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    M@gm@ vol.2 n.4 Octobre-Décembre 2004

    LE IDENTITÀ DEBOLI E LA PERDITA DEL PADRE NELLA SOCIETÀ OCCIDENTALE


    Carlo Baratta

    baratta52@virgilio.it
    Vice Segretario regionale ANS Piemonte (Associazione Nazionale Sociologi); Laureato in Scienze Politiche; si è occupato per anni di consulenza orientativa e di progetti per giovani drop-out; Responsabile di analisi dei fabbisogni formativi e lavorativi, presso un centro di Orientamento; ha partecipato a progetti europei sui servizi di orientamento, programma Leonardo; ha fatto parte della commissione orientamento della Regione Piemonte; ha curato la produzione di un manuale di orientamento e i testi di alcuni audiovisivi per le scuole medie inferiori e realizzato nel 1990, con altri esperti e per conto della Regione Piemonte, una guida all'orientamento per gli studenti delle medie inferiori.

    "A hand, a foot, a leg, a head, Stood for the whole to be imagined"
    (W. Shakespeare, in The rupe of Lucrece)

    Premessa

    Da pezzi di singole evidenze si può costruire un oggetto; se, chi compie questa operazione ha criteri estetici o idee forti che permettono di dare un valore a questa operazione, in caso contrario i pezzi restano isolati non componibili. Ecco, le identità deboli sono pezzi che non generano senso. Per la sociologia l'identità sociale è la consapevolezza che una persona ha di appartenere ad alcuni gruppi sociali, consapevolezza legata ai significati emotivi e valoriali derivanti dall'appartenenza a quei gruppi. Questo contributo si propone di esaminare le identità postmoderne che sono dipendenti da stili di vita temporanei, non componibili tra loro.

    1 Come nascono le identità deboli

    Il fatto che le società postmoderne occidentali si basino su una forte spinta verso l'omologazione, non è un processo evolutivo "ovvio" e "naturale" della modernità. Può anche essere considerata il segno di un disagio della civiltà occidentale, che, nel corso della storia degli ultimi secoli, ha espresso una violenta carica distruttiva. Il principio organizzativo originato dalla rivoluzione francese, che ha prodotto gli stati nazionali e molti regimi autoritari, si fonda sull'assimilazione, o sull'espulsione delle minoranze etnico-religiose, su un sistema educativo, per la riproduzione sociale, fondato su curricula identici per tutti gli individui e sulla specializzazione scientifica.

    La fede nella razionalità ha permeato anche la sociologia, non tutta fortunatamente; per Pareto le azioni non logiche sono la totalità delle azioni umane, ma le sue idee sono state, almeno in Italia, osteggiate. "Occorre osservare che l'uomo ha una tendenza spiccata a figurarsi come logiche le azioni non logiche. Tale tendenza è dello stesso genere di quella per cui l'uomo anima e personifica, oggetti e fenomeni materiali. La tendenza a figurarsi come logiche le azioni non logiche diventa la tendenza, egualmente errata, a considerare le relazioni tra i fenomeni come aventi la sola forma di relazione di causa ed effetto, mentre ben più spesso tra i fenomeni sociali le relazioni esistenti sono quelle di mutua dipendenza" (Busino, 1975, p.282).

    La sociologia di Weber, pensa la società come insieme di parti caratterizzate dalla prevedibilità dei comportamenti o degli eventi. Per Weber l'uomo civilizzato occidentale vive in una società razionale, con regole di funzionamento note, dove è possibile fare conti per definire le proprie azioni. La società postmoderna ha smentito la profezia weberiana, anzi si configura come società dell'insicurezza e del rischio, che sono le uniche caratteristiche omologanti. La natura contraddittoria della modernità, per cui le "opportunità" che si creano e la fiducia nel progresso convivono con il rischio e il pericolo, è la base sulla quale si è sviluppata la condizione di incertezza diffusa.

