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    M@gm@ vol.1 n.4 Ottobre-Dicembre 2003

    CONSUMO E POST-MODERNITÀ: RIFLESSIONI A PARTIRE DA ALCUNI VOLUMI RECENTI


    Paolo Dell'Aquila

    p.dellaquila@nettribe.it
    Ha conseguito il dottorato di ricerca in Sociologia e Politiche sociali, presso l'Università di Bologna, dove ha poi svolto attività post-dottorato con una borsa di studio in Scienze Politologiche e sociali; è tutor presso il corso di Economia di Internet dell'Università di Bologna (sede di Forlì) e conduce attività di ricerca e formazione presso varie società pubbliche e private; ha pubblicato i volumi "Verso un'ecologia del consumo" (Milano, Angeli, 1997) e "Tribù telematiche" (Rimini, Guaraldi, 1999) e cura il sito www.NetTribe.it.

    1. Gli anni Ottanta ed il consumatore bulimico

    In questo articolo intendiamo svolgere alcune riflessioni sulla trasformazione culturale che ha introdotto in Italia un nuovo idealtipo di consumatore post-moderno. A questo fine terremo in particolare riferimento le opere di Fabris, Il nuovo consumatore verso il postmoderno [2003] e di Secondulfo, Per un sociologia del mutamento culturale [2001]. Dal punto di vista del marketing, molto importanti risultano le opere di Bernard Cova [2003] e di Cova V. e B. [2001].
    La nostra ipotesi di lavoro è che gli anni Ottanta conducono alla scoperta del valore simbolico dei beni, i quali divengono pienamente capaci di definire non posizioni sociali ma identità individuali. A differenza di quanto succedeva negli anni precedenti, quando le merci identificavano degli status sociali, marcando le differenze tra una classe e l'altra [Baudrillard 1976; Codeluppi 1989; Di Nallo (a cura di) 1997], oggi esse non connotano più degli enti collettivi, ma degli stili individuali.
    Il consumo si allarga, diviene polimorfico, capace di riscoprire tutte le valenze simboliche del bene, le sue componenti soft. Per il quarto uomo post-moderno il "valore-consumo" è un mezzo di fruizione ma anche una nuova escatologia [Morra 1992]. La fruizione delle cose diviene un fine in sé, una categoria fondante dell'io.
    Il rapporto con l'oggetto permette la costituzione di un insieme di significati, di un linguaggio sociale, che consente di scambiare informazioni, e di dare ordine e senso all'ambiente socio-culturale, come hanno visto M. Douglas e B. Isherwood [1984].
    Tramite il linguaggio simbolico del consumo si può dar vita alla pluralità di identità individuali ed intersoggettive, rispettando le differenze, codificando e ricodificando gli stili di vita. Se l'attore sociale appare sempre più instabile, più s-paesato, il consumo diventa un modo per conferire un senso al mondo sociale, per riconquistarsi una sfera giudicata più sicura. Certo l'identificazione estetica è spesso incapace di ridare un fondamento stabile ad un''identità smarrita', ma comunque è in grado di garantire ad essa una certezza, un approdo che poi sarà superato nella girandola di innovazioni tipica del narcisismo contemporaneo [si vedano i volumi di Bell, 1983; Sennett 1982; Lasch 1982, 1985; Lipovetsky 1983, 1989; Weil 1990, 1993].
    La democratizzazione degli stili di vita abolisce l'identificazione in uno status, rendendolo invece una ricerca di senso personale, centrata sul sé. Come scrive Fabris [2003: p. 72], "la materia si confonde nell'universo dei segni e diviene essa stessa segno". Il consumatore egoriferito utilizza delle icone sociali per definire il proprio sé. Dagli status symbol si è passati agli style symbol, dall'identificazione in un ceto alla differenziazione simbolica di identità deboli, ma comunicativamente ben individuate.
