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  • Approccio dal basso e interculturalità narrativa
    Orazio Maria Valastro (a cura di)

    M@gm@ vol.1 n.2 Aprile-Giugno 2003

    IMMAGINI D'IMMIGRATI



    Massimiliano Di Massa

    maxdimassa@katamail.com
    Sociologo; Laureato presso la facoltà di Scienze Politiche all'Università degli Studi di Genova; Cultore per alcuni anni alla cattedra di Sociologia dell'Educazione presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell'Università di Genova; Borsa di studio dell'Istituto Ligure di Ricerche Economiche e Sociali; Ricercatore e Consulente presso Istituti di Ricerca e Formazione pubblici e privati.

    Tra discorso comune e discorso specialistico: i meccanismi di riproduzione del pregiudizio attraverso un'indagine sui quotidiani locali

    Il presente articolo prende spunto da un lavoro di ricerca svolto a cavallo tra anni 80 e 90 nell'ambito di un più ampia indagine dal titolo "Stranieri in Liguria" [1]. L'oggetto del lavoro era di indagare l'area della percezione sociale e degli atteggiamenti che i residenti autoctoni hanno nei confronti degli stranieri attraverso una ricognizione dell'immagine degli stranieri letta sulla stampa genovese. Gli ultimi anni hanno visto fiorire molte esperienze di analisi empirica nel campo considerato, quella svolta dalla nostra èquipe di ricerca era una delle prime di questo tipo nel nostro paese [2], ed era tesa a colmare un vuoto di elaborazione su un'area tematica di difficile comprensione anche rispetto ad altri paesi europei. In questa analisi si è voluto verificare in che misura la stampa si configura come fonte e canale di pregiudizio e, nello stesso tempo, come alcuni stereotipi diffusi nell'opinione pubblica si riproducano sulla stampa, creando in questo modo un circolo perverso di "pregiudizio-informazione-pregiudizio".

    L'aspetto più preoccupante della circolarità "perversa" del processo è data dal fatto che, per molto tempo, per molti cittadini l'unico approccio al problema dell'immigrazione è costituito per l'appunto dall'informazione attraverso i media e in questo sottile equilibrio tra produzione di informazione e produzione di pregiudizio si continuano a costruire immagini ben delineate degli stranieri immigrati. E' importante sottolineare come gli "effetti perversi" della produzione di informazione attraverso i media non siano dovuti esclusivamente ad orientamenti ideologici intenzionali ne siano imputabili in maniera definita ed univoca ad orientamenti preconcetti dei singoli giornalisti: è la "norma-apparato" del giornale a generare inevitabilmente delle conseguenze di stereotipizzazione e di routinizzazione del reale, per garantire la standardizzazione dei prodotti informativi così da assicurare una loro vantaggiosa collocazione sul mercato dei simboli e dell'immaginario [3]. L'eccezionalità, l'abnormità del reale vince - per le leggi di mercato - sulla normalità delle diverse dimensioni quotidiane. Per il noto paradosso dei media, le notizie di cronaca nera attraggono di più delle notizie di cronaca bianca e questo tragico paradosso si riscontra pienamente nei risultati della mia indagine diretta sulla stampa quotidiana genovese.

    Pregiudizio e razzismo

    A livello generale la genesi del discorso razzista, e non di meno il ritorno di forme di "movimentazione su temi legati al razzismo" riporta sempre più l'attenzione al pericolo di forme di conflitto, che si nasconde dietro il comodo paravento della questione razziale e più in particolare di quella etnica. Tra il 1990 e il 1995 sono stati rilevati in Italia molti movimenti a livello locale che devono la loro genesi ad atteggiamenti di questo tipo e, ovviamente, questa "marea ideologica" segnata da intolleranze, mobilitazioni e infine appropriazione da parte di soggetti politici. Capire quanta parte questo fenomeno abbia avuto nello spostamento a società italiana verso i partiti della destra, rappresentanti delle opzioni più dure verso gli stranieri, se non qualche volta esplicitamente xenofobe, è altrettanto comprensibile, cosa non è ancora chiaro e quali potranno essere gli effetti nel lungo periodo che il momento politico attuale, di evidente rilasciamento nei confronti del pericolo pregiudiziale. Il fenomeno oggi assume i contorni di una vera e propria "questione etnica" che deve essere analizzata e inserita nel più complessivo processo sociale ed economico della globalizzazione e dei processi di cambiamento legati al rapporto tra i sistemi sociali e la dimensione spazio-tempo. Le migrazioni in questo quadro sono un fatto strutturale della globalizzazione [4]. Ovviamente tale rappresentazione si collega a molteplici e più radicati modelli di valutazione e di atteggiamento. In particolare si tende a far convergere i sentimenti di ostilità su fatti apparentemente obiettivi al fine di trovare più facilmente giustificazione e consenso che non rispetto ad altre categorie "ideologiche" di pregiudizio.

    Nei comportamenti sociali diffusi, e interrelati allo specifico del periodo della rilevazione, si notarono due aspetti che risultano interessanti ai fini della nostra analisi: per la prima volta l'ascesa del tema immigrazione ai primi posti della classifica nell' "agenda del discorso comune" e la prevalenza di modalità di approccio di trattazione del problema che oscillano tra due i poli estremi del pregiudizio, da un lato, e dell'atteggiamento pietistico, dall'altro. Dall'atteggiamento pregiudiziale e il comportamento razzistico, purtroppo la storia ci ha insegnato quanto sia labile il confine, e le scienze sociali, anche in Italia, hanno contribuito, soprattutto nell'ultimo decennio a studiare e definire esattamente questo "fatto sociale totale" [5]. Secondo l'antropologo Albert Memmi "il razzismo è una deficienza nella relazione con gli altri" [6] che può provocare sentimenti e pratiche di paura, ostilità e aggressione. "Il razzismo - precisa l'autore - non sta nella constatazione di una differenza ma nella sua utilizzazione contro qualcuno" e le forme di esclusione e di stigmatizzazione delle molteplici differenze - ad eccezione di quelle su base biologica - paiono richiamare il concetto più esteso di eterofobia, "che significa, in senso lato, fobia dell'altro". E' questa fobia che si trasforma in rifiuto e porta alla aggressività. Nell'ipotesi di Albert Memmi tale aggressività è alla radice di molti "pretesti", sul piano dei modelli valoriali, e di molti "alibi", sul piano delle condotte operative. Secondo Colasanti si possono individuare due tipi di teorie sulla spiegazione del pregiudizio e della discriminazione. Le prime, definite "materialiste", sostengono che il razzismo "è causato dalla composizione tra gruppi etnici per risorse scarse ed è una forma di sfruttamento del capitalismo" [7] e si sono sviluppate prevalentemente in Europa [8] Le seconde, definite "culturali", sostengono che alla base del razzismo e della discriminazione vi è appunto il pregiudizio di ordine culturale e si sono affermate soprattutto negli Stati Uniti.