    La società moderna, occidentale, voleva produrre un homo oeconomicus e un attore sociale postulava la riduzione delle persone a modelli astratti, a comportamenti razionali; invece, oggi c'è un nuovo individuo che non è più definibile da un'appartenenza forte, univoca, né collocabile in questo o in quel gruppo sociale. L'omologazione postulata ha avuto come risposta la frammentazione dei bisogni, la personalizzazione dei consumi. I consumi, anzi, diventano il riferimento simbolico principale. Per l'uomo postmoderno occidentale, il consumo dà valore alla vita ed è una forma di religione che dà origine a gruppi e stili di vita, a nuove tribù caratterizzate dal nomadismo e dalla precarietà; i valori che unificano i comportamenti sono molto fragili (Cavalli, 2004).

    La vita quotidiana appare caratterizzarsi principalmente per la discontinuità e il dinamismo. Questo comportamento ha prodotto le identità deboli che, in qualche modo, sono spiegabili dalla sociologia di Scheler. Per questo autore i fattori reali di una società regolano le condizioni per la nascita e lo sviluppo di certi sistemi simbolici, ma non possono definirne i contenuti; infatti, l'uomo postmoderno agisce in base al possesso di risorse cognitive limitate che sono influenzabili dalle manifestazioni e dalle espressioni comunicative del contesto in cui si svolge l'azione. La sociologia di Pareto individua nel concetto di "residuo" l'elemento irrazionale che guida le azioni che il soggetto ritiene razionali (Gallino, 1990).

    La stessa vita organizzativa è fatta sempre più di legami deboli. Debole è il legame con la nostra esperienza passata; debole è il legame con i colleghi che abbiamo oggi e potrebbero presto essere differenti; debole è il legame con un ruolo, con un processo produttivo, con un obiettivo; debole è il legame con il futuro. In un sistema organizzativo come quello in cui viviamo si generano pluralità di azioni, perché la standardizzazione è sempre più difficile da realizzarsi, con la conseguenza che le persone si ritrovano immerse in processi che si colmano di urgenze, di obiettivi, di attese nuove, di questioni e decisioni inedite.

    Diversamente da quanto accadeva nelle società premoderne, in cui il nome o il titolo possedevano una rilevanza sociale, oggi indicano in modo vario la collocazione di ciascun individuo all'interno del contesto sociale di appartenenza. Questa pratica porta a negare che il processo di socializzazione, implica proibizioni, frustrazioni e porta a dimenticare che la vita sociale dipende dalla continua sottomissione della resistenza di origine biologica nell'individuo. Claudio Risè (2002, 2004) pone all'origine di questa tendenza la crisi della figura paterna nella società assistenzialistica del Novecento, causata dalla centralità della soddisfazione dei bisogni e dalla sua evoluzione verso la società dell'eccesso. La società è diventata una Grande Madre che, soddisfacendo tutti i nostri bisogni, ci riduce a bambini.

    Nel suo libro Il padre l'assente inaccettabile (Risè, 2004) scrive, citando Carl Gustav Jung, che "all'abolizione dell'immagine di Dio segue istantaneamente l'annullamento della personalità umana". L'identità debole è il risultato di questa società assistenziale, che si basa sul pensiero debole privo di valori metafisici. L'eliminazione dell'aspetto contemplativo è la ovvia conseguenza del predominio della ragione nella vita sociale. L'eliminazione della figura del padre, dalla coscienza collettiva, ha trasformato il rimprovero e la correzione in poteri Statali esercitati in modo burocratico e anonimo. L'individuo postmoderno appare sempre più come un elemento che si plasma su diverse collettività e organizzazioni.

    La crisi della modernità ha condotto alla costruzione di un'identità frammentata, in base alla quale ciascun soggetto, nelle interazioni, è caratterizzato dal possesso di più personaggi o maschere. La difficoltà di classificare queste appartenenze è la conseguenza del fatto che i valori e le aspettative di queste molteplici collettività, alle quali appartiene uno stesso individuo, possono essere divergenti o addirittura conflittuali. Questa maggiore conflittualità è sempre meno eliminabile dalla stessa vita quotidiana di ogni individuo che, quindi, diventa esperienza non reale. Se questa dimensione onirica occupa la maggior parte del tempo di un soggetto certamente la sua dimensione civile presenterà delle situazioni di asocialità che possono anche trasformarsi in vere forme di schizofrenia.