    Dagli anni Ottanta fino ad oggi, però, si è avuto un mutamento dei modelli di consumo simbolico. Nel decennio scorso predomina l'io narcisista, che si accompagna ad un tipo di consumo "autoriferito". D. Secondulfo, nella sua analisi della valenza simbolica degli oggetti, distingue questo tipo di consumo in quanto esso esprime l'uso degli oggetti come proiezioni dell'io. Al di là dei casi più patologici (come quelli ostentati da Lasch), "gli oggetti, in questo tipo di comunicazione, funzionano da amplificatori della personalità individuale, sottolineandone gli aspetti privati, decifrabili unicamente dalla persona che in essa si specchia, o da una ristrettissima cerchia di partner" [Secondulfo 1990: p. 145]. Il consumo autoriferito si demarca però da quello più "patologico", in quanto la proiezione di significati sociali sugli oggetti (e la successiva introiezione) viene effettuata a partire dalla potenzialità mitopoietica del singolo, il quale può adattare il contenuto simbolico dei beni fruiti.
    L'individuo può cioè utilizzare codici e significati provenienti da fonti differenti per creare ed introiettare nuovi mix e nuove significazioni che rispecchino il proprio ego, il proprio stile di vita.
    Le personalità più patologiche, invece, sono incapaci di reinterpretare i significati simbolici degli oggetti e si lasciano "parlare dalle merci", anziché parlare attraverso di esse. Il consumo autoriferito presuppone quindi una capacità di interagire con i beni, di creare nuovi mondi sociali, nuove tribù interpretative. Il narcisismo, in senso stretto, è invece basato su questa incapacità di generare nuovi significati e su una fusione regressiva del sé con degli oggetti [Lasch 1981; Sennett 1982].
    Al di là dei casi clinici, è indubbio che il consumo autoriferito sia alla base della società italiana degli anni Ottanta. L'attore sociale, polarizzato fra pubblico e privato, tende sempre a proiettare sui beni dei significati riferiti a se stesso, reintroiettandoli poi come sostegno ed ampliamento del proprio io [Miller 1987].
    Un esempio di questo tipo è nell'arredamento, che diviene quasi una seconda pelle atta ad esprimere lo stile di chi lo sceglie. Arredare è come dare alla propria identità una dimensione esterna, sintetizzare tutti i caratteri tipici di chi vive in un luogo, creare una autoimmagine del sé [vedi Piromallo Gambardella e Savarese (a cura di) 1985].
    "Negli anni Ottanta la frammentazione del mercato procede di pari passo con la frantumazione dell'identità e con l'avvento del consumatore multidimensionale, nell'ambito di una realtà materiale che non è più segnaletica ma mimica, all'interno della quale gli oggetti ed i prodotti simulano e mimano il valore e la qualità invece di riprodurli" [Morace 1990: p. 109].
    Secondo P.Weil in questi anni prevale un consumismo sfrenato, basato su un immaginario della fusione e dell'amalgama. Le capacità di cercare dei giochi combinatori, dei mix di diversi codici, darebbe origine alla fase "post-moderna" in cui tutte le gerarchie cadono e si inaugura un sincretismo che unisce i contrari. Scompare, dunque, la logica gerarchica, antinomica della modernità e si sviluppa una logica multidimensionale, estetica, iperreale, come nota anche Secondulfo nella sua recente analisi [2001].

