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  • Approccio dal basso e interculturalità narrativa
    Orazio Maria Valastro (a cura di)

    M@gm@ vol.1 n.2 Aprile-Giugno 2003

    STORIE DI VITA Emigrazione, coppie miste e incontro interculturale


    Orazio Maria Valastro

    valastro@analisiqualitativa.com
    Presidente Osservatorio dei Processi Comunicativi, Associazione Culturale Scientifica (www.analisiqualitativa.com); Dottorando di Ricerca all'IRSA-CRI (Institut de Recherches Sociologiques et Anthropologiques - Centre de Recherches sur l'Imaginaire) presso l'Università degli Studi ''Paul Valéry'' di Montpellier; Laureato in Sociologia (Università degli Studi René Descartes, Parigi V, Sorbona); Fondatore, Direttore Editoriale e Responsabile della rivista elettronica in scienze umane e sociali "m@gm@"; Collaboratore e Membro del Comitato Scientifico della "Revue Algérienne des Etudes Sociologiques", Université de Jijel-Algeria; Sociologo e Libero Professionista, Studio di Sociologia Professionale (Catania).

    1 Traiettorie sociali composite e differenze culturali: i progetti migratori nell'esperienza degli italiani negli anni sessanta, relazioni coniugali e coppie miste

    La proposta di alcuni estratti delle biografie riportate in questo testo è un invito, e al tempo stesso una sollecitazione, a considerare come sia importante, in questo particolare contesto storico e sociale, promuovere una cittadinanza attiva della memoria, delle memorie interculturali [1], nel riconoscimento delle comunanze e nell'individuazione di territori esistenziali condivisi. La storia di vita del Signor Nino ci consente di individuare, nell'esperienza comune di molti italiani del sud dell'Italia subito dopo la guerra, come alcuni progetti migratori si costruirono nel tentativo di cercare migliori condizioni di vita e di lavoro all'estero per sé e per gli altri membri della propria famiglia. Soffermarsi su quete esperienze e memorie significa riflettere sulle comunanze con altri persorsi simili, di altri migranti e attuali immigrati, evidenziando delle cosiddette universalità biografiche come veicolo educativo e confronto interculturale.

    Il racconto di una coppia mista, composta da due coniugi di nazionalità e appartenenze sociali, culturali, religiose ed etniche differenti, rappresenta una relazione dove si confrontano delle differenze culturali, individuando delle realtà sempre più numerose che si pongono oggi come un importante indicatore delle società interculturali, rivelatrici dei processi di comunicazione interculturale. Possiamo cogliere in questa particolare esperienza un percorso comune di crescita consapevole dove si sviluppa il dialogo, il confronto e l'incontro. E' da una particolare comunanza nel modo di concepire se stessi e la vita che le differenze culturali diventano una risorsa per entrambi e non un problema, una risorsa per crescere e confrontarsi, quando queste stesse differenze non sono percepite come dei limiti o dei difetti della relazione ma sono invece percepite come una fonte di ricchezza reciproca.

    2 "Hai capito? Brutta vita ho passato": la storia di vita del Signor Nino

    L'esperienza lavorativa: il valore di una vita, da 'caruso' delle cave a operaio specializzato

    L'incontro con la realtà lavorativa inizia molto presto per il Signor Nino. Ha una prima esperienza a sei anni. come garzone e come apprendista calzolaio in seguito. "Già da quando ero picculo, a sei anni in una sartoria, per scopare tutte le rimasuglie di stoffa che c'erano per terra. Appòi [dopo], sette anni, sette anni e qualche cosa, ero a fare il calzolaio e mi mandavano a comprare il pane per esempio, i compagni di lavoro, i compagni, i mastri, i mastri calzolai, mi mandavano a comprare il pane e allora, con la fame che c'era, io prendevo tutti quei pezzettini che uscivano attorno alla formella del pane e me li mangiavo io."

    In quegli anni i 'carusi' siciliani, bambini e adolescenti, trovavano lavoro nelle cave della città. "Poi so cresciuto logicamente, a ... a undici anni, undici anni e qualche cosa, lavoravo per guadagnare la gallina in una cava di pietra, a trasportare pietre addosso." Le esperienze di lavoro si sviluppano parallelamente al percorso scolastico, inizialmente sono discontinue, fino all'età di undici anni. "E guadagnavo, là guadagnavo quattro lire, perché quando ero nella cava di pietra, mi rava [mi dava] mezza lira al giorno mi dava, e facevo mezza giornata a scuola e mezza giornata nella cava."

