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  • Letterature e forme di socializzazione
    Panagiotis Christias (sous la direction de)

    M@gm@ vol.3 n.1 Gennaio-Marzo 2005

    LA SCIENZA, LA LETTERATURA, IL RITUALE: LE VRAI DIRE ET LE PLUS QUE MENTIR


    (Traduzione Orazio Maria Valastro)

    Panagiotis Christias

    panagiotischr@yahoo.fr
    Ricercatore presso il CEAQ (Centro di Studi sull'Attuale e il Quotidiano, Paris V), Università René Descartes, Paris5-Sorbonne; Insegna all'Istituto sul Lavoro Sociale e la Ricerca Sociale (ITSRS), Francia.

    A Jacques Derrida.
    "De quelle nature est ce langage, puisque déjà il n'appartient plus, plus simplement, ni à la question ni à la réponse dont nous venons, et dont nous sommes encore en train, de vérifier les limites? En quoi consiste cette vérification qui ne va jamais sans quelque sacrifice? Appellera-t-on cela un témoignage, en un sens que n'épuiseraient ni le martyre, ni l'attestation, ni le testament? Et à condition que, comme tout témoignage, cela ne soit jamais réductible, précisément à la vérification, à la preuve ou à la démonstration, en un mot au savoir?" (Derrida, 1993, pp.54-55)

    Lo scienziato promette la verità senza essere in grado di adempiere la sua promessa mentre lo scrittore promette di mentire, ma con il suo inganno va oltre la finzione. Indubbiamente non racconta la verità, poiché la verità non è la sua preoccupazione principale. Ecco come possiamo riassumere le due attitudini, condannate ad uno sterile antagonismo dalla moderna tendenza positivista. Considerando quindi il progetto su cui si fonda la scienza, la sua promessa originaria e fondatrice, la scienza deve sostenere la verità e nient'altro che la verità. Questo è impossibile secondo la stessa ammissione della scienza. La storia della scienza è una storia d'errori scientifici, di teorie che non sono più in vigore, abbandonate o sostituite da altre. La letteratura, al contrario, promette di mentire, di sospendere o di mettere tra parentesi la realtà con lo scopo di creare un mondo che non esiste, un mondo immaginario, spettrale, irreale. Non può tuttavia, per la disposizione delle cose di questo mondo, puramente e semplicemente mentire. Per mentire deve innanzi tutto affermare la verità. Il mondo immaginario che rappresenta si duplica: accanto al mondo immaginario è presente lo spettro del nostro mondo, la sua struttura, le forme della vita quotidiana. La letteratura parla d'amore, d'odio, di desiderio e repulsione. Può presentare dei personaggi immaginari ma le relazioni tra questi personaggi non possono essere che reali, anche a rischio d'essere incomprese dal lettore.

    Nella stessa attitudine della scienza vi è qualcosa di nobile, una promessa ed una speranza, la fede nella scienza o "la nostra fede nel futuro della ragione" di cui parlava Durkheim alla fine della prefazione della prima edizione delle Regole del metodo sociologico. Questa fede si situa in ciò che la scienza positivista chiama il metodo, la procedura, la somministrazione della prova. Il metodo è il rituale stesso della scienza, sacro-santa successione di proposizioni in un linguaggio strutturato secondo le regole del metodo e del procedimento. La fede, il rituale, il metodo, la procedura: ecco l'essenza della scienza, non il suo rapporto al mondo ed alle cose del mondo. Questo rapporto è secondario, è un'offerta, il sacrificio all'altare della verità. Altre forme di discorso, tra le quali il discorso letterario, consentono un rapporto al mondo. Il mondo esterno nel processo scientifico, i fenomeni, sono il materiale che verificherà la procedura. Non è lo studio del mondo fenomenico che prevale ma la procedura d'auto-verificazione della procedura. Una procedura della procedura, il rituale stesso del sacrificio della cosa all'altare della verità, è il risultato cinico di una messa in scena cinica dell'intenzione e della pretesa dell'istituzionalizzazione del 'vrai dire'.

    Cosa differenzia il discorso scientifico dagli altri discorsi se non la forma, l'esteriorità, che traduce il rituale instaurato dalla suo stesso intento, dalla sua pretesa, dalla sua promessa originaria. Esteriorità della forma e del discorso ma altresì esteriorità e forma del mondo scientifico, rituale del passaggio del potere o del carisma. Non parlava di questo Pierre Bourdieu nella sua lezione inaugurale al Collegio di Francia nel 1982?

