processo e della pratica (di comunità).

    Esattamente ciò che la cosiddetta Provincia ha impedito di fatto. La miopia ha regnato sovrana. Eppure la Provincia, a modo suo, in una maniera che si presta a critiche istituzionali si dava da fare nel senso dell’assistenzialismo. Mi riferisco al progetto del “pane e la rosa” (pasti a domicilio per gli anziani nei periodi delle festività). Ma questa azione, a ben guardare, sembra dire che il dirimpettaio cioè il ‘Comune’ non sa fare abbastanza visto e considerato che a questo ente appartiene l’esclusiva competenza assistenziale. Si dice che “il pane e la rosa” sia complementare, un compimento, un qualche cosa in più. Ma gira e rigira vuol dire che chi ha il compito diretto non ce la fa. La cosa curiosa - ma non tanto - è quella che non si è deciso di dare più risorse all’attore principe per definizione, cioè il Comune, ma si è scelta una complementarietà con parte attiva ed iperattiva di un altro ente pubblico. Dopo un primo anno di stenti ora questo progetto assai pubblicizzato ha successo. Un successo garantito dallo spazio della “anomia” burocratica in cui si va ad operare, rispetto al “concorrente”, pardon il complemento. E’ notorio che la burocratizzazione dell’ente che fornisce assistenza è notevole e pesante. Un po’ per difesa da abusi di domanda e di faciloneria. Cosa che è più agevole evitare da chi gioca di rimessa. Una cosa curiosa è anche il silenzio del definito complementato: cane non mangia cane, si potrebbe dire. Si sentirà complementato! Insomma, un progetto innovativo, capace anche di andare a toccare i cosiddetti equilibri sociali, concretamente non riesce a decollare pur a fronte di finanziamenti importanti. Perché? Perché la traslazione necessaria non riesce ad essere agita.

    Come sempre, senza un’ideologia di ricambio, sembra che l’istituzione non sappia affatto muoversi perdendo anche un’occasione. Nel caso specifico riportato, cioè dei pasti a domicilio da parte provinciale con l’attivazione diretta della C.R.I., l’ideologia della domiciliarità si coniuga con l’assistenzialismo. Meno con la pratica di comunità, che mira a rendere partecipi ed attori i cittadini stessi. La traslazione resta appannaggio della azienda sanitaria territoriale con il suo attivismo di pratica comunitaria contaminando, o cercando di farlo, i distretti in cui trovare proprio degli attori come prime mover. In un’epoca in cui i diritti sono affievoliti e specie nel campo sanitario ed assistenziale sono diventati vieppiù interessi legittimi, sarà fondamentale discutere se le azioni di traslazione da parte di una agenzia statutariamente demandata a dare risposte in primissima se non unica istanza siano davvero una difesa dell’esistente ed appaiano allora appartenenti al filone del “resistere”. Oppure siano l’opposto, l’assecondamento del declino e della contrazione voluta e determinata dei servizi sanitari, e non solo quelli, in funzione dello sviluppo dell’attuale società non propriamente a misura di uomo.


    NOTE

    1] Cato maior de senectute. Nel "Cato maior", si finge che Catone il censore appunto, giunto in venerabile età, esalti alla presenza di Lelio e di Scipione Emiliano, attraverso numerosi esempi, la saggezza e i beni spirituali della vecchiaia: l’operosità non interrotta, l’integrità delle forze e dello spirito, i godimenti spirituali non certo inferiori a quelli dei sensi, la contemplazione serena della morte. In particolare, per quanto attiene all’età libera, dice “I vecchi sono deboli, non hanno forze: ma neppure si pretende che siano forti; ecco perché, per legge e per consuetudine, alla nostra età noi andiamo esenti - siamo liberi - da quegli obblighi che non si potrebbero sostenere senza vigoria fisica. Così non siamo costretti a fare non solo quello che non possiamo, ma anche quello che potremmo fare”.

