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  • Il corpo come soggetto e oggetto di un'ermeneutica dell'educazione
    Magali Humeau (a cura di)

    M@gm@ vol.2 n.3 Luglio-Settembre 2004

    STORIE DI CORPI ABITATI: DINAMICA DELLA COSTRUZIONE DEL SÉ



    (Traduzione Marina Brancato)

    Chantal Clercier

    c.clercier@wanadoo.fr
    Dottoranda in Scienze dell'Educazione all'Università di Pau e dei Paesi dell'Adour.

    "Dietro i tuoi pensieri ed i tuoi sentimenti, fratello mio, si cela un imperioso maestro, un saggio sconosciuto, egli si chiama sé. Abita il tuo corpo, è il tuo corpo." (Nietzsche, Così parlò Zarathustra)

    Che cosa resta del rapporto di ciascuno con il proprio corpo, la propria storia, il proprio immaginario in questa costruzione dell'identità che è in gioco? La comprensione della costruzione del sé nella sua complessa dinamica, può pensarsi e dispiegarsi nei processi formativi? Mi auguro d'interrogare questa trama tra l'esteriore e l'interiore in questi fili ingarbugliati che collegano al sé. Molti individui sono alla ricerca di un'unità che riconcili l'immagine che hanno di loro stessi e quella che gli altri hanno di loro. L'uomo desidera, soprattutto poter riunire questi suoi tre aspetti: ciò che egli è, ciò che mostra, e come vorrebbe essere percepito. Che la sua persona formi un tutto incondizionato in ogni parte di questo tutto! È a questa questione che cercherò di rispondere. Sapendo che la conoscenza e l'implicazione si articolano per far apparire il senso, ciò che C. Déjours (2003) chiama: "l'intelligenza astuta". Quest'ultima si sviluppa in un rapporto ermeneutico dell'agire nell'agire. Non è dell'ordine del discorso ma della trasformazione della vita e del dominio dei nostri atti. È l'intelligenza pratica che trova la sua energia nell'ingegnosità, è l'intelligenza del corpo. La sua prima caratteristica è di essere radicata nel corpo, dove questo vincolo corporeo nella mansione situa l'intelligenza pratica in una temporalità attuale. Questa dimensione corporale implica un funzionamento che si distingue fondamentalmente da un ragionamento logico. Noi esamineremo come l'apparenza partecipa a questo spazio transitorio tra sé e gli altri più o meno facile ad "abitare". Intorno ad una storia in patchwork dai fili ingarbugliati di diversi colori attraverso tre piccole storie:
    - una storia di apparenza;
    - una storia di sensazioni;
    - una storia di pelle.

    I Una storia di apparenza

    a) La biancheria

    Y. Verdier (1994) racconta come, in Francia, all'inizio del secolo scorso, con la pubertà, appena alle adolescenti, appena cominciavano a contrassegnare la biancheria con il proprio sangue, si permetteva di far mostra del loro intarsio [1]. Il ricamo della biancheria, molto più di un semplice marchio di proprietà, è prima di tutto l'affermazione di un'identità e di uno stato, quello della ragazza pubere. La pubertà significa la capacità di trasmettere la vita intorno a sé. Forse possiamo fare un collegamento tra le preoccupazioni di ordine istologico e d'igiene del corpo [2] e la costruzione del sé. A metà del XV secolo la pulizia personale è simbolizzata da quella per la biancheria (Vigarello, 1987, pagina 26). L'attenzione si rivolge allora agli "involucri" che ricoprono la pelle. Il cambiamento dei vestiti esclude il lavaggio del corpo. Il silenzio dei testi dell'epoca non permette di dedurre l'assenza dell'intera pulizia corporea. Questa esiste, ma "altrimenti" rispetto a quella di oggi, riferita ad altre regole. I testi dell'epoca evocano sistematicamente la "pulizia del corpo" (Vigarello, 1987, pagina 61). L'attenzione è focalizzata sulle parti che si vedono: il viso, le mani. È alla fine di questo secolo che il corpo fa la sua apparizione. La presenza della pelle, la rappresentazione concreta del corpo si modificano di fronte ai rivestimenti di lana, di pelliccia. Come se il visibile assente in precedenza fosse investito allo stesso titolo della materia esteriore.

    Due secoli più tardi, si raccomanda di evitare le lane, i cotoni, materie troppo permeabili su dei corpi porosi. La posta in gioco delle mani pulite e del viso liscio non è 'sanitaria'. L'obbligazione è morale, il suo oggetto è la decenza prima di essere l'igiene. I riferimenti più vecchi sono quelli del saper vivere prima di essere quelli della salute: è l'apparenza che conta. Il corpo è trattato a partire dai suoi involucri esteriori. Nel Medioevo, l'allusione alla pulizia rileva delle buone maniere ed esplora il solo campo dello sguardo. I primi elementi normativi appaiono: la biancheria che trattiene la traspirazione e le impurità (Vigarello, 1987, pagina 70) oppure il ricambio della biancheria che cancelli la "sporcizia". I cittadini cominciano ad avere una pratica dell'acqua. L'interesse per la biancheria sembra corrispondere ad una zona transitoria su di una traiettoria: la superficie della pelle è considerata solo indirettamente. Al contrario, l'abito ha una presenza, un ruolo. La sua cura diviene un segno di mantenimento del corpo.

    b) L'abito [3]

