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    M@gm@ vol.1 n.4 Octobre-Décembre 2003

    LE RADICI CULTURALI DELLA DIAGNOSI

    (Pietro Barbetta, Meltemi, Collana Ricerche, Roma, 2003, 143 p.)

    Orazio Maria Valastro

    valastro@analisiqualitativa.com
    Presidente Osservatorio dei Processi Comunicativi, Associazione Culturale Scientifica (www.analisiqualitativa.com); Dottorando di Ricerca all'IRSA-CRI (Institut de Recherches Sociologiques et Anthropologiques - Centre de Recherches sur l'Imaginaire) presso l'Università degli Studi ''Paul Valéry'' di Montpellier; Laureato in Sociologia (Università degli Studi René Descartes, Parigi V, Sorbona); Fondatore, Direttore Editoriale e Responsabile della rivista elettronica in scienze umane e sociali "m@gm@"; Collaboratore e Membro del Comitato Scientifico della "Revue Algérienne des Etudes Sociologiques", Université de Jijel-Algeria; Sociologo e Libero Professionista, Studio di Sociologia Professionale (Catania).

    DECOSTRUIRE LE CATEGORIE SOCIALI DELLA CONOSCENZA E DELL'INTERVENTO PSICODIAGNOSTICO

    Le attuali inquietudini delle società moderne e occidentali di fronte alle trasformazioni del significato e della configurazione dei legami e delle relazioni sociali, della stessa condizione esistenziale degli individui e della loro esperienza sociale, generano nuove forme razionali di comprensione e regolamentazione dell'agire umano a livello locale e planetario. Il testo curato da Pietro Barbetta ci consente di interrogarci, proprio in questo periodo storico, sulla costruzione delle conoscenze mediche e sulle caratteristiche dell'intervento psicodiagnostico, esaminando le "radici culturali della diagnosi" e invitandoci a diffidare delle categorie liturgiche del sapere, creatrici di nuovi miti globali e immagini morali relative all'agire umano che condizionano le forme identitarie di identificazione degli individui e le nostre stesse personalità. Vi sono ad esempio "... una serie di circostanze storiche, culturali e contestuali che riconoscono legittimazione morale alle persone che praticano condotte ..." (Pietro Barbetta, Capitolo Primo, Il discorso filosofico della diagnosi, p.19) riconosciute quindi ammissibili, rispetto ad altre che non sono consentite e concepibili in quello stesso contesto.

    La diagnosi ha una funzione fondamentale nell'attività medica: disciplina l'intervento degli esperti e allo stesso tempo determina delle conseguenze sociali, introducendo una nuova situazione nel vissuto esperenziale degli individui e individuando essenzialmente una patologia riconosciuta dal sapere medico. Quando ci riferiamo alle "radici culturali della diagnosi" dobbiamo allora affrancarci dalle definizioni e dai discorsi del sapere medico, non accettarli semplicemente come determinazioni dello stato di salute e del comportamento sociale di una realtà percepita in funzione del corpo biologico e sociale dell'individuo, ma comprenderli in quanto costruzione di categorie sociali della conoscenza, sottoposte ad un processo storico e culturale che caratterizza i confini volubili tra il normale ed il patologico. L'attività psicodiagnostica "... rende le cose maledettamente complicate. La psicodiagnosi è in effetti un campo di competenze che fornisce un giudizio sulle condotte umane in relazione a una distinzione semantica del tipo normale / patologico che si va almeno parzialmente a sovrapporre alla semantica del giudizio morale." (Pietro Barbetta, Capitolo Primo, Il discorso filosofico della diagnosi, p.20)

    La decostruzione del discorso filosofico e medico della diagnosi ci permette di sviluppare una capacità analitica, ci orienta alla comprensione delle conoscenze e delle categorie sociali che caratterizzano i processi storici culturali e politici. Gli individui, collocati e definiti dalle loro interazioni intersoggettive e dalle proprie traiettorie sociali, si determinano attraverso l'adattamento o la discordanza con un certo tipo di comportamento e di personalità: "si tratta di riconoscere che le forme del pensiero intorno alle condotte morali sono molteplici, contestuali e interne a comunità etiche differenti." (Pietro Barbetta, Capitolo Primo, Il discorso filosofico della diagnosi, p.22) Congiuntamente alla sovrapposizione dell'etica e del giudizio morale nel discorso sulla diagnosi, la produzione delle categorie sociali di salute e malattia, insieme alla demarcazione tra comportamento normale e patologico, si costruiscono e si trasformano in funzione dei contesti sociali e culturali. L'analisi dei bisogni delle persone sofferenti, fondata su una semiologia della patologia dei soggetti, il sistema di categorie mediche, esclude normalmente le interazioni tra contesti sociali e ambientali ma "noi siamo materialmente interazioni in un processo di continuo cambiamento nel tempo." (Michele Capararo, Capitolo Secondo, Il discorso medico sulla diagnosi, p.52) Non bisogna quindi sottovalutare questi processi nel rapporto tra società e salute mentale, mettendo in evidenza le dinamiche interpersonali tra individui e gruppi.