    Durante il periodo dello sfollamento, a quattordici anni, il Signor Nino lavora nelle miniere di zolfo. "Avevo compiuto quattordici anni e allora, siccome ero senza padre e avevo una sorella più piccula, allora i miei parenti hanno detto, 'tu devi scegliere fra due lavori, o te ne vai a fare il bovaro, e poi di notte ti devi alzare, devi accudire le bestie e poi di giorno, e di giorno forse dormi ma sempre devi badare alle bestie, o se no nella miniera di zolfo'. Allora io ho scelto la miniera di zolfo, ci ho lavorato per un po' di tempo, (...)." Rientrato a Catania, a guerra finita, inizia a lavorare come manovale nell'edilizia, occupazione che manterrà anche in seguito fino al momento dell'entrata in pensione. "Poi ... son venuto a Catania, dopo guerra finita, son venuto a Catania. A Catania già avevo compiuti, no ancora non li avevo compiuti, avevo meno di diciassette anni, meno di diciotto anni. Ho cercato un posto a lavorare, come garzone, nelle fabbriche nell'edilizia (...) ."

    L'esperienza lavorativa nel settore dell'edilizia è segnata anche da migrazioni in altre nazioni. Il Signor Nino si trasferisce in Germania per ben due volte, e poi in Francia, negli anni sessanta. " (...) ho dovuto emigrare in Germania per lavorare. Dopo, in Germania, logicamente non c'era il guadagno che si aspettava in confronto, cetto [certo], se c'era il lavoro qua a Catania era meglio lavorare a Catania, che non era tanto il guadagno, quanto quello che soffriva una persona, no? Lontano da casa. E poi, purtroppo, sono ritornato, ma lavoro a Catania come sempre non ce n'era. Son dovuto andare, son dovuto andare in Francia, un'altra volta sono stato sei mesi, la paga non era soddisfacente e me ne sono andato a casa, me ne sono ritornato qua a Catania (...)."

    La consapevolezza dei rapporti di forza: lo sfruttamento minorile e la condizione operaia

    La consapevolezza della realtà lavorativa, il lavoro minorile nelle cave e nelle miniere, è presente nelle riflessioni del Signor Nino sulla sua esperienza di 'carusu' delle cave. "Cci ràunu a spisa [ci davano la spesa], appòi [dopo], per invogliarci a fare di più a tutti i bambini ci davano il soprannome di Orlandino o Astolfo, Rinaldino. Tutti i nomi dei pupi [marionette], dell'opira i pupi [del teatro delle marionette], picchì [perché] erano eroi chiddi [quelli], i pupi [le marionette], no? Di conseguenza, chi era Orlando doveva rendere di più, perché era eroe, era chiddu i [era quello di] Carlomagno, era u paladinu [il paladino] più forte nâ [nella] storia, chiddu cchiù scaltro ca era cchiù furbu [quello più scaltro che era il più furbo] era, come si dice, Rinaldino. Appòi [dopo], quannu iù ncuminciai a capiri [quando io cominciai a capire], picchì a prima tuttu fui [perché prima di tutto fui] Rinaldino io, perché ero più furbo, circavu [cercavo] di scansare, quando ho capito che ci sfruttavano, con questo nomu accussì [nome così] ci sfruttavano di più, picchì iddi accussì [perché loro così] ci invogliavano a cùrriri [correre], a vìnciri [vincere], a superare a chiddu [a quello], a superare a quell'altro (...)"

    I rapporti di lavoro tra i minori e gli adulti traspaiono nella narrazione che riprende l'allegoria dell'opera dei pupi. "Perciò, appòi iù u capì ca cci sfrùttunu [dopo io lo ho capito che ci sfruttano], iù [io] malgrado ciò ca [che] ero ragazzo, tutti sti cosi i pinzava ca cci sfrùttunu [tutte queste cose le pensavo che ci sfruttano], e allora, mano a mano mi sono buttato da parte, no che non lavoravo, lavoravo, solo che non correvo e facevo finta di cadere, e di fatti mi hanno nominato, soprannominato, invece di Rinaldino Astolfu, Astolfu ca [che] era Astolfo, ca [che] era sempre il cavaliere, era Astolfu purtroppo quando non ce la faceva con un altro dice, 'mi è scivolato il cavallo, ho messo il piede in fallo', tutte le scuse i truvava iddu [le trovava lui], e io ero così, magari, allora mi hanno soprannominato Astolfu."