    Vedere ed essere visti è la stessa cosa. In effetti, si tratta sempre di una mezza espressione come spiega F. Borel (1998, pagina 55). La percezione che noi abbiamo del corpo altrui e delle emozioni che esso esprime è primaria rispetto alla percezione che noi proviamo del proprio corpo, esiste una corrente continua di scambi tra l'immagine del proprio corpo e l'immagine del corpo altrui. Dei reciproci scambi permanenti si stabiliscono tra le apparenze. Il corpo è sociale nei suoi aspetti più intimi. La socializzazione corporea gioca un ruolo fondamentale nell'educazione poiché la domesticazione del corpo è uno dei meccanismi fondamentali d'interiorizzazione del sociale. L'abbigliamento procede dal desiderio di sembrare per meglio essere. Il vestiario occupa uno spazio importante nella messa in scena del corpo. L'atto di nascondere diviene una sorta di "ornamento" che serve ad una doppia finalità: attirare lo sguardo, apparire come degno di attenzione. Il vestito in apparenza semplice accessorio penetra la nostra esistenza. E' più che un semplice oggetto d'uso, è lo specchio della storia dell'uomo. Nella nostra società avida d'immagini, il corpo è protetto da questo strato intermediario tra esso e il mondo, corazza morbida che lo solidifica e attenua lo choc delle aggressioni.

    Le società religiose eredi del peccato d'Adamo hanno pensato di dover evitare la tentazione e cercare di proteggere la pelle da sguardi impuri. È per questo che l'abito è divenuto indispensabile per il rispetto e per la morale di queste società (Borel, 1998). È il senso, tra l'altro, che investe i comportamenti del vestiario delle comunità musulmane: i capelli della donna sono nascosti, così come la pelle, ad esclusione del viso. Il velo è una questione a sé, anteriormente a tutto il dibattito attuale sulla scuola o la laicità. Secondo C. Djavann (2003), il velo abolisce la "mixitè", materializza, limita e definisce la separazione dello spazio femminile. Condanna il corpo femminile all'infermità, ma attira maggiormente lo sguardo degli uomini. Secondo quest'autore, per queste donne è, la vergogna di abitare un corpo velato, l'angoscia di abitare un corpo colpevole, colpevole di esistere. Un corpo traumatizzato, umiliato fonte di disagio e di peccato, oggetto malsano ed interdetto che si nasconde come un accessorio sessuale di cui si avrà vergogna di usare. Per altri, C. Ebadi, per esempio (2003), la questione del velo è quella dell'emancipazione e del mezzo per perseguire una scolarità. Il velo oggi provocante, può anche permettere alle donne di essere discrete, modeste nella cultura musulmana. Si può fare un'analogia tra il velo di queste donne musulmane, il portare il grembiule nero della III Repubblica (Jules Ferry) e certe divise del XXI secolo portate dalle collegiali.

    Le persone praticanti la religione ebraica sanno che bisogna avere la testa coperta per rivolgersi a Dio. I fedeli che decidono di vivere sempre in presenza di Dio s'impongono di portare la Kippa, anche al di fuori dei luoghi di preghiera. Alcuni fedeli scelgono di riferirsi alla propria coscienza e all'intenzione che mettono nel loro modo di presentarsi. Altri scelgono di nascondersi dietro l'apparenza poiché la pelle non è una barriera sufficiente contro l'intrusione dagli sguardi che scrutano, giudicano ed offendono. Così, nella maggior parte delle civiltà, le religioni hanno stabilito le considerazioni tra la pelle e il vestiario per mostrare che esse sono o non sono conformi alle regoli sociali in vigore. Il vestiario non va ad aggiungersi al corpo, per completarlo, è infatti inseparabile da esso, come se s'interponesse per rendere impossibile l'intero tentativo di separazione, di distacco "dal modo in cui sposa e trasporta il corpo, riattivava i poteri di un vestire assicurato dal corpo materno" (Schneider, 2001, pagina 29).

    Un polo individuale privilegia le caratteristiche personali e nel contempo, questo polo associa anche le conoscenze acquisite, i saperi trasmessi, le credenze, i valori interiorizzati (autorizzazioni e divieti) in funzione degli affetti dell'individuo. L'Io predomina, ha integrato gli elementi del polo sociale, che, d'altro lato privilegia le caratteristiche collettive, codificate dalla società. Questo secondo polo rappresenta l'esteriorizzazione sociale, pubblica del sé. Questi due poli, individuale e sociale, si combinano nella misura dove il sé è l'emanazione dell'interrelazione tra lo spettacolo e l'interpretazione che ne fanno gli altri in quanto spettatori. L'individuo è avvolto artificialmente dai suoi vestiti che costituiscono una seconda pelle. I vestiti costituiscono un prolungamento. Il corpo è il supporto del vestito, l'espressione del linguaggio vestiario rende più complessa la determinazione del legame interiore ed esteriore. L'abbigliamento costituisce un limite tra il corpo e il mondo, è caricato di simboli, dà a vedere tanto quanto nasconde, maschera o tradisce la nostra identità poiché partecipa pienamente alla presentazione del sé, è contemporaneamente involucro e sviluppo e contribuisce a modificare l'apparenza del nostro corpo. Costituisce l'interfaccia tra il nostro corpo e l'altro, sottolinea i nostri limiti, protegge la nostra interiorità. Abitare il nostro corpo abitandone i vestiti, è lasciar emergere l'intimo e attirare lo sguardo dell'altro. Docile, il corpo può prestarsi a modificazioni, lasciandosi abbigliare da accessori diversi per rendere possibile l'incontro con l'altro. Tra gli artifici, il vestito occupa un posto preponderante per valorizzare il corpo, mettere in scena l'identità degli individui, presentare il loro sé in maniera singolare.