    2. L'edonista virtuoso

    Con gli anni Novanta cambiano il clima socio-culturale e le condizioni economiche e si verifica una importante svolta nel consumo: si diffonde un atteggiamento più maturo, imperniato sulla costruzione di un progetto di consumo individuale. Il nuovo "edonista virtuoso" [Cutolo 1989] sviluppa una rigorosa autodisciplina ed una maggiore capacità selettiva. Si crea così un rinnovato equilibrio fra piacere individuale e doveri sociali. Di conseguenza, si sviluppa un'ecologia del consumo che punta all'autoconsapevolezza ma anche alla qualità più alta. Oggi si diffondono sempre più comportamenti sociali caratterizzati da uno "stile etico soft", che ispira una ritrovata solidarietà sociale, un senso d'appartenenza che conduce all'autoregolazione, alla ricerca di nuovi codici di convivenza.
    L'età post-moralista riesce a combinare seduzione e razionalità, effimero ed ideale, per presentare una nuova alleanza, un nuovo immaginario sociale. Il dominio della tecnica si può così riconciliare con il gioco, la strumentalità con il fattore soft, l'autonomia con l'apparenza [si vedano Morace 1990, 1996; Lipovetsky 1992].
    E' il trionfo, quindi, di un nuovo immaginario più sobrio, più votato a creare una "ecologia della comunicazione". L'immaginario dell'Alleanza, del legame, della conciliazione, della negoziazione, si contraddistingue perché non tende al sincretismo, al mix di codici diversi, ma ad articolare dialetticamente le contrapposizioni [Weil 1993]. Alla logica della frammentazione si sostituisce una logica dell'autogoverno, tale da assicurare maggiore razionalità, ma anche maggiore qualità. L'individuo riesce a gestirsi in modo più olistico, come sistema in interscambio con un ambiente (naturale, sociale) ed ad integrarsi meglio nei vari ambiti. Aumenta la capacità di governare in modo manageriale i vari ruoli, di essere imprenditore di se stesso, coniugando meglio il pubblico ed il privato, il tempo libero ed i ruoli istituzionali.
    La società da 'proliferante' diviene 'misurata' ed i consumatori si professionalizzano, informandosi di più rispetto alle opzioni possibili in tutti i comportamenti sociali ed acquisendo perciò una maggiore coscienza critica di sé.
    Il rinascimento del corpo e della sensorialità si può accompagnare con la crescente astrazione immateriale dei modelli operativi e gestionali. La tecnologia, la razionalità si accompagnano alla fisicità sensoriale, secondo il connubio high tech/soft touch. Alla tecnica si richiede ora che sia ecocompatibile e non predatoria nei confronti della natura; che sia amichevole e coerente a un sistema di bisogni articolato e complesso.
    Le frontiere del consumo vanno pertanto in una direzione che integra qualitativo e quantitativo, fisico e psichico, polisensualismo e semplicità. Il controllo di sé, il sapere disciplinare il corpo, si accompagnano al sapersi presentare bene, alla gestione dell'apparenza. Il piacere, allo stesso modo, non si oppone più ma si integra alla performance, alla competizione [Fabris 1995].
    Nei primi anni Novanta, come da noi notato in Verso un'ecologia del consumo [1997], segmenti ampi della popolazione si sono orientati verso comportamenti bargain oriented, tali da rapportare il prezzo al tipo di soddisfazione ricevuta. In tempi più recenti, come nota Fabris [2003], il minimalismo, il ritorno verso il basico tendono ad attenuarsi e riaffiorano orientamenti più orientati alla rappresentazione del lusso. Si sviluppa l'idea che una cultura del 'make-do' [Balbo (a cura di) 1994], debba comunque essere sviluppata solo quando si ha un elevato statement.
    Rimane comunque fondamentale l'equilibrio olistico fra salute e bellezza. Gli alimenti vengono quasi ad integrare le medicine, inaugurando un continuum fra prevenzione della malattia e regolazione dell'organismo, grazie alle medicine omeopatiche, all'alimentazione light. La prevenzione, a sua volta, si integra con la ricerca della forma che non è più solo fitness, ma combinazione di immagine esteriore e di star bene interiore. La medicina diviene così olistica, diventa un mezzo di autoregolazione che allea sanità e bellezza, apparire e sentirsi in forma [Weil 1993].
    Ciò che caratterizza soprattutto l'Italia è infatti un orientamento verso l'ecopragmatismo che intende riconciliare il rispetto della componente naturale con l'accettazione dell'industria e dei suoi prodotti. La sensibilità ambientale si collega all'attenzione alla salute ed ai nuovi rapporti sociali. In questa ottica si può leggere la diffusione delle associazioni consumeriste e la tensione verso uno sviluppo "compatibile" o "sostenibile". Qui sembra profilarsi una nascente etica della responsabilità, che prende coscienza dei limiti della crescita. Come ha notato Jonas, il nuovo imperativo etico promuove azioni tali da essere compatibili con lo continuazione di una vita autenticamente umana [Jonas 1990]. Il fiorire del commercio equo e solidale testimonia la capacità del consumatore di essere più attento alla delocalizzazione produttiva, alle produzioni autoctone, al risparmio energetico [Perna 1998; Gesualdi 1999; Dell'Aquila 2001].
    In questo quadro, appare chiaro che gli oggetti negli anni Novanta assumono sempre più un ruolo di stimolo a costruire un progetto di consumo unitario e non di segno superficiale. I beni riescono a realizzare più compiutamente il connubio fra materiale ed immateriale, fra componenti soft ed hard, nel segno di una nuova capacità di autoregolazione 'totale'.
    La sensibilità ecologica e l'immaginario dell'Alleanza che essa racchiude dimostra come il consumatore adotti una strategia di fruizione attiva del prodotto, che gli permette di costruirsi nuovi stili di vita, nuovi mondi sociali.
    Si può quindi concludere che con la seconda fase del post-moderno si è passati dal prodotto mimico, legato alla simulazione superficiale, ad un prodotto maieutico, capace di stimolare il consumatore a ritrovare un sé, integrando elementi materialistici e post-materialistici.
    L'edonista virtuoso [Cutolo 1989; Siri 1995] trova nell'interazione con il prodotto la possibilità di dar vita a comunità di gusto che creino e ricreino dei sistemi simbolici molteplici. Si potrà quindi dialogare meglio con la materia, a livello sensoriale, razionale, sentimentale, per costruire e distruggere molteplici mondi sociali.