    Riprendendo alcuni degli approcci teorici più significativi dei due filoni, mentre, per Castles e Kosacks [9] la funzione primaria del pregiudizio è quella di controllare i lavoratori stranieri e di legittimare lo sfruttamento del loro lavoro, per Miles e Phizacklea [10] - che hanno studiato la situazione inglese - i gruppi etnici nella società capitalistica possono sì identificarsi in frazioni di classe, ma l'ostilità nei loro confronti è sostenuta da processi ideologici che sono parzialmente indipendenti dalle cause e condizioni materiali. Quindi il razzismo, per usare l'espressione di Miles "to the extent that it is an ideological phenomenon is culture based" [11]. Per molti aspetti la rappresentazione e la manifestazione razzista possono identificarsi con il rito così come analizzato nel secolo Durkheim. "Il rito - affermava Durkheim - agisce attraverso le forze collettive che mette in gioco come reazione ad una minaccia appena accaduta o imminente, una disgrazia che incombe sulla collettività e l'individuo esistenzialmente (...) In seguito ad un lutto un'impressione di inquietudine e di angoscia domina il gruppo riunito la comunicazione di questi sentimenti ha, come sempre, l'effetto di intensificarli. Affermandosi, essi si esaltano, si accendono e raggiungono un grado di violenza corrispondente" [12]. Sono molti gli studi che hanno evidenziato la rilevanza del tema del pregiudizio rispetto a qualsivoglia forma o comportamento razziale. Nella letteratura americana degli anni quaranta e cinquanta [13] "il pregiudizio figura come la "malombra" della mente umana razionale; un fenomeno, quindi, la cui natura essenzialmente psicologica prevale sulle dimensioni culturali e storiche. Sulla scena della conflittualità sociale la cultura del pregiudizio ha prodotto soprattutto logiche di discriminazione, ponendo in luce gli attori collettivi piuttosto che gli attori individuali nelle dinamiche di contrapposizione e di lotta.

    Perché una ricerca sul pregiudizio

    Nostro scopo era quello di individuare uno schema logico del processo di riproduzione del pregiudizio nella società, avvalendoci principalmente dello schema interpretativo utilizzato da Teun A. van Dijk, nel corso di un ampio progetto di ricerca che, basandosi su un approccio socio-cognitivo, va ad indagare essenzialmente i modi in cui il pregiudizio si trasmette all'interno della società. In primo luogo, a livello macrostrutturale, l'autore ipotizza che il processo di riproduzione del razzismo nella società interessi sia i rapporti tra i gruppi sia quelli tra le classi. Quindi "il discorso e la comunicazione costituiscono modi di vitale importanza per la riproduzione sociale del razzismo bianco... sia a livello informale e interpersonale che a livello istituzionale" [14]. Van Dijk concentra l'attenzione sul tentativo di studiare "le cognizioni sociali, ovvero le cognizioni dei membri di un gruppo o sui gruppi che vengono (ri)prodotti nei contesti e nelle strutture della società" [15].

    L'analisi, con i presupposti sopra menzionati, si snoda essenzialmente su tre livelli fondamentali: la comunicazione interpersonale ("la conversazione"); la comunicazione istituzionale (ovvero quella del discorso ufficiale che si identifica con i dibattiti parlamentari e i processi legislativi, le leggi, i regolamenti, le disposizioni degli uffici pubblici, etc.); la comunicazione attraverso i media. I mezzi di comunicazione di massa "rivestono un ruolo particolare nella comunicazione tra questi diversi gruppi e istituzioni di élite e sono di importanza fondamentale per la trasmissione di ideologie e pregiudizi etnici o razziali nella opinione pubblica in generale" nella quale si dà rilevanza a connotazioni per lo più negative delle minoranze in una funzione autoconservativa degli equilibri sociali esistenti. Tali caratteri sono insiti in un più generale gruppo di ideologie funzionali alla riproduzione del potere e delle condizioni favorevoli alla salvaguardia degli interessi, dei privilegi e degli obiettivi del gruppo egemone.

    "Questa separazione cognitiva tra "noi" e "loro" - rileva van Dijk - implica una valutazione in termini di persone "superiori" e "inferiori". In tal modo si determina la struttura sottesa al processo che conduce alle tante pratiche istituzionali e quotidiane di effettiva separazione. I pregiudizi e le loro basi ideologiche sono assai funzionali e non rappresentano solo le reazioni "irrazionali" di (alcuni) individui "bigotti" [16]. Dai risultati complessivi della sua analisi van Dijk ricava la seguente conclusione: "benché l'ideologia razzista sia pre-formulata dai diversi gruppi élitari e ampiamente diffusa dai media e da altre forme di discorso pubblico, tutto questo non deriva da azione concertata. Accade piuttosto che la versatilità strategica che assume nelle forme, nei contenuti e nelle funzioni, favorisca la maggior parte dei gruppi (bianchi) della società, soprattutto della élite. L'ideologia si può (ri)produrre in gran parte semplicemente astenendosi dall'agire, ad esempio, lasciando che si sviluppino pregiudizi e che questi compiano autonomamente la loro funzione (...). Perciò ogni segmento del gruppo bianco può dare il proprio specifico e coerente contributo al quadro complessivo" [17]. Soprattutto, dell'autore olandese, è prezioso il suggerimento di analizzare i meccanismi di riproduzione dei pregiudizi nella duplice prospettiva "micro" e "macro" strutturale.