    Per contrastare i rapporti di forza che operano in questo stesso contesto lavorativo e nelle condizioni del lavoro minorile, si forma il comportamento disubbidiente e indocile del 'caruso' della cava. " (...) perché poi ho bisticciato, perché io ero un tipo un pochettino ribelle, ho bisticciato col principale, perché lui mi ha bastonato e io ci ho buttato, nuatri dicemu un còfinu di petri [noialtri diciamo una cesta di pietre]. Acchianai supra a roccia e cci iittai tutti e appòi mi-nni scappai [sono salito sopra la roccia e gliele ho buttate tutte e dopo me ne sono scappato] (...)." A quattordici anni, quando il Signor Nino inizia a lavorare nelle miniere di zolfo, s'iscrive al partito comunista manifestando con questa sua scelta la sua insofferenza e avversione verso la sua stessa condizione. "Allora io ho scelto la miniera di zolfo, ci ho lavorato per un po' di tempo, poi sai com'è uno che è giovane, sente parlare di socialismo, comunismo, eccetera, e mi sono iscritto al partito. Io avevo delle idee purtroppo un po' ribelli, e dopo, siccome scarabocchiavo tutte falci e martello, viva Stalin, viva Togliatti, nelle pareti della miniera, e allora l'ingegnere mi ha rimproverato e poi mi hanno licenziato."

    Questa coscienza individuale della condizione operaia si traduce in modi di agire insofferenti e intolleranti nei confronti di quelle condizioni, e di quegli atteggiamenti che ledono i diritti del lavoratore. "Poi, ho cominciato, le cose andarono a migliorando, logicamente si, si lavorava, poi ho fatto, no che ho bisticciato, ci siamo presi a parole col datore di lavoro perché lui mi voleva dare gli assegni giornalieri, mentre che da dopo i quindici giorni dovevo, spettavano tutto il mensile, il mensile di assegni, tutto il mese di assegni. Poi ha detto, 'se ci vuoi stare ci stai, se non ce ne vuoi stare te ne vai', e noialtri, io con altri tre compagni, ci siamo procurato un lavoro migliore e siamo andati a lavorare e le cose cambiarono, cambiarono in meglio logicamente, e poi dopo (...)." Prima di prendere la decisione di andare a lavorare all'estero spinto dalla disoccupazione, il Signor Nino non rinuncia ad agire seguendo la sua volontà nel difendere i propri diritti, mettendo in gioco anche il suo posto di lavoro. " (...) i cosi storti non l'àia nghiùttutu mai e m'arribbillai e u principali logicamenti mi tinni supra u nasu [io siccome sono stato sempre uno ribelle e le cose storte non le ho mai inghiottite e mi ribellai e il principale logicamente mi ha tenuto sopra il naso], a [alla] prima occasione mi-nni appagghiri iù [me ne sono dovuto andare io], picchì appòi [perché dopo], picchì èrunu [perché erano] due ingegneri ca [che] logicamente si contrastavano però non si potevano accavaddari [sovrapporre] perché erano tutte e due in una ditta, percio quannu iù cci ii à ddiri ô ngigneri chiddu ca mi rrispittava a mia [quando io ci andai a dire all'ingegnere quello che mi rispettava a me], dici [dice] 'iù cci pozzu mentiri [io ci posso mettere] qualche buona parola', e iù cci rissi [e io gli dissi], 'ngigneri [ingegnere], ormai, s'àia travagghiari cô fucili puntatu arreri i spaddi [se devo lavorare con il fucile puntato dietro le spalle]', cci rissi [gli dissi], 'non sacciu travagghiari cchiùi [non so lavorare più]', e appòi dî ddocu cuminciai a soffriri n'àutra vota picchì cuminciai i travàgghi [e poi da quel momento ho cominciato a soffrire un'altra volta perché ho cominciato i lavori] (...) iù siccomu àia statu unu sempri rribelli e travagghiava magari a dumìnica e i sordi non cci abbastaunu mai [lavoravo anche la domenica e i soldi non ci bastavano mai], i me fîgghi èrunu nichi e n'aveva tri e [i miei figli erano piccoli e ne avevo tre e] ... e passai [ho passato] un brutto guaio, un bruttu [brutto] quarto d'ora (...)."