    II Una storia di sensazione

    Il desiderio dell'uomo è, generalmente, il desiderio di comunicare con l'altro. A partire dai lavori di Freud e dei suoi allievi, noi sappiamo che il neonato prova nel suo corpo, dalla sua nascita fino ai tre anni, un linguaggio eminentemente arcaico che parla senza sapere di parlarlo: un linguaggio di sensazione. Tutti noi parliamo il linguaggio delle sensazioni vissute nel nostro corpo di neonato, benché lo parliamo senza mai averne coscienza. L'immagine incosciente del corpo, sono tutte le prime rappresentazioni, più particolarmente le sensazioni corporali provate dal bebè al contatto con la madre. Queste immagini determinano i nostri comportamenti corporali involontari, le nostre mimiche, gesti e posture. Esse flettono la carne della nostra silhouette, evidenziano i tratti del viso, definiscono l'espressione di uno sguardo e modulano il timbro della nostra voce, decidono dei nostri gusti, delle nostre attrazioni e repulsioni, e dettano il nostro modo di indirizzarci corporalmente all'altro.

    Tutte queste manifestazioni spontanee, dove il corpo è vincolato, non sono che le forme visibili, udibili e palpabili che rivelano il linguaggio silenzioso delle sensazioni corporali della prima infanzia. C. Déjours illustra questo argomento parlando di due corpi, il corpo biologico e il corpo psichico: "l'immagine incosciente del corpo, è l'incosciente embrionario, e la matrice dell'incosciente, è il corpo" (Déjours, 2003, pagina 148). Sono queste immagini, inscritte nel più profondo dell'essere, che restano quando tutte le altre sono alterate. Più precisamente, si tratta del corpo fisico attraversato dalla presenza dell'altro, vibrante, desideroso e simbolico. Questo corpo getterà verso l'esterno le sensazioni di cui gli impatti formeranno le immagini fondatrici dell'incoscienza. L'immagine incosciente del corpo è dunque la memoria delle prime sensazioni vissute. Queste riflessioni ci conducono alla seguente questione: come la costruzione delle immagini è un mezzo per l'uomo di penetrare nei cerchi che lo spingono verso il centro del suo essere interiore oppure come passa dalla dispersione all'unità corporea?

    Secondo Spitz (1968, pagina 140-143), il bambino viene al mondo in uno stato di dipendenza rispetto alla madre che gli assicura i suoi bisogni vitali. La funzione primitiva ed essenziale di comunicazione è prima di tutto un dialogo verbale, essa si situa nella parte tonica del corpo. L'universo indifferenziato del lattante, poco a poco, s'ingrandirà. È perché il bambino ha potuto riconoscere l'altro che sarà in grado di riconoscersi come entità separata da sua madre e come unità corporale non dislocata. Secondo Wallon (1945), è verso i dodici mesi che il bambino può inserire le parti del suo corpo che restano individualizzate e personificate molto a lungo. L'emozione in quanto funzione tonica gioca un ruolo preponderante in questa genesi; è una forma di adattamento all'ambiente ma anche agli altri. Questo adattamento emozionale ha per "stoffa" i toni muscolari. Il bambino vive il suo corpo come un corpo in relazione e non come una massa astratta. La genesi del corpo è, allora, un processo dialettico, un andirivieni costante del sé agli altri e viceversa. Il bambino, prendendo coscienza del proprio corpo, sarà attirato dall'immagine che egli percepisce nello specchio e, scoprirà poco a poco, che questa immagine è la sua. La condizione di accesso alla nozione di "corpo proprio" è infatti la capacità di dissociare l'espressione immediata della rappresentazione delle cose. Per unificare il suo io nello spazio, è necessario che il bambino ammetta che la sua immagine reale gli sfugga.

    Dolto (1984) nota a proposito dell'esperienza dello specchio, che la presa di coscienza del "corpo proprio" corrisponde all'elaborazione dello schema del corpo come dato anatomico proprio a tutti gli esseri umani. Il corpo proprio è dunque la sede delle sensazioni cinestetiche [4] di movimento e posturali (attitudini, contegno) associate all'attività visuale che gli permettono di esplorare il mondo esteriore e gli oggetti, d'integrare la relazione del sé agli altri. Freud (1969, pagina 82) ravvisa l'integrazione dell'Io con il Narcisismo. Egli propone di riavvicinarsi agli investimenti libidinosi. Qualunque siano le teorie, l'individuo ha bisogno di amarsi per vivere e svilupparsi, ha più particolarmente bisogno di sentirsi desiderato, amato, toccato. Il primo specchio per il bambino resta la madre, colei che si occupa e si pre-occupa di lui, il suo ruolo è determinante. L'immagine del corpo non è dato di primo acchito, ma procede di concerto con una lenta maturazione degli organi sensoriali, una lenta elaborazione dell'apparato psicologico e una lunga e assidua assistenza materna amorevole. L'immagine del corpo sano si costituisce lungo differenti tappe che conducono un individuo dalla fusione materna allo stabilimento delle relazioni oggettive, dapprima con la madre, in seguito con l'ambiente.