    Il ruolo dell'informazione nei meccanismi di riproduzione del pregiudizio

    Volendo riferirci in maniera più particolare al caso italiano, bisogna sottolineare innanzitutto l'influenza diretta che hanno avuto i media sulla "visibilità" del fenomeno nella nostra società. Laura Balbo, in un suo contributo sul tema del razzismo, osservava: "abbiamo alle nostre spalle, decenni vuoti di elaborazione culturale e di esperienze quotidiane sulle "questioni" di razzismo (...), l'arco di tempo in cui su queste questioni si è sviluppata una tematizzazione esplicita e assai breve: si colloca tra la seconda parte del 1988 e il 1989. E questa tematizzazione ci indica l'elaborazione di osservazioni al 'discorso pubblico, cioè alle sedi (essenzialmente i media e gli interventi politici o comunque pubblici, in tutti i casi trasmessi, ripresi, enfatizzati, distorti dai mezzi d'informazione) di cui si conoscono posizioni e modalità comunicative" [18]. Tali riflessioni pongono in rilievo come la tematizzazione si configuri quale condizione essenziale e propedeutica per la presa di coscienza di un problema da parte della collettività.

    Naturalmente il processo di tematizzazione del problema immigrazione all'interno dei media deve essere collocato nel contesto complessivo del processo di costruzione della notizia. Carlo Marletti, in un suo contributo sul rapporto tra media e razzismo in Italia, concentrava la propria attenzione sul ruolo che i media hanno nel determinare l'attenzione verso il tema del razzismo e nell'accrescerne la visibilità e osserva: "i media concentrano in maniera molto variabile l'attenzione del pubblico, su questo o quel problema, indipendentemente dalla sua urgenza reale e dalle effettive condizioni del suo superamento, in base ad eventi per lo più accidentali, i media fanno esplodere l'interesse di una collettività su taluni problemi, drammatizzandoli per un breve periodo e creando intorno ad essi attese ed inquietudini di vari gruppi sociali, per poi lasciarli cadere in stato di latenza, inseguendo altri problemi, e così via, secondo un ciclo in genere perverso di drammatizzazione e di elusione" [19].

    Il ciclo si articola in genere su tre fasi, non necessariamente sequenziali. Una, detta di "latenza", coincide con la formazione del tema stesso; la seconda fase è definita come "fase di emergenza" e si verifica quando il tema si impone ai media ed al pubblico in seguito ad eventi di particolare rilievo o all'insorgere di crisi sociali o politiche. Si può individuare infine la terza fase, "fase autoreferenziale", nella quale il tema acquista una relativa indipendenza rispetto alla fase precedente, anzi la sua trattazione e "coverage" dipendono invece da dinamiche interne ai media ed agli ambienti giornalistici - come le routines che si sviluppano nelle redazioni o le forme più o meno accentuate di concorrenza sul mercato editoriale - oppure dipende dalle interazioni fra media e politica dall'intervento di agenzie di vario tipo interessate a campagne stampa e/o alla tematizzazione di un problema e al suo inserimento prioritario nell'agenda governativa o legislativa" [20]. Ed è proprio la collocazione di ogni singolo evento o di una serie di eventi, in una di queste fasi che determina il grado di risonanza degli stessi.

    La metodologia e le tecniche utilizzate

    Le ipotesi teoriche sulla costruzione dell'immagine dell'immigrato attraverso i media, richiamate nelle pagine precedenti, sono state verificate, nel corso del presente lavoro, attraverso un'analisi empirica su una vasta campionatura di quotidiani genovesi anche al fine di individuare la presenza di eventuali tratti connotativi peculiari che delineino la figura sociale dell'immigrato nel contesto locale. Più precisamente l'indagine è stata effettuata prendendo in esame un arco temporale significativo: l'intero anno 1989. Sono state così prese in esame le annate dei quotidiani "Il Secolo XIX", "Il Lavoro" e "Il Corriere Mercantile" per un totale di 987 quotidiani consultati [21]. La rilevazione dei dati è avvenuta utilizzando una scheda, articolata su varie sezioni, nella quale si è tentato di evidenziare alcune caratteristiche per ogni articolo, in modo da rendere possibile un'omogeneizzazione di dati, di per sé gestibili in modo parziale. Innanzitutto, passaggio necessario è stata l'estrapolazione di una serie di dati relativi alla collocazione temporale e spaziale degli articoli. Inoltre, si è tentato di fare una classificazione secondo il tipo di articolo rintracciato nel corso della ricerca [22]. Viene effettuata un'altra distinzione degli articoli, ovvero quella degli argomenti trattati. Per questa classificazione ci siamo avvalsi modalità di classificazione già fortemente collaudata. Il lavoro in questione riguarda una indagine condotta da Teun van Dijk sulla stampa olandese, in due diversi periodi.

    La ricerca si snoda in vari livelli di analisi concentrandosi nell'individuare la copertura di argomenti trattati dalla stampa circa i problemi etnici individuando in proposito una tipologia di 16 soggetti di trattazione dei problemi legati agli stranieri [23]. Un'altra modalità di classificazione degli articoli è quella tesa ad individuare quali siano gli attori delle minoranze citate secondo la nazionalità. Nel nostro caso si è costruita una tipologia che individua direttamente le nazionalità con maggiori presenze sulla nostra città [24]. Un'altra modalità d'indagine vengono date indicazioni circa "occhiello", "titolo" e "catenaccio" degli articoli in questione. Innanzitutto è necessario rimarcare quale funzione fondamentale vadano a ricoprire i titoli nell'ambito dell'esposizione di un articolo. Per dirla con lo stesso Teun van Dijk la principale funzione dei titoli è semantica e cognitiva:"i titoli sintetizzano ciò che il giornalista considera la più importante o interessante informazione di un articolo. Ciò significa che i titoli esprimono il top della macro-struttura semantica, qualunque sia il tema o argomento trattato nell'articolo" [25] e questa affermazione è centrale nella nostra ricerca per comprendere il rapporto più immediato tra giornale e lettore.