    3 Sperimentare una crescita comune al di là delle differenze culturali

    La ricerca personale di una consapevolezza maggiore di se stessi, attraverso varie tecniche di meditazione e trasformazione personale, l'esperienza di vita nella comune creata dal maestro indiano Osho Rajneesh, è il tema fondamentale attorno al quale si sviluppa la narrazione di A. e S. Quest'esperienza è stata per entrambi un'importante opportunità per cercare di comprendersi attraverso la meditazione, una possibilità concreta di sperimentare un impegno reciproco, un percorso consapevole per crescere insieme, confrontarsi, esprimersi. Il sentimento dell'amore nasce anch'esso dalla possibilità di poterlo sperimentare nella relazione con l'altro, e questa stessa relazione si situa in continuità con la ricerca che ognuno di loro ha intrapreso.

    3.1 Continuità tra esperienze di meditazione e progetti di coppia
    "Io non ho mai pensato che io dovevo andare, che in futuro io andavo in Europa. Non sapevo proprio che io dovevo andare in Italia quando sono entrato nella comune."


    A: "Io non ho mai pensato che io dovevo andare, che in futuro io andavo in Europa, non era mai successa questa cosa perché non ho mai pensato, mai avuto l'idea che io dovevo andare in qualche parte quando io studiavo, quando io ero all'Università. Alla fine quando io sono andato in una comune internazionale, là ci sono persone di tutto il mondo, là io ho incontrato persone di diversi paesi, io ho conosciuto tedeschi, giapponesi, americani, perché era un posto dove incontravi persone da tutto il mondo. Era una comune di meditazione, terapia di gruppo, e io prima lavoravo in una industria in India, dopo l'Università, e dopo io sono andato là e ho lasciato tutte le mie cose per cercare me stesso, per ricercarmi. Là io ho incontrato un sacco di persone e là io ho visto persone dell'altra parte del mondo, e là sono rimasto otto anni, una esperienza molto forte. Ho conosciuto mia moglie là [...]"

    3.2 La ricerca di se stessi: comunanze e interdipendenze
    "Era un obiettivo per tutti cercare se stessi, un posto per sperimentare."
    "Sicuramente anche per me era qualcosa di meraviglioso."


    A: "Io sono andato là perché avevo letto dei libri del mio maestro Osho, perché mi diceva cose diverse dalla religione, perché la religione, quando nasce un maestro, Budda, Gesù, poi crea una religione ma in effetti non è così. Ognuno fa la sua esperienza diversa, quindi la religione non è secondo me una idea, è una cosa da sperimentare."

    S: "Sicuramente anche per me era qualcosa di meraviglioso. Dalla prima volta che avevo visto questa comune ero rimasta colpita, al di là del messaggio di Osho che era una cosa che ho compreso dopo, l'impatto iniziale che mi ha attirato era questa specie di piccolo mondo dove c'era questa gente che veniva da tutte le parti. Poteva essere in India come poteva essere da qualsiasi altra parte del mondo perché era un concentrato, un'isola dove c'erano persone che venivano da chiaramente tutto il mondo, con esperienze diverse in un clima sicuramente di apertura e di disponibilità verso l'altro che è difficile trovare nel mondo di tutti i giorni. Quindi questo è il primo impatto, quello che mi ha attirato, che mi ha coinvolto molto e sicuramente c'era la possibilità di fare esperienze, di conoscere delle storie particolari, di incontrare delle persone, proprio soprattutto perché le persone erano protese verso l'altro, erano molto disponibili. Poi è subentrato anche tutto il discorso che più o meno diciamo il lato religioso, quello che era il discorso di Osho, quello che lui faceva sperimentare nelle tecniche di comunicazione che sono diventate poi una parte importante che ci univa, che ci permetteva anche di condividere molte cose. Bellissimo, sicuramente bellissima come esperienza, bellissima in qual periodo della mia vita."

    "Quando io sperimento diventa una cosa mia, non c'è bisogno di credere."
    "La comune, era per me una possibilità nuova di poter partire da me, non partire dall'idea di qualcun altro ma di poter sperimentare su me stessa e di poter vivere me stessa."