    Le biografie postmoderne hanno come elemento comune la categoria della paura che nella società contemporanea non deriva più da fatti della natura, ma da eventi che hanno origine interne, insicurezza, fuga dalla realtà, che portano anche a fughe nella magia. La paura si supera invocando la fortuna, altro fondamento delle biografie. Questi due elementi, oggi correlati, portano a compiere azioni per le quali si è inconsapevoli del pericolo, inteso come evento meno fortunato, e si è perciò inconsapevoli del rischio che si può incontrare. Qualsiasi evento è vissuto in termini di non riproducibilità, in quanto il soggetto agente è coinvolto in modo parziale, debole, non è tutta la persona che agisce ma solo quel pezzo che in quel momento fa quella parte.

    2 L'identità e la costruzione della realtà

    La sociologia contemporanea riconosce come l'identità di un soggetto si forma soprattutto per la tipologia di relazioni che il soggetto determina con altri o con organizzazioni e istituzioni, la biografia è descritta da queste relazioni. In una società fondata sulla comunicazione, sulle variabili simboliche immateriali, come quella attuale, il sistema di relazioni a disposizione del soggetto è determinante per la costruzione dell'identità. L'identità moderna ha come ambiente esterno di riferimento la vita quotidiana (Berger e Luckmann, 1999), che nella società moderna corrisponde solo a quella pratica, ed è ridotta al cyber spazio; la vita contemplativa, infatti, non ha più dignità ed è stata sostituita dalla virtualità.

    La vita quotidiana è rappresentata da Berger come un insieme di conversazioni che mantengono, modificano, e ricostruiscono la realtà soggettiva. Se certi elementi della conversazione sono eliminati, aspetti della realtà soggettiva vengono eliminati dalla coscienza del soggetto. La capacità di generare maggiori o minori conversazioni stabilisce il diverso livello quantitativo e qualitativo di generare realtà soggettive e quindi di rappresentare e di vivere in ambienti diversi. In una società complessa e globale come quella contemporanea Individuo e Società interagiscono. Il risultato di queste interazioni è la formazione di relazioni.

    Queste relazioni sono tali che entrambi - individuo e contesto -, alternativamente, sono risorse o vincoli per costruire azioni o rappresentazioni simboliche della società. "I fattori biologici limitano la portata delle possibilità sociali dell'individuo, ma il mondo sociale, che, rispetto al singolo, è preesistente, a sua volta impone dei limiti a ciò che è biologicamente possibile all'organismo" (Berger e Luckmann, 1999, p.244). Il contenuto di queste relazioni determina le condizioni soggettive dell'individuo che attua le relazioni. Queste condizioni hanno diverse forme e possono essere le rappresentazioni sociali che il soggetto utilizza per compiere azioni o progetti, possono essere risorse economiche che il soggetto è in grado di disporre o di procurarsi, possono essere le condizioni politiche - normative che definiscono la sua cittadinanza e il suo potere.

    Il sistema di relazioni che un soggetto determina costituisce la base della formazione e sviluppo dell'identità, questa, nella società postmoderna, non avviene in base ad identificazioni in ruoli permanenti e forti, che si ripetono quindi, nel tempo e nello spazio, ma attraverso la partecipazione, a volte anche passiva, a eventi e a situazioni singole, perciò mutevoli e anche irripetibili, si pensi ad es. al nickname e alle chat. Nella società postindustriale queste relazioni hanno come oggetti soprattutto oggetti virtuali, la realtà soggettiva è preservata nella biografia dal linguaggio dei simboli e non da un esperienza diretta, anzi la stessa esperienza di questo tipo di realtà è assolutamente personale. Una vita quotidiana di questo tipo necessita di una continuità dell'apparato simbolico, in caso contrario, le realtà virtuali non saranno più oggettivate nella coscienza.