    E' sempre difficile parlare di sensazioni vissute nel nostro corpo (le stesse di quelle vissute nel nostro corpo di bambino), esse ritornano senza che se ne abbia coscienza. F. Dolto (1984) dice che per trovare il linguaggio delle vecchie sensazioni di questo vissuto corporeo arcaico che noi abbiamo in noi stessi, ciò consiste nel trovare il codice dell'immagine incosciente del corpo. L'immagine di base che dà la sicurezza, la fiducia permanente non cosciente della nostra esistenza. In realtà, è quella che ci dà il sentimento di restare solidi di fronte all'alterità di esseri e di cose, donandoci la certezza di esistere nella continuità temporale. L'immagine incosciente del corpo, è prima di tutto l'immagine di una emozione, l'immagine di un ritmo, di una interazione carnale desiderosa e simbolica tra il bambino e sua madre. Una emozione è una tensione. Secondo Schneider (2001), la tensione dell'incontro, ciò che resterà inscritto nell'immagine, è il ritmo che corrisponde ad una risonanza di due presenze confrontate, di due sensazioni che si accordano. D. Anzieu (1992) si riferisce all'espressione "pia-madre" derivata dalla pelle-madre per sottolineare la correlazione che instaura l'incoscienza tra "l'involucro cutaneo" e il primo abito nel quale si sarà infilato il bambino nella traversata della sua esistenza prenatale. Egli analizza un certo numero di valori positivi attaccati ad un involucro che ha un ruolo essenziale nella costruzione del narcisismo. L'insieme dei nostri organi dei sensi contribuisce a trasmetterci delle informazioni. L'involucro tattile comprende da solo numerose funzioni e fa dell'organismo un sistema sensibile. È il senso più personale. Tuttavia, sarà vano dare un ordine d'importanza all'uno o all'altro dei cinque sensi di cui noi disponiamo. Tutti lavorano in sinergia per mantenerci in vita biologica e psicologica. Quando uno di essi è alterato, è la nostra relazione con il mondo che cambia, è il nostro comportamento e i nostri discorsi che si agitano.

    I lavori di Anzieu, quelli di E.T. Hall confermano l'importanza di questa comunicazione corporale o non verbale senza tuttavia escludere l'incidenza del linguaggio parlato nelle relazioni umane. Il nostro corpo esprime dei comportamenti istintivi che sono parte del biologico, dei fattori chimici e fisici. Traspirare, starnutire, sbadigliare, camminare, espellere, dormire, guardare, piangere, mangiare, sorridere (...) ne sono le principali manifestazioni. Ma il corpo può divenire soggetto o oggetto di comunicazione tramite la cultura. L'apparenza si situa dal lato della superficie, dei segni, della metamorfosi, mentre l'intimo sarà piuttosto un universo di sostanza meno visibile. In questo senso, non ci sarà grande affinità tra i due. Invece quando uno scambio comincia a costruirsi, dei segni esteriori possono appartenergli. Infatti, in questo contesto, l'intimo è allora oggetto di uno scambio simbolico dal sé al sé in una unicità e in una dualità. Non è né l'interiorizzazione assoluta, né la confusione totale, ma l'inizio della costruzione del soggetto. Il nostro modo di abitare il proprio corpo lascia emergere ciò che vi è di più intimo, più interiore. Essa ci permette di rimando di essere l'oggetto dello sguardo dell'altro. È questo sguardo portato su di noi che di rimando, può modificare la visione che si ha del sé.

    Conviene fermarsi sulla nozione del sé [5] e più particolarmente sulla costruzione dell'identità attraverso la messa in scena del corpo. La nozione d'identità [6] esprime il risultato delle interazioni tra l'individuo, gli altri e la società (Moscovici, 1989). Il sé combina dunque delle tendenze individuali e psicologiche, ma si costruisce anche nel suo rapporto con l'altro, con la società. Di conseguenza, si può considerare che il sé si articola attorno a due poli. Ogni interazione mette in opera una rappresentazione durante la quale l'attore sviluppa uno o più ruoli davanti ad un pubblico. La costruzione del sé si fa attraverso le rappresentazioni che gli attori sociali hanno di loro stessi, ma, del resto, l'interpretazione che hanno gli altri della loro "prestazione" può anche influenzare la loro personalità. Il sé si trova sia nel concatenamento tra pubblico e privato, sia nel congiungimento tra l'interno e l'esterno. Il corpo è l'elemento costitutivo di questa presentazione del sé nell'assunzione di ruolo, di posture. È un mezzo di espressione complementare al linguaggio. Il corpo permette all'individuo attraverso il vestiario di presentare ciò che è ed eventualmente di comunicare con il mondo che lo circonda. Il corpo è reso percettibile dai contatti con l'esterno. La sua coscienza cresce con l'incontro di qualcosa, i contatti precisano le sensazioni. Fa parte di noi ma è sottomesso senza tregua agli sguardi altrui. Anche il corpo unisce polo sociale e polo individuale.

    III Una storia di pelle

    a) Una pelle traccia della storia

    A differenza degli altri sensi, il toccare impone il contatto immediato del nostro corpo con gli altri corpi materiali. Del resto l'onnipresenza della pelle, il toccare corrisponde alla sensibilità cutanea e interviene nell'esplorazione degli oggetti mediante la palpazione. Il toccare è un senso riflessivo [7]. L'esperienza tattile inizia molto presto perché il feto percepisce le pressioni e le vibrazioni dalla settima settimana. Toccare ed essere toccati è un bisogno che noi condividiamo con numerose specie animali.