    "[...] Rite d'agrégation et d'investiture, la leçon inaugurale, inceptio, réalise symboliquement l'acte de délégation au terme duquel le nouveau maître est autorisé à parler avec autorité et qui institue sa parole en discours légitime, prononcé par qui de droit. L'efficacité proprement magique du rituel repose sur l'échange silencieux et invisible entre le nouvel entrant, qui offre publiquement sa parole, et les savants réunis qui attestent par leur présence en corps que cette parole, d'être ainsi reçue par les maîtres les plus éminents, devient universellement recevable, c'est-à-dire, au sens fort, magistrale." (p.5)

    Pierre Bourdieu ci presenta chiaramente l'aspetto rituale del discorso scientifico e la messa in scena istituzionale dell'intenzione originale della scienza, la sua promessa di asserire la verità e nient'altro che la verità: prospettandoci tuttavia qualcosa di più. Parafrasando Pascal possiamo dire: poiché lo scienziato non può dichiarare la verità, fa in modo che ciò che afferma sia la verità incontestabile per tutti, magistralmente e universalmente enunciata. Ci consegna, come prova, il suo intento ritualizzato nella procedura della procedura e la messa in scena teatrale dell'enunciato della verità scientifica o dell'adempimento della promessa.

    Nonostante la letteratura abbia i suoi costi e le sue ricompense, i suoi riti e le sue commemorazioni, non è il rito che conferma il suo discorso. Che cosa ratifica il suo discorso? Bruno Péquignot propone di rispondere quanto segue: il pubblico o "la questione di una certa corrispondenza tra l'arte, l'artista ed il suo pubblico" (Péquignot, 1993, p.145). Ma di quale pubblico si tratta? Quello effettivo, che si soddisfa di un certo discorso perché questo discorso non fa che riprodurre ciò in cui questo stesso pubblico si sente "protetto"? O piuttosto quello potenziale del teatro rivoluzionario, per riprendere l'esempio di Bruno Péquignot, il quale non cerca di piacere ma di trasformare il mondo? Questo significa che il poeta sarà giudicato dall'apprezzamento del suo pubblico reale o potenziale? A partire da quanti lettori o quante edizioni noi siamo in diritto di considerare che un'opera trovi il suo pubblico? Oppure bisogna attendere che un'opera sia istituzionalizzata e proceda seguendo le norme dell'istituzione e della scienza positivista, che sia inserita nel programma di lettere per dichiararla tale? Ciò significa molto semplicemente che non si può propriamente pretendere di conoscere le frontiere del discorso letterario. Tutto questo o nulla di tutto questo può sussistere della letteratura e ciononostante noi conosciamo perlomeno qualche testo che lo sia.

    Vi è tuttavia qualcosa di più profondo nella risposta di Bruno Péquignot. Questo qualcosa è il potere effettivo di creare un pubblico, inerente ad ogni opera d'arte o di letteratura. Thomas Mann parla giustamente di questo legame "imponderabile" (Unwägbares), l'affinità.

    "Pour qu'un produit majeur de l'esprit soit capable d'avoir aussitôt un effet (Wirkung) vaste et profond, il faut qu'une affinité [Verwandtschaft] [1] secrète, qu'un accord même existe entre le destin [Schicksal] personnel de son auteur et celui, général, de ses contemporains [mitlebenden]. Les hommes ne savent pas pourquoi ils célèbrent une œuvre d'art. A mille lieux d'être des connaisseurs, ils croient y découvrir cent qualités qui justifient d'autant leur intérêt; mais la véritable cause de leur approbation est un impondérable, c'est la sympathie [Sympathie]." (Mann, 2002, p.47)

    Non dimentichiamo che un altro autore di quest'epoca parlava pure di einfühlende Phantasie (Weber, 1998, p.544), d' "immaginazione empatica" come un mezzo per rendere intelligibile un comportamento empiricamente verificato. Vi è dunque un rapporto diretto tra un autore e il destino della comunità storica alla quale egli si rivolge. E' questo rapporto trascendente e diretto, quest'immediatezza, che si traduce in un effetto (Wirkung) sulla realtà. Questo "effetto vasto e profondo" al di là di qualsiasi aspettativa, è giustamente la messa in opera sociale del 'plus que mentir' che la letteratura non promette ma realizza, la sua verità effectuale, per riprendere le parole di Florentin. Cosa costituisce la letteratura in quanto letteratura nella sua stessa intenzione d'essere letteratura? Non è forse la sua ostinazione a non dichiarare la verità, la sua devozione alla menzogna, il sacrificio originale della verità all'altare della vita e del commercio con le cose del mondo, che gli permette giustamente di non mentire più? E' grazie al fatto che la letteratura non impiega dei rituali precisati, vale a dire dei processi d'auto tematizzazione e d'auto regolarizzazione del discorso letterario attraverso se stesso, con lo scopo di divenire un corpo formale che sia anche un corpo comunicativo.