    La salute, la salute mentale in modo specifico, costituisce l'essenza di una persona e condiziona la stessa capacità dell'individuo di esistere nella società, è quindi una qualità primaria da cui dipendono le caratteristiche dell'individuo. La salute è di conseguenza primordiale e condizione essenziale dell'avvenire, mentre la malattia è un ostacolo nella traiettoria dell'esistenza individuale poiché caratterizza, all'opposto, una privazione nell'esistenza individuale e sociale. "Ogni malato è un pericolo per la nostra appartenenza al gruppo dei sani, soprattutto se la malattia è inspiegabile o incurabile da un punto di vista scientifico." (Michele Capararo, Capitolo Secondo, Il discorso medico sulla diagnosi, p.58). L'esperienza della malattia è quindi vissuta in una dimensione emotiva carica di apprensioni e di reazioni di fronte alle difficoltà da sormontare per ridurre il deficit e lo svantaggio, le conseguenze fisiche, psichiche e sociali. Analizzata come problema politico, capacità e controllo sociale della devianza, la psichiatria modifica e condiziona i sentimenti, le azioni ed i pensieri, in quanto strumento di giustificazione dell'esclusione e del controllo sociale, ma si rinnova come risposta sociale iniziando ad elaborare una concezione della salute mentale finalizzata alla partecipazione attiva dei soggetti più fragili ed alla promozione di una cittadinanza reale. "Quindi la diagnosi psichiatrica è un'ipotesi che deve essere messa in discussione perché la scienza ricominci a sperimentare altre ipotesi ora schiacciate dal peso politico e non scientifico di tale strumento." (Michele Capararo, Capitolo Secondo, Il discorso medico sulla diagnosi, p.73)

    Il riferimento alla malattia come confluenza e interazione di differenti livelli, biologico, psichico, sociale e culturale, ci aiuta ad esaminare l'isteria come esempio della frattura di un equilibrio che interessa entrambe queste dimensioni: dove l'intersoggettività è considerata come analisi del rapporto tra organismo e ambiente, un rapporto complesso tra dimensioni organiche e relazionali. Si tratta di una lettura dell'isteria che va oltre "l'inquadramento scientifico della malattia e la sua definizione come malattia ..." per non escludere "... tutte le altre possibili letture del fenomeno e riduce a livello di espressioni sintomatiche qualsiasi altra descrizione." (Gabriela Gaspari Boi e Teresa Arcelloni, Capitolo Terzo, Isteria, isterodemonopatia, possessioni, p.81) Ripensare la clinica e l'intervento psicodiagnostico in una prospettiva d'inclusione e prevenzione, significa riconoscere l'emergere di un nuovo rapporto con il mondo e con gli altri là dove gli individui risentono delle fratture generazionali e identitarie della nostra società: "... i malati sfidanti sono in genere donne, adolescenti, nuove forze e identità sociali che cercano una visibilità, ma non hanno voce per esprimersi." Queste sfide non sembrano trovare altri spazi d'espressione ed elaborazione se non quelli della medicina e della psichiatria, diventa quindi essenziale comprendere come "la sfida oggi non è più nella diagnosi, ma nei provvedimenti terapeutici che ne conseguono." (Gabriela Gaspari Boi e Teresa Arcelloni, Capitolo Terzo, Isteria, isterodemonopatia, possessioni, p.100)

    I significati che la società occidentale attribuiscono all'anoressia e al lesbismo sono anch'essi analizzati come ulteriore esempio di lettura delle "radici culturali della diagnosi", prendendo in esame i linguaggi maschili, da quelli della religione a quelli medici, e facendo rilevare come la comunicazione abbia costruito l'idea d'identità femminile ed in che modo si sono costruite la nozione di anoressica e quella di lesbica. Una notevole analisi documentaria consente di analizzare storicamente il significato attribuito alla figura dell'anoressica e della lesbica: le autorità religiose del tardo Medioevo non valutavano nocivi, ad esempio, i comportamenti anoressici che equivalevano ad "un modello di santificazione femminile", mentre l'anoressica "si va gradualmente trasformando in strega nel Quattro-Cinquecento, per confondersi poi con l'isterica nel XIX secolo." (Elisabetta Manini, Capitolo Quarto, Anoressia e lesbianism, p.105) L'omosessualità femminile diviene una patologia medica con l'affermarsi del modello eterosessuale ma le origini della "medicalizzazione del lesbismo ... sembra dunque avere radici molto lontane nel tempo e s'inserisce all'interno di un contesto pagano in cui diverse filosofie ascetiche come il pitagorismo, lo stoicismo, l'epicureismo, consideravano ogni pratica sessuale, sia etero sia omoerotica, dannosa per la salute." (Elisabetta Manini, Capitolo Quarto, Anoressia e lesbianism, p.109)