    I rapporti complessi, poco prevedibili, tra soggetto e collettività sono alla base della formazione dell'identità debole e del suo cambiamento. In una società frammentata e fluida come quella contemporanea, queste interazioni con i diversi mondi generano conflitti complessi e virtuali. Di conseguenza, l'elemento portante per definire la propria identità, nella società postindustriale è individuabile nel cambiamento permanente e nell'incertezza. Il fatto sociologicamente importante è il seguente: le condizioni sociali del soggetto che definiscono il numero dei rapporti con i diversi contesti e i vocabolari concettuali e simbolici che esso utilizza per creare e sviluppare questi rapporti, sono individuali. L'identità, in questo caso, si può mantenere solo in contesti e strutture di plausibilità che la confermano e non in altri.

    3 Il contesto incerto

    Nella società postmoderna lo spazio ha una semantica diversa da quella sinora intesa. Lo spazio postmoderno è anche virtuale, non è più soltanto una cosa prossima, vicina a chi organizza delle relazioni, ma diventa evento o esperienza anche non prossima all'attore; in relazione con un ambiente. Infatti lo stile di vita di un individuo postmoderno occidentale è sempre più staccato dai luoghi concreti. Ogni individuo si costruisce una personale mappa di spostamenti e di relazioni, vive in diverse comunità, organizzazioni, può attivare o frequentare newsgroup ecc. La diffusione dei telefonini o di Internet o della tv satellitare sono chiari esempi di personalizzazione di relazioni.

    Le trame che elabora il soggetto, comunicando con le reti dei mondi che si è dato, appartengono alla categoria della socializzazione secondaria, questo vuol dire che è per lui o per altri possibile demolire e distruggere le precedenti trame senza danni per lui, infatti questo tipo di realtà è soggettiva, non riguarda i valori fondanti di un sistema sociale. L'eventuale fuga schizofrenica è imputabile a pessime o inesistenti forme di socializzazione primaria. L'interazione tra individuo e contesto, o tra individui diversi, si basa sul fatto che le relazioni servono per determinare delle convergenze o degli obiettivi comuni. Però, nella società postmoderna, che ha come base il pensiero debole e la relatività come criterio di giudizio, succede che tutto ciò che è socialmente condiviso, il cosiddetto senso comune, è ridotto a semplice convenzione, non è una tradizione consolidata.

    Questo meccanismo riduzionistico con il crescere delle relazioni ha colpito anche le istituzioni, che infatti vengono concepite dai soggetti, come fastidiosi limiti posti all'affermazione di un pezzo della propria identità debole, limiti da essere sopportati per amore del proprio narcisismo debole e della stabilità sociale necessaria e non perché si è capaci di controllare l'aggressività, ma perché in un sistema stabile è più facile sognare. Sull'idea del narcisismo moderno si veda C. Risè (2002, 2004) e anche il Quarto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia. L'individuo moderno ha apparentemente gradi di libertà espressiva maggiori dei suoi antenati, ma ha meno autonomia di azione. Prandstraller formula l'idea che l'individuo moderno è molto meno "certo di sé" rispetto all'individuo premoderno (Prandstraller, 1991).

    Mentre l'uomo premoderno ritrovava se stesso dentro un orizzonte di senso condiviso, certo immutabile nella comunità di appartenenza, l'individuo moderno vive in una condizione in cui il senso comune, la unità della tradizione, non ci sono più, e deve definire da se stesso chi è e che cosa vuole essere. All'individuo premoderno era possibile vivere una vita già scritta per lui e avvertirla come una buona vita - la vita del contadino, del soldato di ventura, del menestrello, del cortigiano, del curato, dell'artigiano. Poteva seguire, se lo desiderava, una routine e nel seguirla avere la consapevolezza che la sua esistenza aveva un senso. Nessun individuo postmoderno può vivere una vita sapendo di stare soltanto eseguendo un programma già scritto, senza aggiungervi nulla; anzi, molte volte la vita moderna non ha una routine scritta, ma ne ha tante.