    La letteratura si autorizza a ricostruire dei mondi al di là del vero e del falso. Si tratta di un mondo, così come diceva Nietzsche, dove niente è vero e dove tutto è permesso. Essa non fa che collegare a suo piacere gli elementi empiricamente constatabili, quindi reali, in modo che la sintesi finale sia qualcosa di più di un assemblaggio, dunque irreale o indipendente della realtà. Un uomo esiste, un cavallo esiste ma l'uomo-cavallo non esiste. E' una chimera, una menzogna tanto evidente quanto incredibile. Questa chimera, che è la produzione letteraria, accompagna pur tuttavia l'uomo dal principio della sua costituzione in comunità storica. Influenza la sua coscienza, forgia il suo carattere, fa presa sulle sue istituzioni. Tutto questo senza pretendere di dichiarare la verità, senza alcuna intenzione di 'vrai dire'. Al contrario, è la menzogna che la protegge e la nutre, che la conduce e la guida. Un racconto letterario non richiede la consacrazione della verità, non richiede di essere seguito poiché vero, non s'impone e non prevede nulla. Il suo vero destino è l'erranza e la vera coscienza è quella della disseminazione.

    Colui che rinuncia alla pretesa della verità rinuncia nello stesso tempo alla volontà di dominazione. Dominare significa creare uno spazio di verità, nel quale colui che enuncia la verità è il signore legittimo di coloro che sono all'interno del campo della concezione del mondo di cui questa verità è la pietra miliare. Ma un discorso che non pretende di dichiarare la verità, quale pretesa di dominazione può avere? Non ha alcun successo di dominare su di un mondo che cerca la fede, la certezza e dove regnano la superstizione e la credulità. Come diceva Castoriadis, Aristotele si è sbagliato: l'uomo non è un animale che cerca la verità ma un animale che cerca la certezza e che la cerca ad ogni prezzo. La parola verità è garante della certezza, della fine dell'inquietudine, dell'erranza e del viaggio. La letteratura non assume il ruolo della verità e ne paga il prezzo: la violenza che genera non può essere concentrata su di un'effettiva conquista del potere. Essa è disseminata, opera come un virus tra i discorsi che pretendono alla verità rendendoli inoperanti. Non è un caso se nel discorso letterario possiamo trovare tutti gli altri discorsi: politico, religioso, psicologico e anche scientifico o sociologico ma sprovvisti della pretesa iniziale della verità e del potere. Non è un caso se la più importante accusa contro un testo scientifico non è quella di essere errato bensì di essere letterario. La letteratura è proteiforme, imprendibile. Essa rassomiglia a delle cellule indifferenziate che possono prendere in seguito qualunque forma, divenire neuroni, pelle, cellule del fegato, del cuore o del sangue. E' ugualmente la ragione per la quale essa resiste ad ogni discorso meta-linguistico, a tutti i meta-linguaggi che cercano di ridurla a questo o ad un altro ideal-tipo discorsivo. E' un errore metodologico situarla allo stesso livello dei discorsi specializzati, di paragonarla alla sociologia, alla psicologia o alla filosofia. Essa è una massa amorfa di proposizioni, il cui concatenamento delle une alle altre obbedisce a delle regole linguistiche minimali quando, sotto certe forme, essa diventa semplicemente ungrammatical. Per superare questo stadio del discorso, le scienze e notoriamente le scienze sociali hanno moltiplicato i riti di demarcazione. La specializzazione non è altro che la ritualizzazione, rispetto all'ordine del discorso e all'ordine istituzionale. Se la scienza sociale tiene molto a ritualizzarsi, vale a dire a moltiplicare le procedure riflessive e auto referenziali, in modo tale che il nuovo sarebbe accettato unicamente a titolo di manovra di verificazione del dispositivo interno, è soprattutto per differenziarsi della letteratura attuale definendo le sue frontiere.

    Con questa rubrica tematica ci proponiamo di mettere in relazione i riti della scienza sociale e la massa amorfa proposizionale, in rapporto diretto con la realtà sociale. Ciò per due ragioni principali: comprendere i legami tra il discorso letterario indifferenziato nei suoi rapporti con il discorso specializzato delle scienze sociali e comprendere i meccanismi all'origine della specializzazione delle scienze sociali. Se la promessa di verità è all'origine della ritualizzazione e dei processi d'auto tematizzazione delle scienze sociali, questa promessa non è indipendente da quello che abbiamo definito verità effectuale del discorso letterario, vale a dire del 'plus que mentir' che la letteratura non promette ma realizza. Poiché è in questo 'plus que mentir' che ha origine il 'vrai dire', o altrimenti detto, questo 'plus que mentir' è la promessa del compimento del 'vrai dire'.


    NOTE

    1] Goethe è stato il primo a parlare di affinità di sentimenti come di un genere di comunicazione segreta tra gli essere. Cf., Die Walverwandtschaften (1809).


    BIBLIOGRAFIA

    Derrida J., Passions, Galilée, Paris, 1993.
    Mann T., La Mort à Venise, Le livre de poche, Paris, 2002.
    Péquignot M., Pour une sociologie esthétique, L'Harmattan, Paris, 1993.
    Weber M., Gesammelte Aufsätze zur Wissenschaftslehre, J.C.B. Mohr, Tübingen, 1988.


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    M@gm@ ISSN 1721-9809
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