    A: "E' diventato importante per me, per tutti noi era importante. Quando uno fa meditazione uno si sente diverso, quando io ho fatto prima volta meditazione io mi sentivo diverso perché normalmente non c'è possibilità. [...] . Una esperienza nuova, completamente nuova. Poi, piano piano, uno scopre diverse cose, scopre anche cose di se stesso perché là uno può avere più possibilità di capire cose sue, come funziona la vita. Questa esperienza vale anche per la vita normale."

    S: "[...] la comune, era per me una possibilità nuova di poter partire da me, non partire dall'idea di qualcun altro ma di poter sperimentare su me stessa e di poter vivere me stessa, di poter partire da me era in quel momento la cosa più importante per me, cioè capirmi per potermi aprire verso il resto del mondo. La meditazione in sé è proprio un entrare dentro se stessi per vivere, per sentire il proprio modo di essere e per renderlo consapevole. Era appunto un processo di consapevolezza, di se stessi, che capovolgeva completamente quello che era la mia religiosità, quello che mi avevano insegnato fino ad allora. Per me è stata una rivelazione in tutti i campi della mia vita perché mi sono resa conto che l'unica verità che potevo trovare e che poteva convincermi la dovevo trovare con le mie mani, con la mia attenzione. A quel punto non c'erano più confini, nessun tipo di distinzione tra me e gli altri se non il fatto del mio potermi esprimere per come ero, e per me è stato importante perché mi ha aiutato molto ad accettarmi, ad accettare i miei limiti, ad accettare quello che ero, le mie emozioni, a non doverle più giudicare continuamente come giuste o sbagliate, come cattive o buone. Poter crescere quindi lavorando su me stessa, attraverso la meditazione e tutta una serie di tecniche di potermi migliorare, di poter crescere in questa consapevolezza e rendendomi conto che il mio cambiamento poteva avvenire soltanto acquisendo consapevolezza di quello che ero. E quindi è cambiato il mio modo di vedere, di giudicare il mondo. [...] Sono arrivata a sentire che molti dei cambiamenti che si possono creare nella società devono partire da radici più solide, non bastano le idee per poter cambiare il mondo ma è necessario un movimento di consapevolezza molto più profondo."

    "Sperimentare che cosa è amare e infatti nella comune è diverso, là c'era più possibilità di sperimentare non di credere."
    "Stiamo lavorando su un percorso di consapevolezza che è la nostra vita. Per quanto riguarda la nostra vita di coppia significa cercare di rendere consapevole il nostro modo di stare insieme, di confrontarci, di esprimerci."


    A: "La meditazione è molto orientata verso la persona perché è una ricerca dell'individuo. Secondo me è l'unico modo per cambiare anche la società, le altre persone, perché uno prima di cambiare gli altri sono io che devo cambiare. La meditazione inizia da me e poi io faccio cambiare l'altro, io cambio anche con l'altro, quindi è qualcosa di completamente diverso. [...] Certo perché dipende tutto, quando io sono più tranquillo nello stesso tempo anche la persona che sta di fronte a me può cambiare, perché dipende tutto da me. Come nel mondo materiale noi vediamo, uno vede bene o male, sempre viene da noi, dalla nostra persona, quindi se io vedo in modo buono cambia tutto, perché è sempre la nostra direzione, noi non possiamo dire forse questo mondo brutto, perché sempre viene da noi, da come uno pensa. [...] La religione dà la possibilità di credere, uno prega, ma non c'è molta possibilità di cercare se stesso perché tutta la responsabilità finisce. Quando io nasco la mia religione mi dice tu devi credere in questo Dio, tu preghi, quindi la mia responsabilità finisce. Io sono nato in questa religione, questo è il mio Dio, e quindi finisce, non c'è responsabilità quando uno dice devi amare gli altri, se io inizio a credere la possibilità di un altro amore perché io sto credendo e poi non c'è bisogno di sperimentare perché io sto credendo. La mia ricerca non c'è più, io quello che devo fare è questo che mi sta dicendo la mia religione, di amare l'altro. Quindi non nasce dallo sperimentare che cosa è amare e infatti nella comune è diverso, là c'era più possibilità di sperimentare non di credere. [...] Per crescere uno deve avere anche, e nello stesso tempo fisicamente e mentalmente, qualcosa in comune, e questa cosa é importante. Una persona dopo diverse relazioni inizia a capire, direttamente è difficile quando uno entra in diverse situazioni. Quando uno sta con qualcuno, prima è attratto fisicamente e poi, piano piano, mentalmente [...]."