    2] Associazionismo sociale: modalità di assunzione delle forme sociali a seconda degli ‘attori’ considerati;

    FORME SOCIALI COMUNITA’ MERCATO STATO ASSOCIAZIONISMO SOCIALE

    Principi che caratterizzano gli scambi

    Reciprocità Contrattazione Redistribuzione Solidarietà
    Rapporti fra i partecipanti

    Interdipendenza Indipendenza Dipendenza Interdipendenza strategica o Alleanza
    Logica di funzionamento

    Solidarietà spontanea Competizione diffusa Controllo gerarchico Consenso organizzato
    Mezzi di funzionamento Sentimenti Denaro Potere Mix dei tre con ispirazione movementista o da statu nascenti
    Finalità Soddisfazione identitaria Massimizzazione del profitto Minimizzazione dei rischi Costruzione del sociale (come luogo delle opportunità)
    Procedure Riconoscimento dell’altro come appartenente o condivisone dello stato di bisogno Monetizzazione della domanda e dell’offerta Burocratizzazione e regolamentazione Reti accorciate e face to face

    3] So per certo che i progettisti/realizzatori prospettavano l’introduzione della banda larga perché i dati potessero essere trasmessi con più attendibilità e molteplicità di informazioni.

    4] Va anche detto che con la messa a punto di un portale si dava inizio ad uno studio/intervento, sempre pilotato dalla Provincia con l’apposito comitato, per creare qualche cosa di nuovo con una dotazione informatica innovativa e potente per soddisfare tutte le esigenze della “comunità virtuale”. Infatti la partecipazione può anche avvenire attraverso la produzione di conoscenza fra discorso e pratica. Il web rappresenta ciò che si chiama “l’orizzonte sociale” ma anche lo strumento capace a creare forme di educazione e di formazione che possono potenziare la solidarietà. Il punto concettuale è quello della “comunità di pratica” in cui si può stimolare l’aumento di conoscenze ma anche di quel senso di identità solidaristica con apprendimenti collaborativi in vista di target definiti. Questi - nel ns. caso l’età libera - diventano cioè una sorta di “situatività” (stuated cognition) che non implica necessariamente una dimensione di co-presenza fisica all’interno di un contesto fisico ovvero in uno spazio istituzionale definito da mura e porte, perché le capacità di partecipazione sono supportate dalla possibilità di trascendere i vincoli contingenti permettendo di proiettare la propria esperienza (anche solo quella sensoriale e percettiva) verso livelli più ampi di organizzazione sociale. Se poi si condividono pratiche ed attività nella quotidianità (anche di tipo informativo, virtuale e di interessi) si attiva il primo - e forse il più importante motore o marchingegno - per la produzione di conoscenza e di “best practice”. La partecipazione caratterizzata da traiettorie di progressivo coinvolgimento e responsabilizzazione può anche sorgere nella comunità virtuale perché i temi sensibili come identità e relazioni possono essere incentivati a partire da una esplorazione discorsiva e riflessiva per aiutarsi a crescere, a vivere, a vivere meglio aumentando la qualità della vita. Obiettivo implicito ed esplicito di ogni forma di associazionismo sociale. Ma anche questi aspetti, assai legati alla messa a punto di hardware omogenei (come le dotazioni di p.c. etc.) e più ancora di software, sono stati fraintesi, diciamo così, dal mind set politico e lasciati in regime di asfissia.

    5] Le quote progressivamente ridotte del saggio di profitto, benché sempre di segno positivo, non permettono più di agire la partecipazione strumentale perché non si hanno più denari a disposizione per tacitare quella o quell’altra categoria. E in certi contesti molto up date alla parola welfare si risponde con un’altra parola con punto interrogativo “cosa?”. Per non dire del workfare.

    6] Fa piacer da una lato leggere ogni tanto la cronaca di qualche performance di rete fra associazione per informare gli ‘anziani’ delle opportunità che offrono gli enti collocatisi in rete con il patrocinio del comune. Ma il tanto suscita anche l’inevitabile commento “si sarebbe già potuto realizzare e con maggiore incisività”. Però ancora una volta si dimostra quanto sia difficile scostarsi dalla ideologia dell’assistenzialismo evitando di trasformare davvero il target in risorsa.


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