    3. Il cibo, la globalizzazione e le tribù del consumo

    Particolarmente interessanti per la nostra tesi sono alcune ricerche effettuate con un taglio socio-antropologico sulle nuove tribù del consumo. Queste ultime si contraddistinguono per essere fondate su un'estetica collettiva (di una ambiance o Stimmung) che le identificano, dando ad esse una loro unicità. La teatralizzazione degli oggetti, più volte studiata da Maffesoli [1988, 1993a, 1993b], li trasforma in potenti mezzi di espressione dell'identità di gruppo e di una socialità in progress.
    Bernard Cova [2003 e con V. Cova, 2001], collegandosi a queste riflessioni, costruisce un nuovo modello di marketing tribale che pare maggiormente adattarsi ad un consumatore capace di costruirsi propri mondi sociali e di opporsi alle marche. Qui fondamentale è sviluppare un'etnografia mirata alla scoperta dei gruppi (che possono o meno essere on-line), verificandone le loro strategie di aggiramento delle grandi multinazionali. Questo approccio è più profondamente relazionale e capace di scoprire il potere di controinformazione di cui sono dotati i consumatori, che, riunendosi in tribù, possono contrattare con le aziende. La nuova relazione che si instaura fra consumo e produzione è quindi più tendenzialmente bidirezionale, two-way e permette all'edonista virtuoso di riappropriarsi della propria creatività ed intelligenza.
    Uno degli esempi che si possono portare è quello del cibo, che, anche nelle culture premoderne [vedi Mauss 1991] ha sempre avuto un valore fusionale, comunitario, di intima relazionalità. Il cibo è il simbolo della sfera relazionale comunitaria e segna la fusione simbolica degli uomini in comunità. Nella prima fase della post-modernità (anni Ottanta) si sono diffusi anche in Italia prodotti generalisti, sull'onda della globalizzazione.
    Con questo fenomeno si intende una chiara accelerazione ed aumento di consistenza dei flussi di capitali, di merci e di persone fisiche. Tutto ciò conduce a riorganizzare lo spazio sociale, che è sempre meno caratterizzato da contiguità territoriali, a favore invece di funzionalità sistemiche e mediazioni culturali. Allo stesso modo il tempo sociale perde la sua profondità, diviene reversibile, contingente e si verifica un annullamento della variabile spazio. Si genera così una "compressione spazio-temporale" [Harvey 1991; Giddens 1994], che pare finalmente dar vita al "villaggio globale" di McLuhan. Si diffondono prodotti come la Coca Cola, favorita dalla sua indeterminatezza e dalla sua interculturalità e come gli Hamburger [Ritzer 1993], che si caratterizzano per l'inserimento della carne in un tempo ed uno spazio opposti a quelli tradizionalmente accettati dalla nostra cultura. Il trionfo del fast food si è accompagnato ad una cultura dell'istantaneità, che è sembrata in un primo momento omogeneizzare i flussi comunicativi in un melting pot a livello planetario.
    La società in rete [Castells 2002a] con il passare degli anni sembra però declinarsi sempre nei termini di tanti nodi glocali interconnessi. Alle spinte verso l'universalismo sono seguite più recentemente quelle verso la localizzazione, la ricerca dell'autoidentificazione da parte delle comunità locali. Il localismo ha condotto alla riscoperta di un salad bowl, di un'insalatiera etnica, che sa mixare elementi differenti e che incrocia le identità storiche con i flussi macroeconomici [vedi Featherstone 1991, 1995; Cesareo (a cura di) 2000; Giaccardi e Magatti 2001].
    Al trionfo del fast food si oppone il ritorno dello slow food, la rivalutazione dei cibi locali e tradizionali. L'edonista virtuoso, come suggerito da Secondulfo [2001] sa quindi muoversi fra piatti freddi e caldi, scegliendo di volta in volta lo stile di vita che più gli si addice. Se talvolta ricorre al McDonald's per la professionalità, la cortesia, l'efficienza e la disponibilità, in altri momenti può rivolgersi al pasto più tradizionale e lento (lo slow food). La capacità di coniugare pasti diversi, diversificandoli, è la sfida a cui stiano assistendo oggi ed è una conseguenza di quel processo di globalizzazione che ha dato risultati imprevedibili anche in altri campi. Si può solo accennare al fatto che le comunità virtuali, ritenute a torto solo "pseudocomunità" [Paccagnella 2000] prive di una socialità reale, in ceti casi si sostanziano in legami interpersonali locali, a discapito delle distanze fisiche. Il formarsi di gruppi sempre più "egoriferiti" sembra oggi favorire lo sviluppo di tribù telematiche "glocali", nate da interessi comuni, ma esistenti anche al di fuori dalla rete (al variare della geografia urbana), come testimoniano studi di Castells [2002b], di Keeble e Loader [Keeble e Loader (eds.) 2001], di Katz e Rice [2002] e di Wellman e Haythorthwaite [(eds.) 2002]. Sarà necessario anche qui studiare, come iniziato da Picci [1999] e dal sottoscritto [1999] i complessi rapporti fra virtuale e reale, per analizzare i nodi del "localismo" digitale, a partire dalle associazioni telematiche, per finire con gli "strani anelli" generati dai weblog o dalle reti civiche.
    L'evoluzione degli ultimi anni appare comunque testimoniare il passaggio dal consumatore bulimico ad un edonista virtuoso, che, sapendo gestire differenti province finite di significato, è più capace di sviluppare progetti di consumo coerenti, riunendosi in gruppi complessi ed uniti da una comune estetica.


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