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    M@gm@ vol.3 n.2 Aprile-Giugno 2005

    LA FORMA DELL'ACQUA: RIFLESSIONI SU COME LE LEGGI 285/1997 E 328/2000 CAMBIANO, O DOVREBBERO CAMBIARE, LE POLITICHE SOCIALI IN ITALIA

    Francesco Di Mauro

    npgholden@yahoo.it
    Dal 1991 ad oggi ha lavorato e lavora come Assistente Sociale nel settore pubblico (Provincia regionale di Siracusa, I.P.A.B. 'Aletta' di Lentini, Comune di Carlentini) e privato come consulente in programmazione e progettazione sociale; ha curato lo studio e la partecipazione a diverse azioni progettuali in riferimento a normative regionali, nazionali e comunitarie (L309/90 Progetti di prevenzione delle tossico dipendenze e dell'emarginazione giovanile, L285/97 'Il Giovane Holden' Disposizioni per i diritti e le opportunità per l'infanzia e l'adolescenza, EQUAL 2000/2006 Programma di iniziativa comunitaria che mira alla promozione di nuovi strumenti atti a combattere le forme di discriminazione e di disuguaglianza, F.S.E. /P.O.R. SICILIA 2000/2006 Progetto che prevede la realizzazione di servizi di accompagnamento al lavoro, L.125/91 Azioni positive per la parità uomo donna nel mondo del lavoro, L.104/92 'Abile parziale = risorsa sociale' Piano d'intervento triennale misura per il superamento delle condizioni di emarginazione dei soggetti portatori di handicap grave, Progetto City Lab Catania riguardante la realizzazione di un laboratorio espressivo di danza contemporanea, teatro-danza, musica ed animazione turistica nell'ottica della prevenzione e del recupero di una fascia giovanile a rischio di esclusione sociale, L.64/01 di servizio civile nazionale per l'assistenza domiciliare a soggetti affetti da disabilità grave ed anziani non autosufficienti, Legge 328/00 'Altre Latitudini' per la promozione di un centro di aggregazione per soggetti diversamente, Equal 2 progetto 'Kairos'; membro di équipes sovra comunali, ambito territoriale del distretto Lentini-Carlentini-Francofonte, per la L.285/97 (gruppo tecnico di coordinamento), la L.328/00 (gruppo piano), per le adozioni internazionali ai sensi della L.egge n.476/98, tale equipe ha il compito di curare gli aspetti informativi, formativi, valutativi e di sostegno delle coppie aspiranti all'adozione.

    Per tornare al titolo, qual è la forma dell’acqua? E’ corretto parlare di forme alla presenza di una sostanza fluida come l’acqua? Qual è la pertinenza con le politiche sociali? Per le quali invece sembrerebbe più opportuno affiancare il concetto di magma indistinto che i redattori della rivista che ospita quest’intervento ben hanno espresso nel tempo. Naturalmente la forma dell’acqua è determinata dal contenitore che la ospita e nel caso delle politiche sociali, questo contenitore potrebbe essere realizzato dai principi fondanti dei due strumenti legislativi citati nel titolo: L.285/97 “Disposizioni per la promozione di diritti ed opportunità per l’infanzia e l’adolescenza” e la L.328/00 “Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato d’interventi e servizi sociali”.

    Chi si occupa di scienze sociali ben conosce la relazione che esiste tra le due leggi citate, le quali nonostante appartengano a due ambiti distinti (la prima è una legge di settore che si occupa d’interventi a favore dell’infanzia e dell’adolescenza, la seconda invece è una legge quadro che riforma l’intero settore dei servizi sociali), sono, in realtà, figlia l’una dell’altra e prendono vita nel medesimo contesto storico, culturale e politico sul quale sarebbe opportuno soffermarsi in qualche altra occasione.

    I punti di coerenza, di coincidenza tra le due leggi sono tantissimi, ma in questa sede si prenderà lo spunto su due aspetti che hanno suscitato inizialmente più entusiasmo tra gli operatori e che, quasi successivamente, sono stati nodi e snodi dell’operato socio assistenziale:
    1) gli operatori, i servizi, le istituzioni pubbliche e del privato sociale, sono spinti a formulare progetti ed interventi con la logica dell’inclusione, dell’integrazione (programmi per minori difficili e non, servizi per la cittadinanza, trasformazione dell’utente a cittadino/cliente);
    2) una concertazione non soltanto raccomandata, bensì imposta come vincolo per accedere ai finanziamenti. I servizi comunali, i servizi sanitari, la scuola, la parrocchia, il terzo settore, hanno vantaggi concreti a mettersi in rete (se siglano un programma comune, avranno del danaro da gestire insieme).

    I due aspetti che tanto piacciono agli operatori del sociale sono davvero innovativi, nel senso che non rientrano nella prassi ordinaria dei servizi; sono presenti nel discorso, nella cultura di settore, ma l’agire concreto è spesso molto distante. In fase applicativa è stato proprio su questi principi che si sono verificate resistenze, difficoltà, conflitti.