    Questa pelle, che ci protegge e ci tradisce, è costituita da strati molto diversificati e strutturati. Essa dirige il proprio programma di cicatrizzazione. Avere una bella pelle si merita. Certamente l'eredità vuol dire la sua, ma il nostro modo di vita giocherà un ruolo non trascurabile. La nostra vita nel XXI secolo non ha più molto a che vedere con quella dell'uomo della preistoria. La nostra civilizzazione industriale ha inquinato l'aria. Numerosi fattori intervengono nella lotta per una pelle sana. La pelle e il cervello hanno la stessa origine, numerose affezioni del corpo si ripercuotono sullo spirito e reciprocamente. L'intera affezione dello spirito può manifestarsi a livello della pelle, specchio obbligato dell'anima. Numerosi lavori sulla somatizzazione lo testimoniano, pensiamo più precisamente alle ricerche di F. B. Michel (1993) sul naso tappato o il fiato corto oppure le esperienze di C. Jallan (1998) relative alle terapie di mediazione corporea. Da allora, la pelle, in meglio o in peggio, è portatrice di parecchie tracce di memoria, essa è il testo dei nostri traumi, delle nostre ferite, dei nostri piaceri, di tutte le nostre cicatrici dell'esistenza. Essa è fonte di un racconto del sé. I tatuaggi (Le Breton, 2002), i piercing, sono spesso le pagine strappate di un'agenda, di un diario non più scritto su un quaderno ma sulla pelle. L'incisione è la traccia cutanea di un momento forte dell'esistenza. La pelle diviene archivio del sé. Il marchio corporeo segna l'appartenenza al sé (Le Breton, 2002), rito personale per cambiarsi cambiando la forma del proprio corpo.

    La nostra pelle è il supporto dell'incoscienza dove tutte le turpitudini interne vanno a depositarsi. M. Malet (2002) parla di dimensioni che s'intrecciano: quella del corpo e della spiritualità, che si penetrano l'uno nell'altra. L'autore fa il legame con il monte Nebo, questa frontiera impossibile per Mosé, il luogo dove si ferma senza poter guidare il popolo ebreo fino alla Terra promessa, la pelle sarà rispetto ad essa un'interfaccia: una frontiera. Le patologie della pelle rinviano spesso a dei traumi non detti, delle separazioni che non sono mai stati verbalizzati. Nelle relazioni sociali correnti, non si ha l'abitudine di parlare della propria pelle, l'individuo resta pudico. In certi casi, si tratta del processo di somatizzazione classica. Questi traumi sono legati a dei fenomeni (Guillet, 2002) dell'ordine della castrazione come una perdita, un dolore, un attraversamento di frontiera. L'incisione contemporanea del corpo può infatti apparire come un appello ad una legge. La pelle può essere il supporto di una iscrizione o di una malattia che possono anche scomparire e perfino guarire. Essa è un organo doppio, contiene, avvolge, protegge ma sarà anche un luogo di percezione, e d'iscrizione simbolico.

    I medici della vecchia Cina [8], inventando l'agopuntura, hanno situato la pelle, rivestimento visibile dell'invisibile, al crocevia delle scienze mediche. Involucro del corpo, la pelle è chiamata a soffrire poiché è l'avanguardia del corpo. Le sue più grandi sofferenze nascono dai sacrifici e dalle mutilazioni che gli uomini s'impongono per punirsi o elevare la propria anima. G. Guillet (2002) ci mostra come certi rituali religiosi o etnici immaginano d'infliggere alla pelle ogni sorta di sevizie che sono altrettanti sacrifici che si riferiscono a dei testi sacri. Le cicatrici rituali rispondono a qualcosa di molto più profondo della loro finalità estetica, sociale o terapeutica. Mutilazioni e uso degli ornamenti vanno quasi sempre all'incontro di un uso funzionale del corpo. Accanto al vestito e alla maschera si trovano il trucco e la pittura corporea. In un periodo più contemporaneo, si può parlare dell'impatto dell'abbronzatura sul corpo.

    b) L'incisione della pelle

    Anche il corpo mette insieme il polo sociale e il polo individuale e, ancora di più oggi, dove si può osservare un autentico culto del corpo, con l'aiuto della pubblicità, dei media, che producono talvolta una reale confusione di età, di tempi, di sessi. In certi casi, si tratta di autentiche metamorfosi del corpo. Generalmente, esso ben si presta alle modificazioni dell'estetica: seno, naso, bocca, mani (...). Il processo culturale mira a modificare e ad imbellire il corpo, immagine originale data dalla nascita, in assenza di qualsiasi discorso. Ogni desiderio contiene un'intenzione, tutto ciò si spiega per il fatto che il corpo parla unicamente quando è abbigliato di artifici, e il vestito possiede un posto preponderante tra gli artifici scelti dagli individui per modificare l'immagine del loro corpo e analogamente per mettere in scena la loro identità e presentare il loro sé in maniera particolare. Il corpo è nella società un fattore d'individualizzazione. Si tratta qui di un paradosso ossia l'abito permette differenziazione ed espressione identitaria. Prenderemo l'esempio degli individui che cercano di singolarizzarsi grazie a dei segni, a dei marchi corporali per trovare contemporaneamente singolarità e appartenenza al gruppo e parallelamente cercheranno distinzione dall'uniformità nell'uso di sigle [9] o di tenute eccentriche. L'individuo che le modifica tenta di modificare il suo rapporto con il mondo (Papetti-Tisseron, 1996). Per cambiare vita, cambiare il suo corpo o almeno tentare è diventata oggi una pratica corrente.