    4 L'aspetto antropologico dell'identità debole

    Tra gli autori che hanno studiato il rapporto tra individuo e modernità va ricordato A. Gehlen. La sua teoria sull'individuo (Gehlen, 1983), si basa sull'idea dell'uomo come essere dotato di una elevata plasticità, capace di prendere le distanze dal mondo e anche da se stesso e, perciò, capace di una percezione di sé. L'uomo, secondo Gehlen, non è legato a nessun particolare habitat e risulta "aperto al mondo". A differenza degli animali, che possiedono istinti sicuri e organi efficaci di difesa e di attacco (artigli, corna, zanne, ecc.), l'uomo manca di tutto ciò e deve compiere "la fatica di Sisifo di padroneggiare ogni giorno l'esistenza". Il suo compito fondamentale consiste nel "vivere". Egli per sopravvivere deve completarsi, cioè deve mettere ordine dentro di sé, disciplinandosi, reprimendo alcune pulsioni a favore di altre. Per vivere deve agire, ciò in accordo con la teoria paretiana che indica l'azione come strumento atto a fornire all'uomo un orientamento certo in sostituzione delle risposte automatiche istintuali degli animali. L'azione umana ha una sua struttura, che deriva dal linguaggio, radice dell'auto-attività.

    Per Gehlen, quindi, una certa forma di repressione direzionata alla crescita interiore svolge un ruolo positivo ed essenziale: infatti se manca il dominio sul caos pulsionale naturalistico, originario, l'uomo rinuncia ad essere tale, perde la sua "specificità". La cultura costituisce una componente essenziale, tipica della nostra specie, come l'istinto per gli animali: l'uomo si presenta, quindi, come un essere per natura "culturale". Questo modo di pensare dimostra come l'idea, del "buon selvaggio" sia pura mitologia, inganno.

    Non esiste e non è mai esistito il buon selvaggio corrotto dalla civiltà. "L'uomo è spinto dalla sua costituzione biologica a cercare uno sfogo sessuale e nutrirsi; ma essa non gli dice dove cercare l'appagamento sessuale e che cosa mangiare. Abbandonato a se stesso, l'uomo potrebbe unirsi sessualmente pressoché a qualsiasi cosa o persona ed è perfettamente capace di mangiare cose che lo uccidono. La sessualità e la nutrizione sono incanalate in direzioni specifiche socialmente piuttosto che biologicamente, e questo incanalamento non solo impone dei limiti a queste attività ma influisce direttamente sulle funzioni dell'organismo.

    Così, solo l'individuo la cui socializzazione è riuscita bene è incapace di funzionare sessualmente con un partner sbagliato e magari vomita se gli si offre un cibo sbagliato" (Berger e Luckmann, 1999, p.245). I casi di pedofilia e di cannibalismo resi possibili dalla rete web sono un chiaro esempio della esattezza sia delle idee di Berger, che di quelle paretiane sulle azioni non logiche. La rete internet garantisce il massimo della libertà e della privacy, si possono usare sinonimi, nomi falsi, accedere da qualsiasi parte, in casa, nei caffè, ecc.

    L'uomo si è sempre caratterizzato, più che altro, per la capacità di distanziarsi dal contesto immediato in cui sorge uno stimolo o un bisogno e di valutare la propria azione rispetto a vincoli e criteri temporali rivolti al passato e al futuro. Questa capacità è all'origine dell'autonomia personale. La modernità contemporanea, si caratterizza, sempre secondo Gehlen, non tanto per l'affermarsi dell'autonomia individuale, quanto per il differenziarsi di nuovi ambiti di azione e il sorgere di nuove istituzioni e burocrazie che regolano ed organizzano il controllo sull'azione del singolo.