    Alcuni risultati

    Rispetto alla trattazione del tema prescelto in relazione dell'evoluzione nel tempo - si delineava una copertura relativamente bassa nei primi mesi dell'anno, con un'impennata nei mesi estivi ed una successiva stabilizzazione ad un livello relativamente più alto negli ultimi mesi dell'anno. Questo trend può essere interpretato alla luce di un approccio che ha considerato il problema degli immigrati e dell'immigrazione prevalentemente come un fenomeno di "emergenza" in relazione al ciclo della "tematizzazione" appunto. Nel nostro caso, ad esempio, abbiamo registrato che si è evidenziata una punta di copertura elevata nel mese di febbraio da parte della stampa genovese. Quest'impennata si è creata a seguito del verificarsi di particolari avvenimenti, annotati dalla cronaca cittadina: un omicidio di un'anziana donna a Sestri Ponente, da parte di un cittadino del Marocco residente nella nostra città, e la progressiva ascesa agli onori della cronaca di un caseggiato del centro storico occupato da inquilini abusivi, in prevalenza immigrati extracomunitari. Una notazione di rilievo è legata al fatto che le modalità della crescita d'attenzione sui problemi dell'immigrazione hanno assunto strumentalmente i due distinti episodi e, per ben due testate, questi sono stati occasione per l'avvio di due differenti inchieste. "Il Secolo XIX", a seguito dei fatti di Via Mascherona, avviò un'inchiesta dal titolo "Centro Storico: tra ghetto e speculazione" che, a partire dalla presa di considerazione di uno stato di disagio generale degli abitanti del Centro Storico, ha poi ben presto tralasciato il tema "immigrati" per tratteggiare una panoramica degli innumerevoli mali del centro genovese. Invece "Il Lavoro" promosse una sua inchiesta, proprio a partire dall'evento delittuoso di Sestri Ponente, svolta in modo tale da non favorire molto l'approccio a questo delicato problema da parte di un pubblico che incominciava a richiedere informazioni più puntuali. Nel frattempo, tuttavia, il tema sale fra le priorità dell'agenda degli eventi "notiziabili".

    Ci sembra indicativo, fra i diversi articoli analizzati, richiamare il titolo a piena pagina, comparso su "Il Lavoro" del 4 febbraio 1989, che recitava: "Preso: è un marocchino". Il tono era subito mitigato con un articolo di commento sottostante, dal titolo: "Cittadini come noi". Viene così posta in luce immediatamente la contraddizione - propria dei media - tra fini etici d'informazione e obiettivi economici di vendita; quindi tra l'uso sensazionale dell'evento con titolo principale, dotato di maggiore potenziale di ridondanza, e la necessità di mitigare il messaggio con articoli di contorno di invito alla comprensione e alla tolleranza. In ogni caso il ritorno alla stabilità della copertura quotidiana degli articoli sugli stranieri conferma il quadro ciclico delineato da Marletti nella "fase autoreferenziale". La trattazione del tema, dal febbraio al luglio 1989, si attesta su valori che possiamo definire medi per subire, da luglio a settembre, un'ulteriore impennata. Si entra nuovamente nella "fase dell'emergenza": un insieme di eventi si susseguono e trovano sempre maggiore spazio sulle testate genovesi.

    Tutto ciò sembra coincidere con un allargamento "spontaneo" degli spazi dei giornali nel periodo estivo, dovuto alla caduta dei molti impegni relativi all'agenda setting. Quest'apertura di spazi, indotta dal rallentamento della scadenza dell'agenda giornalistica, coincide in qualche maniera, ad una copertura nettamente maggiore dei fatti relativi alle condizioni e alla vita degli immigrati nella nostra città. L'apice dell'interesse dei media viene raggiunto nella prima decade d'agosto, con una di quelle notizie considerabili 'notizie-bomba'." E dalla casbah un sussurro: lebbra", questo un titolo apparso su uno dei nostri quotidiani. Il sussurro si è ben presto amplificato in misura esponenziale, fino a diventare l'oggetto privilegiato di discussione nell'agosto sonnecchiante e festivo della città. Il caso, naturalmente, è stato affrontato con l'avvio di una sorta d'inchiesta sulle condizioni degli immigrati, con una trattazione relativamente approfondita e completa dei problemi legati all'immigrazione nell'ambiente urbano. Ma quell' "ouverture", ancora una volta proprio per i caratteri di estrema notiziabilità, è stata quella che ha permeato il "clima" del discorso nel suo complesso. E' interessante tuttavia osservare come questo modo di affrontare, in maniera forse un po' brutale, il problema ha provocato effetti anche a livello politico. L' "invisibilità" degli immigrati diventa sempre meno tale e la scoperta accentua la prospettiva di "emergenza" nell'approccio al problema. Il "caso lebbra", è stato frutto di uno scoop ad opera di un quotidiano, "Il Secolo XIX", ma proprio l'aumento della "fame" di notizie su questi problemi ha prodotto una maggiore copertura complessiva, facendo nascere inchieste parallele, con una vera e propria costruzione di "casi".

    Ha inizio una sorta di competizione fra i quotidiani nella costruzione di notizie sugli immigrati: se "Il Secolo XIX" fa lo scoop sulla lebbra, "Il Lavoro" cerca di attirare l'attenzione dell'opinione pubblica attraverso fatti di cronaca nera. Risse e accoltellamenti tra stranieri, in particolare nord-africani, trovano in questo periodo uno spazio notevole sulla stampa. In particolare, un evento delittuoso avvenuto nel Centro Storico (in vico Cinque Lampade) diventa un punto d'appoggio per la trattazione a livello più generale di tutto il problema dell'immigrazione. In questo contesto ambientale locale si viene a inserire un nuovo tragico episodio, a livello nazionale, che farà compiere un ulteriore salto di qualità alla tematizzazione dei problemi da noi presi in esame. Il 24 agosto 1989 a Villa Literno, un profugo politico sud-africano viene ucciso nel capannone agricolo dove dormiva insieme ad altri compagni, nel corso di una rapina effettuata da una banda di ragazzi, già conosciuta per precedenti analoghi. L' "emergenza" così diventa nazionale. L'evento, per caratteristiche determinate da fattori nuovi, lo status di profugo politico della vittima, le caratteristiche del luogo dove si verifica l'evento, un ambiente segnato da forti tensioni razziali anche a livello istituzionale locale [26] diventa un caso nazionale e innescò un processo in cui i problemi dell'immigrazione, delle relazioni razziali, del pericolo di episodi di razzismo. Ci sembra quindi utile richiamare ancora alcune osservazioni sul concetto di emergenza. Marco Lombardi [27], in un suo articolo sulla gestione dell'informazione nelle emergenze di massa, definisce l'emergenza come quel fenomeno che, all'interno di un sistema sociale, si configura "come un insieme di domande in crescita parossistica; tale curva di incremento repentino si appiattisce nel ritornare ai processi della normalità, in funzione della risposta adattiva prodotta e la risposta adattiva avviene, in parte, anche dai media. Il rapporto tra messaggio dei media e normalizzazione è bilaterale, finendo per assumere i caratteri della "catastrofe informativa".