    Papetti-Tisseron (1996) spiega come il dolore e la profonda esperienza della singolarità sono gioco simbolico con la morte, adempiono una funzione identitaria, esprimono un paravento contro la sofferenza [10]. Spesso al momento dell'adolescenza, quando le basi del sentimento d'identità rimangono ancora fragili, con forza, il corpo ne è il campo di battaglia. È nello stesso tempo radice d'identità e fonte d'inquietudine, può spaventare per i suoi cambiamenti, particolarmente per gli effetti prodotti verso gli altri. Infatti, talvolta si spinge fino ad una perdita dell'identità di genere se la singolarizzazione è colpita. È una minaccia per l'Io. Il corpo è una materia d'identità che permette di trovare il suo posto. Le modificazioni del corpo sono spesso vissute come delle trasformazioni artistiche del sé. Esse distinguono, permettono di staccarsi da un'esistenza percepita come troppo ordinaria dal fare ricorso ad un segno che de-marchi e motivi la curiosità degli altri. È una forma nuova di gioiello. Il paradosso dei marchi corporei è d'inserirsi simultaneamente come un atto pubblico e privato provocando reazioni di ostilità o di entusiasmo. L'individuo si sforza di ridurre l'ambivalenza sociale e nasconde o ostenta i suoi marchi a seconda delle presunte attese del pubblico.

    Nelle società tradizionali [11], le incisioni corporee garantiscono l'appartenenza al gruppo perfino all'umanità, divengono dei segni di distinzione che valorizzano il proprio corpo, l'estetizzano. Si tratta di appartenere al sé e di sfuggire all'indifferenza. In numerose società umane, le incisioni corporee sono associate a dei riti di passaggio a momenti diversi dell'esistenza o meglio sono legati a dei significati precisi nel seno della comunità. Il tatuaggio è un valore identitario. Rivela al cuore stesso della carne l'appartenenza del soggetto al gruppo, ad un sistema sociale. Precisa le fedeltà religiose, umanizza in qualche modo mediante questa manomissione culturale di cui il valore raddoppia quello della nomina. A fior di pelle, il tatuaggio supera la barriera dell'epidermide, mentre l'uso del corsetto [12], si attacca allo scheletro, modifica la cassa toracica e comprime il suo contenuto (Borel, 1998, pagina 55).

    Scarificazione e tatuaggio rilevano uno stesso processo. Tra i due procedimenti risiede un problema di profondità e di colore della pelle. L'uno e l'altro agiscono come una carta d'identità. Piuttosto che l'interpretazione di un disadattamento sociale, sembra che questi modi di "separare per legare" servono a rinsaldare l'affermazione della sua identità personale. Nelle altre società tradizionali, l'uomo e la donna non incisi godono di uno statuto inferiore, essi restano al di là della comunità umana che esige il completamento della persona dalle iscrizioni corporee, essi scappano alla sorte comune e non possono sposarsi. Il marchio corporeo è anche segno di appartenenza al gruppo, configurazione dell'illusione collettiva analizzata da D. Anzieu, questo sentimento di un vincolo indefettibile del gruppo che resisterà alle prove e al tempo. Essa rinforza l'impressione di appartenenza e la solidarietà. La sofferenza provata nel momento della sua fabbricazione fa parte del prezzo da pagare per mostrarsi all'altezza dell'esigenze del gruppo e per autenticare il valore della decisione comune. Essa rinforza al momento il sentimento di essere un tutt'uno con gli altri, e dunque di non essere più solo.

    L'incisione contemporanea è individualizzante. Segna un individuo singolo di cui il corpo non appartiene ad una comunità, è l'affermazione della sua irriducibile individualità, cioè la differenza del proprio corpo, degli altri e del mondo, luogo di libertà in seno ad una società cui è formalmente collegato. L'incisione corporea è una decisione personale non influente per niente sullo statuto sociale anche se essa abbellisce la presenza di una singolarità particolare. Per cambiare vita, si cambia il corpo, o almeno, si tenta. Nelle società tradizionali, le incisioni non sono mai un fine in sé come lo sono nella nostra società, esse accompagnano in maniera irriducibile i riti di passaggio di cui rappresentano le tracce definitive, indicano l'attraversamento di una soglia nella maturità personale, il passaggio all'età adulta, l'accesso ad un altro stato sociale, l'accesso ad un gruppo particolare, etc. Essi sono un elemento della trasmissione dai primogeniti di una linea di orientamento e di un sapere per i novizi che ne beneficiano. Accade che l'estetica e lo spirituale si uniscano nello stesso disegno. Il punto che decora la fronte delle donne indù: il tikal, è decorazione, ricorda il giorno quando il dio creatore ha toccato la fronte dell'uomo per elevarlo dal suo stato d'incoscienza animale al rango di essere umano. Questo punto è il marchio dello spirito (Guillet, 2002, pagina 33).

    Nella nostra società, la scelta di un'incisione deriva da una iniziativa personale e una decorazione corporea. Esso rileva una propria appropriazione, l'individuo deve senza tregua spiegare agli altri il significato soggettivo della sua incisione. L'impronta del segno, eccetto alcune condizioni sociali che gli danno un senso pieno, è una forma di citazione culturale. Non è individualizzante. Non è più il valore di un'esistenza costruita che qui s'impone ma il bricolage corporeo che ne fa l'economia e che diviene una maniera significativa di mettersi in valore per scappare all'indifferenza. Il piercingato o il tatuato sono spesso in posizione di trasportatore che autorizza gli altri a superare la soglia grazie al proprio esempio e alla propria testimonianza. L'incisione corporea segna l'appartenenza al sé. Rito personale per modificarsi come si modifica la forma del proprio corpo, le tradizioni e costruisce un sincretismo che s'ignora, l'esperienza spirituale, un rito intimo di passaggio (Jeffrey, 1998).