    Questa codificazione, regolazione e istituzionalizzazione totale si configura, per l'individuo contemporaneo, come una riduzione dalla responsabilità dell'agire. Ma c'è una contropartita. Si cedono gradi di libertà a entità sovraindividuali - le neoburocrazie - in cambio di un aumento della propria discrezionalità nell'ambito interno della personalità. In definitiva dice Gehlen, l'uomo postmoderno è tanto più libero di essere chi decide di essere, e non chi può essere. Ciò significa che la nostra vera personalità e il carattere, sono irrilevanti per il mantenimento e la riproduzione del sistema sociale. Il sistema sociale postmoderno garantisce perciò all'individuo maggiori opportunità per esprimere identità virtuali. Si assiste ad un'esplosione di soggettività molto differenziate, ma anche molto mutevoli; questo indica uno spreco della propria libertà. Succede questo perché i sistemi di simboli significanti, che costituiscono la cultura, sono, infatti, "naturalmente" intrecciati con i meccanismi del pensiero che dirigono i nostri comportamenti e organizzano la nostra esperienza.

    L'uomo contemporaneo è seguito dall'amministrazione pubblica dalla nascita alla morte, ma "non più amato, corretto quando ormai è troppo tardi e la sua vita non è più una terra fertile in cui nessun padre lo ha condotto" (Risè, 2004, p. 48).

    5 Invisibilità da eccesso

    Il tema dell'identità era considerato poco importante, dalla sociologia ufficiale, perché si teorizzava che i processi di omologazione, la società planetaria, il sistema globale livellatore avrebbe prodotto il "cittadino del mondo", oggi prevalgono i fenomeni di sradicamento a livello individuale e collettivo, il che significa che in epoca premoderna i processi creativi erano più frequenti di quelli distruttivi, o che per lo meno esisteva un equilibrio tra questi, in modo tale da contenere l'avanzata del caos. Ogni uomo è costretto, per essere riconosciuto, a eccedere. Si descrive come il migliore e questa finzione accomuna tutti gli uomini, o la maggior parte di loro. Lo snobismo è divenuto un fenomeno di massa, una modalità alla quale è difficile sottrarsi. L'autoreferenzialità dei discorsi ricorre in ogni discorso e rende la comunicazione fra gli uomini estremamente complessa. I pregiudizi di ognuno (che non vanno confusi con il senso comune) rappresentano ostacoli insormontabili, rispetto ai quali le migliori intenzioni si infrangono.

    Il ritenersi sempre migliori dei propri interlocutori frena la conoscenza e l'apprendimento reciproco. Le leggi dell'invidia, del desiderio, uccidono la possibilità di crescita delle comunità, ponendo al primo posto, la non-responsabilità sociale. Il leader spesso è interessato solo a se stesso e utilizza gli altri in maniera strumentale alle proprie mete. I meccanismi che alimentano il leaderismo il più delle volte sottraggono al gruppo il suo nutrimento vitale: la partecipazione individuale. Le risorse individuali vengono il più delle volte disperse o malamente utilizzate piuttosto che valorizzate, a causa di una selettività che ne privilegia solo alcune. Nella società complessa l'individuo è invisibile. Non è facile conoscere la sua storia fatta di molteplici appartenenze, di entrate e uscite da gruppi differenti, che fanno sì che il soggetto non si identifichi completamente e che la sua identità non sia riducibile ad una sola o solo ad alcune delle sue esperienze.

    La complessità e la frammentazione rendono gli uomini non conoscibili, perché non più identificabili in maniera tradizionale, ossia in virtù del ruolo professionale o della posizione sociale ricoperta. L'uomo è invisibile e necessita di strategie che gli restituiscano la riconoscibilità e il riconoscimento che una identità debole non può garantire. L'identità è data insieme dall'immagine che l'individuo ha di sé e dall'immagine che gli altri hanno dell'individuo. Per questo sono importanti tanto l'autorappresentazione quanto la rappresentazione che di un soggetto hanno gli altri: gli osservatori dell'identità. Le identità deboli rendono più probabili la creazione di relazioni temporali e simboliche in contesti diversi, sviluppano perciò nuove abilità sociali necessarie a vivere in ambienti complessi, ma sono insufficienti, perché i contesti attuali, reti sociali e reti virtuali, sono intelligenti e quindi mutevoli.