    Prima sfida: una politica per tutti i cittadini, e non solo quelli a rischio d’emarginazione sociale, richiede un’inversione del rapporto tradizionalmente protettivo nei confronti degli “utenti”.

    Purtroppo dobbiamo riconoscere che in generale nei servizi alla persona l’impronta assistenziale è ancora molto forte. C’è un modo di intendere il servizio che si rivolge al cittadino come destinatario e non come partner; un soggetto separato dal resto della comunità, portatore di una categoria di disturbi, impedimenti. In questa logica i professionisti del sociale si sentono spesso autorizzati a sostituirsi al posto dell’utente e a “pensare per lui”.

    In un certo senso, tengono sotto sequestro, sotto tutela il suo “progetto di vita“. Naturalmente il terzo settore corre gli stessi rischi al pari dei servizi pubblici: indurre passività e creare steccati, anziché attivare i soggetti interessati e promuovere scambi orizzontali tra le diverse opportunità del territorio.

    In questo contesto, i programmi della 285 e della 328 vanno contro corrente, se e quando vogliono mettere al centro il cittadino-cliente, dare credito alla sua competenza, soggettività, sovranità dentro i servizi educativi.

    E’ più facile sospettare l’incapacità dei ragazzi e dei genitori e valutare i propri bisogni; è più facile interpretarli, sostituendosi a loro posto ciò di cui hanno bisogno. Salvo poi accorgersi, quando il programma entra in fase applicativa, che i cittadini non interpellati disertano le attività che sono state preparate per loro o le utilizzano in modo distorto, improprio. Quando si registra una sfasatura del target, emerge un dilemma organizzativo che è tipico di tutti servizi alla persona: va cambiata l’offerta del servizio o bisogna cercare altri utenti, quelli adatti all’offerta progettata?

    La seconda sfida riguarda la concertazione. In teoria, l’idea di mettere insieme enti e servizi che operano sullo stesso territorio dovrebbe procedere dal buon senso; invece la 285 e la 328 hanno ritenuto di doverla imporre per legge proprio in quanto l’ordine spontaneo si fonda sulla logica opposta, sulla chiusura di ogni servizio nei confronti degli altri, sul diritto di sovranità di ciascuno nel proprio campo, su una rete a legami deboli e occasionali.

    Nonostante le continue verifiche sul campo degli sprechi che derivano ai servizi dal lavoro separato, la rete integrata è una soluzione da manuale che trova ancora pochissime applicazioni. Gli operatori sanno bene che dovrebbero coordinarsi e a tratti ci riescono, ma le istituzioni da cui dipendono sono soggetti sovrani nell’ambito di propria competenza, enti distinti e distanti gli uni dagli altri. In questo contesto, obbligare alla concertazione, se da un lato rappresenta una benefica forzatura, dall’altro è una contraddizione in termini.

    Nella fase applicativa delle due leggi si presenta un tipico dilemma organizzativo, vale a dire in quale misura sia possibile costringere dei soggetti a concertare un programma, quando la concertazione deve risultare dalla libera convergenza di volontà, scopi, strategie, comportamenti concreti.

    Che la concertazione obbligatoria non sia facile da praticare è emerso da diverse esperienze. L’incentivo offerto dai finanziamenti serve per far sedere attorno ad un tavolo le istituzioni e il privato sociale nella fase formale, quando bisogna siglare un accordo di programma, ma risulta essere uno stimolo insufficiente per sviluppare in seguito una solida convergenza organizzativa.

    Questi due principi, il protagonismo degli utenti e la concertazione dei soggetti promotori, sono gli stessi problemi che sono nati durante la realizzazione dei piani territoriali d’intervento della 285/97 e sono ritornati nei piani sociali di zona della 328/00. Concludo, dopo aver parlato quasi esclusivamente di difficoltà a gestire interventi e servizi, con un auspicio di un rovesciamento culturale benefico, che si potrà misurare nel lungo periodo. In molte realtà locali la 285, se non ancora le 328, ha già dato vita ad uffici, unità interistituzionali, figure di coordinamento ad hoc, e queste leggi rappresentano una grande occasione non solo per innovare le politiche sociali, ma anche per smuovere i vecchi apparati e promuovere nella gestione pubblica dei servizi un nuovo paradigma organizzativo. Ritornando al titolo la forma dell’acqua intesa come politica sociale dipende dagli strumenti legislativi a disposizione ma soprattutto dalla volontà, competenza e fantasia di ciascun attore sociale. Una veloce riflessione sul titolo della legge 285/97: “Disposizioni per la promozione di diritti ed opportunità per l’infanzia e l’adolescenza”. In un pianeta che spesso dimentica di valorizzare e riconoscere i diritti fondamentali, i diritti umani, i diritti civili, avere a disposizione una legge che si preoccupa essenzialmente della promozione di diritti ed opportunità a favore dei minori non è cosa da poco ed è dunque da valorizzare per la sua accezione moderna e democratica.


    Collana Quaderni M@GM@


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    M@gm@ ISSN 1721-9809
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