    S: "Io credo, almeno per come la sento, che è un percorso di crescita continuo e che è cambiato con gli anni, sono passati dodici undici anni da quando ho iniziato questo tipo di esperienza. Sicuramente ha cambiato il mio modo di sentire, perché sono cresciuta, perché ho capito, perché credo, perché ho sperimentato che le cose si evolvono, sono continuamente in crescita, e Osho non ha mai dato dei dogmi in cui credere, lui ha continuamente rimandato la responsabilità sulla tua ricerca personale. Quindi continua, continua in maniera diversa, continua per me con un grande senso di gratitudine per una persona che non è l'unica al mondo a dire queste cose, però lui ne ha parlato in modo che a me mi ha coinvolto. Poi, continuando a studiare queste cose, a leggere libri, ho trovato tantissime altre persone che comunicavano la stessa cosa con questo tipo di esperienza e meditazione, però per me rimane un punto fermo, la persona che mi ha aiutata in questo percorso e che mi ha fatto capire molte cose. Nella mia vita ci sono dei punti di riferimento importanti, cui faccio riferimento rispetto a dei momenti di svolta, di crescita della mia vita, come lo è stato mio padre in alcuni momenti, un prete che ho conosciuto quando avevo quindici anni. [...] Continua perché, nel senso che per me e per lui, perché ne parliamo insomma con questa nostra esperienza di vita insieme, il modo in cui stiamo crescendo questo figlio eccetera, è parte di questa crescita, non c'è niente che sia separato. Non è che esiste la religione, o la religiosità, e poi tutto il resto del mondo, stiamo lavorando su un percorso di consapevolezza che è la nostra vita. Per quanto riguarda la nostra vita di coppia significa cercare di rendere consapevole il nostro modo di stare insieme, di confrontarci, di esprimerci, quello che sentiamo nel bene e nel male, quando ci sono delle difficoltà se ci sono, di comunicare. [...] Penso che sia un punto fondamentale, la nostra storia è cominciata perché comunque avevamo dei punti in comune su cui iniziare una storia."

    3.3 La differenza culturale: fonte di ricchezza e generatrice di processi di mediazione
    "Tutti e due ci incontriamo molto su questo modo di vedere la vita, sé stessi, cioè sul fondamento. Penso che le basi dell'esistenza entrambi le condividiamo. Penso che le incognite di riuscita sono identiche rispetto a quelle di qualsiasi altra coppia o di storia d'amore vissuta onestamente."

    S: "[...] noi ci siamo incontrati come persone, non come appartenenti a qualcosa, per cui tutto il resto, la cultura eccetera, sono semplicemente cose esterne che ci servono per accrescere le nostre conoscenze, per confrontarci, ma non come cose sostanziali. [...] Poi ce ne hanno fatto accorgere gli altri, probabilmente, di questa differenza. [...] Gli altri, cioè nel momento in cui il nostro amore è continuato gli altri hanno cominciato a dire, ma vi rendete conto che comunque siete due persone diverse? Hanno cominciato a far notare questa differenza. [...] Onestamente, io personalmente con il mio rapporto con A., non ho mai avuto pensieri sulla differenza culturale o sul fatto che la nostra differenza culturale possa in qualche modo influire negativamente sul nostro rapporto anzi al contrario per me è stata sempre e comunque una fonte di ricchezza. Perché per me è stato comunque scoprire delle cose nuove, delle cose diverse, avere un punto di vista diverso. Perché per quanti punti in comune ci sono, ci sono delle differenze culturali, ci sono delle cose diverse, di modo di pensare, che poi a noi ci servono per confrontarci, non le ho mai viste come limiti, come difetti della nostra relazione. E adesso non posso che confermare questa cosa nel senso che continua ad essere così. Poi, chiaramente, siamo fortunati, non penso che saremmo riusciti a stare insieme così a lungo per il fatto che lui sta bene in Italia, ama l'Italia, e io vado con piacere in India. Per me, indipendentemente da lui, era comunque la mia seconda casa che amo, ho avuto delle esperienze molto belle, che mi piace rivedere, ritornare il più presto possibile."


    NOTE

    [1] In riferimento all'articolo "Approccio dal basso, servizi alla persona e memorie interculturali"; analisi e riflessioni proposte in questo stesso numero della rivista m @ g m @.


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