    Per "catastrofe informativa" si può intendere l' "evento che abbia in sé le caratteristiche dell'emergenza (crisi del sistema, possibilità di intervento strategico sui processi del mutamento, ipersensibilità informazionale, indeterminazione cognitiva, etc.) e che trovi nei media non solo gli strumenti divulgatori, ma soprattutto gli input determinanti ampiamente la percezione e la definizione dell'evento stesso" [28]. Tornando alla nostra analisi, ci sembra che tali dinamiche di emergenza si siano verificate anche nel processo di produzione delle notizie da parte dei quotidiani genovesi sui problemi degli immigrati. Anche sull'onda dei fatti di Villa Literno, la nostra indagine sulla stampa locale metteva in rilievo come, proprio tra l'agosto e il settembre 1989, si arrivi al culmine della cosiddetta "catastrofe informativa". Marletti, rispetto a queste problematiche, afferma: "E' il coverage dei media che fa compiere un salto, nel bene e nel male, dalla percezione individuale segmentata alla percezione generalizzata e collettiva del fenomeno, aprendo la strada alla circolazione allargata di stereotipi e favorendo il formarsi di tipizzazioni e categorie interpretative di esso" [29]. Questa interpretazione trovò un pieno riscontro nei dati empirici della nostra verifica: anche presso la stampa genovese l' "effetto coverage" ha prodotto un aumento complessivo della quantità e dello spettro delle notizie prodotte nonché un'escalation dei gradi di intensità nella trattazione drammatizzata del fenomeno.

    L'ultimo arco temporale considerato (ottobre-dicembre 1989) degli articoli presi in esame si può identificare - seguendo lo schema di Marletti - con una nuova fase autoreferenziale, nel senso già ricordato, con una stabilizzazione generale su livelli, in ogni caso, più elevati di quelli relativi ai primi mesi dell'anno. Sulla base degli elementi informativi sin qui delineati risulta che la stampa quotidiana genovese si caratterizzò per una duplice valenza nella trattazione dei problemi degli stranieri: da una parte, essa ha avuto - senza dubbio - una funzione fondamentale nel favorire il processo di visibilità degli immigrati, dall'altra va osservato che le modalità con cui si è attuata questa campagna hanno lasciato larghi spazi di interpretazione ambigua rispetto ai problemi esistenti. Nelle premesse del nostro lavoro uno degli scopi che ci eravamo proposti era proprio quello di esaminare in quale modo la stampa contribuiva alla costruzione dell'immagine dell'immigrato e quale era la sua incidenza nel "meccanismo di riproduzione del pregiudizio": in sede di analisi dei dati empirici possiamo tentare di estrapolare al riguardo alcuni dati significativi. Un primo dato di un certo rilievo deriva dalla trattazione dei diversi argomenti per ciascuna nazionalità. Proprio dalla correlazione delle due variabili si deducono le linee generali di tendenza delle modalità di "coverage" da parte dei quotidiani considerati rispetto a ciascuna nazionalità: l'elemento che maggiormente ci colpisce è senz'altro dato dall'altissima incidenza della voce "crimini'"per tutte le singole nazionalità prese in esame, e quindi sul totale complessivo [30]. Il dato complessivo che emerge, comunque, è quello di un interesse generalizzato e prevalente nei confronti delle minoranze legato inequivocabilmente ai codici di codifica degli atti di devianza e di violenza.

    Volendo comparare questi dati con i risultati di un'analoga inchiesta svolta sulla stampa olandese nel 1981 si nota una rispondenza dei nostri risultati con le conclusioni di quel lavoro. In particolare si verifica che "l'attenzione per i gruppi etnici da parte dei media è limitata, e non meno che alle minoranze sono spesso associati concetti quali violenza, illegalità, crimini, strane abitudini culturali e devianze di ogni altro tipo" [31]. Proprio il ciclo della tematizzazione del fenomeno immigrazione, fin qui illustrato, conferma questa tendenza. Osservando la ripartizione degli argomenti trattati nei diversi mesi dell'anno 1989 e osserviamo meglio il dato relativo alle percentuali di articoli relativi ad eventi criminosi: possiamo rilevare che l'incidenza di questa componente - sull'incremento complessivo di articoli che si è venuto a verificare nei due mesi di maggiore copertura sul tema dell'immigrazione (agosto e settembre) - rimane pressoché costante. All'aumento della sensibilità informazionale da parte dei cittadini - a seguito dei fatti di Villa Literno - non fa riscontro una crescita di produzione informativa sui diversi aspetti del problema immigrazione. La stampa sembra mantenere inalterati gli standard qualitativi di costruzione delle notizie, riproducendo le abituali scansioni e proporzioni fra articoli su eventi di criminalità e articoli su altri eventi. In pratica la "pausa" dei mesi estivi e il tragico omicidio di Villa Literno concorsero soltanto ad aumentare lo spazio fisico di attenzione dei media alla questione dell'immigrazione ma le logiche informative non vengono modificate e così, paradossalmente, il maggiore spazio disponibile offre maggiori possibilità di veicolazione di un'immagine negativa dell'immigrato. Quindi la tematizzazione così come si è venuta a delineare, ed in forza della mancanza in generale di una cultura "informata" su questi temi, si presta a produrre non indifferenti distorsioni.