    Nella nostra società contemporanea, il corpo diviene una preoccupazione esacerbata. Noi viviamo sotto il regno di una tirannia dell'apparenza. D. Le Breton (2002) pensa il corpo in una dimensione antropologica, tenta di comprendere come le società umane plasmano la loro forma, le loro emozioni, le loro percezioni sensoriali e il loro statuto culturale. Secondo lui, noi non possiamo sbarazzarci del corpo nello stesso tempo preso d'assalto e spesso rifiutato. Mentre nelle società tradizionali, le incisioni del corpo rinviano a dei riti di passaggio finalizzati ad unificare il gruppo, nelle nostre società, si tratta di una invenzione autentica del sé. Il corpo è isolato come una propria realtà, non è più opposta, come nelle religioni tradizionali, allo spirito o all'anima, ma piuttosto allo stesso individuo. Il corpo diventa allora un accessorio della presenza, una materia prima da bricolage, un plasmare per dargli la migliore apparenza. La superficie del sé diviene allora la più grande profondità. L'esteriorità affigge l'interiorità. La pelle diviene sé nel senso di una proclamazione. Si costruisce fisicamente come un'immagine attraverso un gioco di segni, come una messa in scena del sé. Il corpo entra nella spettacolarizzazione del mondo, diventa una scena [13]. A lungo il corpo è stato incatenato da una sacralità diffusa che impediva che lo si modificasse in profondità, oggi il corpo ha perduto il suo valore sacro, è diventato un fare valore, un emblema del sé. Nelle nostre società, si tratta innanzitutto di individualizzarsi, di porsi in una singolarità personale. Lo statuto sociologico delle incisioni nelle nostre società è il contrario di quello delle società tradizionali.

    A partire da questa base di riflessione, noi constatiamo che il controllo dell'apparenza, si esercita nei margini stretti della libertà lasciati dall'uniformazione dei guardaroba. L'apparenza caratterizza il nostro modo di essere e le modalità che l'accompagnano. Questa apparenza rappresenta una funzione supporto, un oggetto di legame con gli altri e l'ambiente. Questo aspetto esteriore di noi considerato talvolta come differente da noi è nello stesso tempo la nostra realtà quotidiana. Questa apparenza, elemento di valutazione dimostra la parte irrazionale che interviene nelle nostre relazioni. Se le posture, gli sguardi, i gesti, la presentazione di sé giocano il ruolo di un'apparecchiatura simbolica, altri indici possono rivelarci lo stato emozionale interiore dell'individuo che sta per esprimersi. Infatti, alcuni lavori (Anzieu, Déjours) hanno apportato a questo soggetto, un aspetto complementare sul processo del linguaggio del corpo. Essi precisano che questo linguaggio è l'emergenza del sé soggetto prodotto dell'intero gioco sociale. Più particolarmente è il luogo dove si forgia una coscienza del sé, una propria posizione che consiste a provare (provare/percepire) se-stesso attraverso le relazioni con gli altri. Il sé (sentimento d'identità) si sintetizza in realtà in ciò che noi percepiamo (le nostre sensazioni) [14] e di fronte al quale proviamo qualcosa, che entra in risonanza, ci attraversa, ci abita. Esso si compone di fattori le cui funzioni sono quelle d'introdurre una coerenza tra i diversi stati che noi proviamo. Corrisponde al sentimento fisico del nostro corpo che giace sulle sensazioni che ci sono proprie. È in qualche modo la parte dell'investimento sociale dell'identità. Rappresenta una posta in gioco, forte nella misura dove è esso è lo specchio sul quale l'individuo focalizza un certo numero di caratteristiche scatenante una valutazione.

    Se l'emozione è un'esperienza interiore, la pelle è corazza nella sua parte superficiale. Quando i retroscena di questa pelle sono misteriosi, noi sappiamo che essa è centrale nella nostra costruzione. Essa è lo spazio dove la vita si rivela. Fin dalla nascita, e, rapidamente tenterà delle sollecitazioni con l'ambiente circostante e scoprirà il linguaggio tattile. Questa pelle messaggera parla di vita, di morte, di purezza, d'amore. È traccia della nostra storia, della storia dei popoli. Popoli in lotta contro l'oblio, preoccupati di trasmettere un messaggio indelebile per la vita intera nel più profondo della loro pelle. Che dire delle vecchie credenze umane e universali che fanno della pelle uno specchio dove l'uomo cerca di leggere un ideale di purezza? Rivestimento naturale del corpo, costituisce un limite tra l'interiore e l'esteriore. Essa segna la differenza culturale, influisce sul comportamento degli altri al nostro sguardo. È indicatore del nostro stile di vita e della nostra personalità. Assicura la funzione di protezione fisica, di aspetto materno o di protezione fisica contro le ostilità dell'ambiente. Velata, tatuata, nuda o decorata, essa è portatrice di una carica simbolica a seconda delle epoche. Rivestimento visibile del corpo, essa testimonia ancora oggi credenze e divieti.