    L'imitazione del modello della santa anoressica che prima consentiva alle donne di trascendere la propria natura, di avvicinarsi a dio, fu fatto valere inizialmente dalle ecclesiastiche come "digiuno ascetico - mistico" e successivamente dalle laiche come "digiuno miracoloso - secolare": "ciò che nei secoli passati era stato interpretato dalla Chiesa stessa come uno strumento divino per ottenere la santità, divenne nel periodo della Controriforma anzitutto uno strumento del demonio, e dalla santa anoressica si giunse alla strega." (Elisabetta Manini, Capitolo Quarto, Anoressia e lesbianism, p.113) Le immagini sulla donna, quando all'autorità religiosa si affianca e le succede quella medica, si modificano nel tempo: al digiuno volontario come comportamento di santità nel medioevo subentra, nel rinascimento, l'associazione dell'anoressica alla stregoneria, laddove per la società moderna la donna che pratica il digiuno ha bisognoso di cure in quanto il suo comportamento è associato all'isteria ed alla follia. "Questa continua ricerca di una cornice epistemica in cui inserire la differenze al fine di renderla dicibile e più coerente si fonda su un sistema binario che trasforma l'esperienza indicibile in qualcosa di familiare. ... La condotta anoressica - come quella isterica nell'Ottocento - può essere considerata una sfida alle norme dominanti di salute e benessere." (Elisabetta Manini, Capitolo Quarto, Anoressia e lesbianism, p.129)


    SCHEDA BIBLIOGRAFICA

    [ Le radici culturali della diagnosi / a cura di Pietro Barbetta, Meltemi, Collana Ricerche, Roma, 2003, 143p. ]

    PRESENTAZIONE DELL'AUTORE

    Pietro Barbetta insegna Psicologia clinica all'Università di Bergamo ed è didatta presso il Centro milanese di terapia della famiglia. Membro del Comitato scientifico del Master sull'Immigrazione dell'Università Ca' Foscari di Venezia, coordina, presso l'Università di Bergamo, il Forum di ricerca sulle matrici culturali della diagnosi.

    ABSTRACT

    "Questo libro costituisce il primo approccio italiano alla costruzione di un discorso culturale sulla diagnosi e intende offrire un significativo contributo alla riapertura di un dibattito avviato da Michel Foucault e da Gregory Bateson e precocemente abbandonato: quello sull'importanza della storia sociale, dell'antropologia culturale e degli studi sulla comunicazione in relazione all'insorgenza, alla definizione e alla cura della psiche. In un certo senso, il volume riprende alcuni aspetti della ricerca di Ernesto de Martino. Allo stesso tempo, si aggancia agli studi di autori dell'area anglosassone (Dwight Fee, Arthur Kleinman, Marcelo Pakman) e nordafricana (Mohammed Boughali, di Ghita El Khayat o di Néjia Zemni). Nella prima parte del volume vengono indagati e decostruiti, rispettivamente da Pietro Barbetta e Michele Capararo, i fondamenti filosofici e medici della diagnosi, mentre nella seconda Gabriela Gaspari Boi e Teresa Arcelloni sondano la singolare "evanescenza" culturale di alcune categorie diagnostiche "femminili" - come l'isteria e le possessioni - ed Elisabetta Manini riflette sulle due figure dell'anoressica e della lesbica, che contestano radicalmente l'idea della femminilità costruita dal discorso maschile."

    INDICE

    Introduzione (Pietro Barbetta)

    Parte Prima: Le forme del discorso diagnostico
    Capitolo Primo: Il discorso filosofico della diagnosi (Pietro Barbetta).
    Capitolo Secondo: Il discorso medico sulla diagnosi (Michele Capararo).

    Parte Seconda: I generi nel discorso diagnostico
    Capitolo Terzo: Isteria, isterodemonopatia, possessioni (Gabriela Gaspari Boi e Teresa Arcelloni).
    Capitolo Quarto: Anoressia e lesbianism (Elisabetta Manini).

    Bibliografia

    LINK

    Sul sito della casa editrice Meltemi è possibile scaricare un estratto dell'introduzione al saggio curato da Pietro Barbetta:
    [ www.meltemieditore.it/nuovo/libri/special.asp?codice=308 ]
    [ www.meltemieditore.it/nuovo/PDFfiles/R036.pdf ]


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    M@gm@ ISSN 1721-9809
    Indexed in DOAJ since 2002

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