    D'altra parte le pratiche giornalistiche, proprio per le caratteristiche di rigidità e di routinizzazione messe in luce nella prima parte di questo lavoro, portano ad affrontare anche queste problematiche in modo funzionale alle esigenze organizzative del giornale. Per esempio, la ripartizione per tipo degli articoli trattati, evidenzia una presenza pari al 28,71% degli articoli i di tipo "trafiletto". In questo tipo di articolo il processo di decontestualizzazione e semplificazione della realtà si esplica al massimo livello; infatti in poche righe si concentrano eventi di cui non si può considerare appieno la portata e che comunque vengono illustrati secondo una logica di stereotipizzazione funzionale alle esigenze dello spazio redazionale. In questo senso possiamo leggere un altro dato parimenti significativo, ovvero la percentuale degli articoli privi di firma; questi rappresentano il 56,9% degli articoli considerati e tale dato deve essere interpretato alla luce delle diverse dinamiche redazionali delle differenti testate. Circa i processi di ricontestualizzazione degli eventi nel corpo delle testate giornalistiche emerge una maggiore concentrazione di articoli nelle pagine dedicate alla cronaca (italiana, ligure, cittadina); va quindi sottolineata, per esempio, l'esigua presenza di articoli nelle pagine della cultura (pari al 2,22%). Spunti di un certo interesse sono per esempio quelli relativi alla distribuzione degli argomenti nella prima pagina. In questo ambito - del quale abbiamo già sottolineato l'importanza in veste di "vetrina" dei contenuti del giornale - notiamo ancora una volta la preminenza della voce "crimini" con una quota del 45,28% seguita, al secondo posto, dalla voce "discriminazioni" (11,32%) e, al terzo, dalla voce "politiche" (7,55%). Questi dati ci confermano ancora una volta la tendenza alla copertura soprattutto con eventi di carattere deviante rispetto ai diversi altri tipi di evento. A questo punto possiamo effettuare uno spostamento del livello di analisi e centrare la nostra attenzione sull'approccio di tipo semantico. Nel corso dell'indagine sui giornali uno dei dati presi in esame è stato quello relativo alla verifica delle attribuzioni di nome, delle connotazioni nominali assegnate ai soggetti stranieri nel periodo considerato. riunendo le varie voci in famiglie semantiche, in maniera di conferire maggiore significatività agli elementi acquisiti [32].

    Conclusioni

    Come abbiamo già più volte ricordato, l'oggetto di analisi di questo lavoro può assumere una concreta valenza solo dopo essersi legato ad una più ampia analisi, sia a livello macro che a livello micro strutturale, tesa ad individuare, complessivamente, il formarsi e il propagarsi del pregiudizio. In maniera schematica i punti significativi che sono emersi nel corso dell'indagine sono:
    - che l'attenzione dei media sul fenomeno immigrazione, sulla base dell'osservazione del periodo in questione, ha denotato un carattere di trattazione proprio di un fenomeno di "emergenza";
    - che d'altra parte, tale "emergenza", ha condotto all'improvviso aumento della domanda informazionale su questi temi;
    - la cui risposta informativa ha inevitabilmente incontrato delle difficoltà di articolazione, dovute in parte alla ancora insufficiente e incompleto processo di "tematizzazione" di un fenomeno così nuovo e in continuo movimento di trasformazione ed, in parte, all'esplicarsi delle normali distorsioni che le routine e le pratiche giornalistiche imprimono alla rappresentazione della realtà;
    - in questa cornice di "catastrofe informativa", si comprendono quali siano le possibilità di atteggiamenti contradditori da parte della stampa sul tema in questione.

    Un punto significativo, in calce a quanto appena detto, si può ritrovare, nella contraddittorietà rilevata nel corso della nostra analisi, tra l'atteggiamento generalmente benevolo con cui si sono trattati questi temi e il dato emerso, per esempio, circa la distribuzione degli argomenti considerati nel complesso degli articoli con l'incidenza degli eventi criminosi o comunque caratterizzati dal modello della devianza. Questo dato trova conferma nelle linee di tendenza delle ricerche sorte in questa prospettiva nel nord Europa e negli Stati Uniti. Si devono, comunque, tenere distinte le matrici: il problema razziale nei Paesi in questione è principalmente un problema di equilibrio sociale con uno spostamento, ormai strutturale, del conflitto, dalla lotta di classe alla "lotta di razza" per il mantenimento dei privilegi e dello status acquisito dalla maggioranza bianca e nel disperato tentativo, da parte delle minoranze, di sconvolgere questi equilibri. In questa prospettiva si comprende la lettura effettuata da van Dijk del sistema dei media a cui affida il ruolo di istituzione tesa a fornire consenso e quindi a mantenere gli equilibri sociali esistenti.