    Costruirsi un'identità con questo percorso rischia di innescare una spirale senza fine che porta alla perdita di senso. Da tutto ciò deriva la necessità fondamentale di creare una cultura umanizzante la quale per sua costituzione porti verso una realtà relazionale e complessa, ma costituita da persone e non da consumatori.

    6 Conclusioni

    "Non è il possesso prolungato che ingenera il tedio, ma il contatto fugace con innumerevoli oggetti"
    (Gomez Devila, 2001)

    La società in cui viviamo è pervasa dalle leggi dell'eccesso. L'identità finisce sempre più per essere assimilata alle merci che si posseggono e sulle quali gli uomini si proiettano, anzi la vita è vista come bene di consumo e non come esperienza irripetibile e il concetto stesso di proprietà si è affievolito. Oggi si comprano anche beni immobili per consumarli e non per farne patrimonio, si pensi ad es. alle multiproprietà o alla trasformazione dei beni artistici fatti in serie per arredare. Siamo la nostra macchina, il quartiere in cui abitiamo, il nostro "inconfondibile" modo di vestire, la nostra pettinatura. Per assecondare il nostro desiderio di cambiamento è sufficiente cambiare look.

    L'uomo è prigioniero della spirale dell'eccesso. Il soggetto finisce per essere riconoscibile in base a ciò che possiede o consuma. Ma non si desiderano solo merci, si possono desiderare anche posizioni sociali, in quanto fonte di potere, prestigio e riconoscimento. L'invisibilità dell'uomo lo spinge a ricercare posizioni di dominio per apparire, dal momento che il fatto di esistere non è una condizione di riconoscimento sociale in sé. Chi ricopre posizioni dominanti piace, è richiesto, esiste. Diventa visibile. La sua condizione di trasparenza si risolve. Chi non è in grado o non vuole esercitare il suo dominio sulle cose, sulla realtà o su altri uomini, non è riconosciuto. È invisibile.

    Se dunque la supernormalità è di fatto l'unico criterio di esistenza, non essendo realmente tali, gli uomini sono spinti ad adoperarsi per diventarlo. E' necessario far leva sul giudizio degli altri per differenziarsi dalla massa dei qualunque. Non è concesso essere normali, miti, tolleranti; la normalità equivale alla non esistenza, la mitezza è scambiata per viltà, la tolleranza per accidia. La Grande Madre "non crea solidarietà tra i suoi uomini, come faceva l'esercito la corporazione ..., ma li mette in concorrenza fra di loro ... perfeziona e completa, per entrambi i generi, quella sostituzione dell'amore di sé, con la cura del proprio egoistico interesse"(Risè, 2004, p. 68).

    La questione dell'identità forte, ad es. magistrato, padre apicultore, ecc, è diventata, oggi, strategica. L'identità forte è indispensabile per l'equilibrio psicologico di un sistema sociale; riferimenti chiari sono la base di ogni cultura. Sono le identità forti vincolo che permettono la costruzione e la conservazione del senso di appartenenza comunitario.

    In conclusione, per evitare che le identità deboli portino alla neghittosità e alla regressione civile si deve educare gli attori al bene comune a fornire competenze per agire socialmente in un modo che J. Habermas chiama agire comunicativo, ossia in modo da cercare intese e forme di cooperazione. Occorre un richiamo alla trascendenza, al ruolo del padre, che permetta di dare un senso non debole alle cose, o anche riscoprire che l'aspetto personalistico delle relazioni non distruttive si fonda sul concetto di autodisciplina, considerato il fattore essenziale per diventare persone civili, come studiato da Elias (2003). Per agire in questo modo è fondamentale effettuare scelte di qualità, scelte che si basano su responsabilità personali e che quindi richiedono una maggior capacità di riconoscere gli errori.


    BIBLIOGRAFIA

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