    NOTE

    1] L'intarsio (marquette in francese), pagina di scrittura, è un oggetto personale carico di simboli sul quale ogni ragazza ricama il suo nome e cognome così come l'anno della realizzazione di un capo d'opera. È un modello che permette alle giovani ragazze di incidere con le proprie iniziali il proprio corredo, cifrare la loro biancheria, numerare i loro drappi. Come se tutta questa pratica scolare fosse interamente trasmessa attraverso questa tecnica di sartoria, non con l'inchiostro né con la penna, ma con un filo ed un ago e si trovassero all'interno dei quattro lati del piccolo quadrato del canovaccio.
    2] Corpo: (dal latino corpus) la parte materiale di un essere animato, in particolare, dal punto di vista della sua anatomia, del suo involucro esteriore.
    3] Abito: conviene qui fermarsi sull'etimologia dei termini. L'abito è preso in prestito dal latino habitus " maniera di essere, contegno", donde stile, tenuta, vestito, deriva da habere nel senso di "tenersi" (avere). Il termine abitare è anch'esso preso in prestito dal latino habitare "avere spesso", "dimorare" frequentativo di abitare "avere". Si può quindi notare che dall'estensione "abitare con" derivi frequentare. Qui l'etimologia ci apporta due complementi, da una parte la similitudine delle radici linguistiche dei termini abito ed abitare e dall'altra parte la relazione all'altro che è direttamente suggerita nell'etimologia di questi termini. L'idea di abitare il proprio corpo suggerisce una frequente comparazione tra i vestiti e la casa. Essi hanno in comune il proteggere, l'apportare calore e comodità/conforto. Il vestito come la casa è protettore, incolla la pelle, è mobile contrariamente alla casa. È l'idea del vestito rifugio, protettore. Se l'uomo abitasse la propria casa da poeta, in modo attivo a partire dai suoi desideri, egli abiterebbe anche l'impresa in cui lavora e i suoi vestiti (il suo corpo). Egli ha necessità di confrontarsi con l'esteriore. È il problema dello spazio personale su di un territorio più vasto: la società (lo spazio sociale) o in altri termini l'identità individuale in una società globale cioè l'identità sociale.
    4] Cinestetiche: insieme delle sensazioni di origine muscolare o articolare che ci informano sulla posizione dei diversi segmenti del nostro corpo nello spazio.
    5] Sé: ricopre una realtà che non si divide facilmente: l'interiorità, la profondità, il giardino segreto. Il nostro territorio silenzioso. Questo sé si costruisce molto presto e nella misura in cui lo spazio interno diviene "abitato", in particolare con l'immagine incosciente del corpo della madre, è riconosciuto come tale ( secondo le teorie di L'Ecuyer, Fischer e Mead).
    6] Identità: una definizione dell'identità costituisce sempre un compito infinitamente complesso tenuto conto delle diverse accezioni che la parole comprende. Numerosi autori impiegano questo concetto per designare cose diverse, operazioni diverse. Qui, l'identità psicologica, quella che gioca un ruolo di unificazione, grazie al narcisismo che crea ponti, tra le parti. È una realtà composita e fluttuante, l'identità suppone uno spazio, in una discendenza ed è sessuata, ciò implica un investimento del proprio corpo e un'incorporazione della propria identità di genere ( secondo le teorie di Freud, Anzieu, Dolto).
    7] Riflessivo è qui inteso come ripensamento dell'idea che "rinvia alla coscienza su sé stessa". Il toccare si avvicina alla "carne", i piaceri dei sensi (sensualità).
    8] Sapevano che la pelle riflette l'armonia tra i due grandi principi universali dello Yin e dello Yang governanti gli astri al di sopra del potere dei demoni e degli dei medesimi.
    9] Sigle, etichette, ex: Nike, Quike Silver, Adidas, pantaloni a vita bassa per i ragazzi, stringa apparente per le ragazze.
    10] Qui intendiamo l'esperienza per sé stesso della sua esistenza e riconoscenza dagli altri. Il marchio come rito di passaggio iniziatico simboleggia una nuova appartenenza. Esperienza di una solitudine psichica, psicologica in questa costruzione del sé.
    11] Società tradizionale, intesa qui come comunità per la quale esiste un rapporto duraturo fondato sulla tradizione. È un concetto sociologico. Queste società trasmettono i loro valori attraverso l'intermediazione dei riti iniziatici. Uno degli obiettivi di questi riti è di trasmettere dai vecchi ai giovani la conoscenza dei diritti e dei doveri reciproci alfine di armarli per la vita.
    12] Corsetto: (dal tardo francese cors, vestito). Biancheria contenitiva, destinata a sostenere il ventre e la vita. Il mantenimento del corpo, la sua modellatura restano la caratteristica costante della moda femminile durante la belle époque (1889-1914). Il corpo doveva essere liberato. Nel 1909, Paul Poiret un sarto francese riuscì a far sparire il corsetto, "l'apparecchio maledetto" e le gonne complicate e a imporre la moda orientale, con i suoi pantaloni da harem e i suoi vestiti sensuali. Qualche anno più tardi, C. Chanrl finì di liberare il corpo delle donne dalla costrizione del corsetto. (Bertherat, 1996, pagina 21-23).
    13] Qui possiamo fare un collegamento con i lavori di certe sculture. Pensiamo più precisamente a Giacometti o Niki Saont Phalle.
    14] Stato di cambiamento che è a predominanza affettiva (piacere, dolore) o rappresentativa (percezione).


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