    NOTE

    [1] M. Di Massa, La percezione sociale degli immigrati in Liguria: immagini e pregiudizi attraverso i media, in G. Canepa, M.T. Torti (a cura di), Stranieri in Liguria, Marietti, Genova, 1992.
    [2] Si possono citare:
    Quintano B., Gli stranieri visti attraverso la stampa quotidiana, in ECAP-CGIL-ENIM (a cura di) L'immigrazione straniera nel Lazio, Regione Lazio, Roma, 1980;
    De Marchi V., Ercolessi M.C., Terzo mondo e quarto potere, Eri-Vqpt, 1991;
    Grossi G., La rappresentazione giornalistica della società multietnica, in Cabria Ajmar L. e Calloni M., (a cura di) L'altra metà della luna, Marietti, Genova, 1993;
    Marco Scardigli, (a cura di), Vivono fra noi. Materiali di lavoro per l'analisi della stampa quotidiana italiana sull'immigrazione extraeuropea, Progetto Med Campus, Università di Pavia, 1994;
    Marletti C, Extracomunitari. Dall'immaginario collettivo al vissuto quotidiano del razzismo, Eri-Vpqt, Torino 1991;
    Belluati M., Grossi G., Viglongo E., Mass media e società multietnica, Anabasi, Milano, 1995;
    Mansoubi M., Noi, Stranieri in Italia. Immigrazione e Mass Media, Maria Pacini Fazzi, Lucca 1990;
    Cotesta V, Noi e loro. Immigrazione e nuovi conflitti metropolitani, Rubattino,Messina, 1995;
    Maneri, Marcello. Stampa quotidiana e senso comune nella costruzione sociale dell'immigrato. Tesi di Dottorato in Sociologia e Ricerca sociale presso l'Università degli Studi di Trento, Facoltà di Sociologia, A.A. 1994/95;
    Cotesta V., Comunicazione e immigrazione in Italia, in Delle Donne M. (a cura di) Relazioni etniche, stereotipi e pregiudizi, EdUP, Roma, 1998;
    Maneri M., Lo statuto dell'"extracomunitario" nella stampa quotidiana, in Delle Donne M. (a cura di) Relazioni etniche, stereotipi e pregiudizi. Op.Cit;
    A Mazzara B.M., Stampa e immigrazione: due casi a confronto, in Delle Donne M. (a cura di) Relazioni etniche, stereotipi e pregiudizi, Op.Cit;
    Gian Paolo Castagnoli, Immigrazione, devianza e mass media: il caso de "Il Resto del Carlino", Università di Bologna, Facoltà di Giurisprudenza,Tesi di laurea in sociologia criminale, a.a. 1995-1996, Rel. Dario Melossi;
    Alberto D'Elia, Devianza, immigrazione e mass media: il caso del Salento, Università di Bologna, Facoltà di Giurisprudenza, a.a.1995-1996. Rel. Dario Melossi;
    Censis, l'immagine degli immigrati e delle minoranze etniche nei media, Roma, 2002 (Scaricabile al sito www.immagineimmigratitalia.it;
    TUNING INTO DIVERSITY, Immigrati e minoranze etniche nei media, rapporto di ricerca, aprile 2002, consultabile on line al sito www.multicultural.net.
    [3] Sulla prospettiva di analisi dei mezzi di comunicazione di massa sulla base dello studio del processo di costruzione della notizia, cfr.:
    F. Barbano, Nuove tecnologie: sociologia e informazione quotidiana, Milano, F. Angeli, 1982;
    G. Cesareo, Fa notizia. Fonti, processi, tecnologie e soggetti della macchina informazione, Roma, Editori Riuniti;
    G. Cesareo, La forma apparato nel sistema delle comunicazioni di massa, in M. Livolsi (a cura di), Le comunicazioni di massa: problemi e prospettive, 1981;
    S. Cohen-J. Young, The manufacturer of news, London, Constable, 1973;
    A. De Lillo-M. Livolsi, La lettura della stampa quotidiana per una diversa prospettiva metodologica delle ricerche sui media, in Problemi dell'informazione, 1979, n. 4. pp. 599-624;
    P. Golding-P.Eliott, Making the news, New York, Longman, 1979. S. Lepri, Le macchine dell'informazione, Milano, Etas Libri, 1982;
    M. Livolsi (a cura di), La fabbrica delle notizie, Milano, F. Angeli, 1984;
    M. Livolsi-F. Rositi, La ricerca sull'industria culturale, Roma, Nuova Italia Scientifica;
    C. Mongardini, La costruzione dell'avvenimento. Poteri e limiti dell'informazione, Roma, La Goliardica, 1983;
    M. Wolf, Teorie delle comunicazioni di massa, Milano, Bompiani, 1985.
    [4] Sull'analisi del rapporto tra questione etnica e fenomeni della globalizzazione citiamo senz'altro l'ottimo lavoro di Cotesta V.,Sociologia dei conflitti etnici, Editori Laterza, Roma-Bari, 2001.
    [5] Sul tema citiamo tra gli altri:
    Alietti A., Padovan D. Sociologia del Razzismo, Carocci, Roma, 2000;
    Balbo L., Manconi M.I razzismi possibili, Feltrinelli, Milano, 1990;
    Balbo L., Manconi M.I razzismi reali, Feltrinelli, Milano, 1992;
    Balbo L., Manconi M.I razzismi: un vocabolario Feltrinelli, Milano, 1993;
    Balibar E. Wallerstein I. Razza, nazione classe, le identità ambigue, Edizioni Associate, Roma 1990;
    Colasanti G., Il pregiudizio, Franco Angeli, 1994;
    Delle Donne M., Relazioni etniche, stereotipi e pregiudizi, EdUP, Roma, 1998;
    Dal Lago, A., (curatore). Lo straniero e il nemico. Materiali per l'etnografia contemporanea. Genova, Costa & Nolan, 1998;
    Ferrarotti F., Oltre il razzismo, Verso la società multirazziale e multiculturale, Armando, Roma, 1989;
    Mazzara B.M., Stereotipi e pregiudizi, Bologna, Il Mulino, 1997;
    Taguieff P. La forza del pregiudizio, Il Mulino, Bologna, 1994;
    Zanotti A., L'invenzione sociologica del pregiudizio, F. Angeli, Milano,1991.
    [6] A. Memmi, Il razzismo. Paura dell'altro e diritti della differenza, Genova, Costa & Nolan, 1989, p. 23.
    [7] G. Colasanti, Immigrazione e pregiudizio in Europa: uno schema interpretativo, in G. Cocchi (a cura di), op.cit., p. 347.
    [8] Su questo filone di teorie meritano di essere richiamati i seguenti lavori:
    E. Bonacich, A theory of ethnic antagonism, in "American Sociological Review", n. 37, 1972;
    S. Cummings, White ethnics, racial pregjudice and labor market segmentation, in "American Journal of Sociology", 1980.
    [9] Cfr. S. Castles & G. Kosack, Immigrant Workers and Class Structure in Western Europe, London, Oxford Univesity Press, 1984.
    [10] Cfr. R. Miles e Phizacklea, A White Man's Country. Racism in British Politics, London, Pluto Press, 1984.
    [11] R. Miles, Racism and Migrant Labor, London, Routledge, 1982.
    [12] E. Durkheim, Le forme elementari della vita religiosa, Milano, Comunità, 1971.
    [13] In proposito merita di essere richiamato il classico lavoro di G.W. Allport, The Nature of Prejudice", Cambridge, Addison-Wesley, 1954.
    [14] Teun A. van Dijk, La riproduzione del pregiudizio, in "Diritto e democrazia", novembre-dicembre 1989, p. 127.
    [15] Ibidem, p. 128. Questo tipo di analisi tende a includere più questioni riguardanti "le microstrutture del razzismo nella società" e richiede una cornice ampia e interdisciplinare tale da permettere che "si integrino i risultati della ricerca dell'analisi del linguaggio, degli studi sulla comunicazione, della psicologia sociale e cognitiva e della micro sociologia, allo scopo di definire i necessari strumenti teorici usati nell'analisi dei dati linguistici come pure di costruire quantomeno la metà del ponte che bisogna gettare verso le teorie sociologiche, politiche e storiche delle microstrutture societarie del razzismo".
    [16] Ibidem, p. 137.
    [17] Ibidem, p. 148.
    [18] Laura Balbo, Oltre l'antirazzismo facile, in "Democrazia e diritto", novembre-dicembre 1989, pp. 11-22.
    [19] C. Marletti, Mass media e razzismo in Italia, in "Democrazia e diritto", novembre-dicembre 1989, pp. 107-125, p. 114.
    [20] Ibidem, p. 116.
    [21] Nell'insieme sono stati esaminati e classificati 1.111 articoli riguardanti direttamente od indirettamente problemi relativi agli immigrati. Nella rilevazione sono state anche incluse 73 lettere di cittadini ai giornali ritenute particolarmente emblematiche di taluni archetipi di pregiudizio, ma non immediatamente utilizzabili nell'ambito della metodologia di analisi dei materiali giornalistici prescelta per questo lavoro.e sviluppata in un successivo contributo.
    [22] Questo è stato fatto avvalendoci di due grandi categorie, ovvero, di articoli veri e propri e di articoli che si presentano sotto la forma di "trafiletti", "tamburini", pensando essenzialmente all'individuazione e all'utilizzo delle notizie fornite dalle agenzie di stampa. E proprio per questo tipo di articolo che si ha - principalmente per ragioni di spazio - una più accentuata decontestualizzazione dell'evento, per la quale si attua un approccio in linea di massima più superficiale.
    [23] 1 generale, 2 immigrazione,3 problemi del lavoro, 4 problemi della casa, 5 problemi della salute, 6 problemi dell'educazione, 7 ricerche, 8 cultura, 9 politiche, 10 affari sociali, 11 crimini, 12 religione, 13 economia, 14 relazioni razziali, 15 discriminazioni, 16 altri.
    [24] - In generale- Senegalese- Marocchina- Tunisina- Algerina- Cilena- Altre nazionalità africane- Altre nazionalità sudamericane- Non specificato.
    [25] Ibidem, p. 2. E' doveroso sottolineare questa affermazione che, pur trovandoci d'accordo con le tendenze individuate dall'autore, tuttavia ci sembra utile indicare che, in linea con quello che è stato il nostro approccio nella parte teorica, difficilmente i titoli sono un prodotto del giornalista, bensì molte volte si manifestano quale caratteristica simbolica peculiare della filosofia di un giornale inteso nella forma apparato. Senza considerare l'uso sensazionalistico che certe testate ne fanno.perlomeno indirizzare, il lettore su uno schema mentale di particolare indirizzo e ciò, a prescindere dalla lettura effettiva del giornale.
    [26] Villa Literno fu coinvolta in una vera e propria divisione politica che vedeva contrapposti governo e opposizione del Comune. Da una parte il Sindaco, disposto ad attuare iniziative dirette e a favorire l'accoglienza delle migliaia di lavoratori extracomunitari confluenti nel comune per le raccolte agricole stagionali. Dall'altra l'opposizione che, in maniera decisa, e utilizzando pratiche proprie della politica "militante" - quali raccolte di firme, banchetti, appelli alla popolazione, etc. - si schiera contro la decisione del sindaco di istituire un centro di accoglienza per la manodopera straniera. Risultato di tutto ciò l'aumento progressivo delle tensioni razziali con le conseguenze che tutti conosciamo.di atti di intolleranza e di discriminazione assumono la dignità di emergenza di massa.
    [27] Cfr. Marco Lombardi, Gestione dell'informazione nelle emergenze di massa. Note intorno al "caso" Chernobil, in "Studi di Sociologia", n. 2, 1988, pp. 216-217.
    [28] Ibidem, p. 226.
    [29] C. Marletti, Mass media e razzismo in Italia, cit. p. 109.
    [30] Più in dettaglio osserviamo che, per alcune nazionalità, gli articoli rilevati trattavano in maniera quasi esclusiva di eventi di cronaca nera. Volendo fornire un esempio, ben il 97,2% degli articoli esaminati riguardanti i cittadini del Cile erano legati questo argomento; così anche per quel che riguarda la comunità più numerosa della nostra città, ovvero quella marocchina, gli eventi criminosi coinvolgono l'81,3% dei casi considerati. Tale valore percentuale sale al 90,4% dei casi per i tunisini e al 92,2% per gli algerini mentre percentuali più basse si rilevano per la comunità senegalese e le altre nazionalità.
    [31] T. van Dijk, News Analysis, case studies of international and national news in the press, London, Lawrence Erlbaum, 1988, p. 209, traduzione a cura di chi scrive.
    [32] La prima area semantica individuata è quella relativa al concetto di immigrazione. Abbiamo qui riunito le voci: immigrato, immigrato di colore, immigrato terzomondiale, immigrato extracomunitario; è risultato per questo accorpamento una copertura pari al 10,98% del totale delle attribuzioni. Una seconda area è stata correlata al concetto di razza, riunendo le voci: immigrato di colore, individuo di colore, straniero di colore, negro, nero, colored. In questo caso la quota raggiunta è pari al 9,63% dei casi considerati. La terza area è connessa al campo dei temi del lavoro, a questo scopo si sono aggregati i termini lavoratore di colore, lavoratore, lavoratore straniero, attività, attività più nazionalità, lavoratore extraco-munitario. La percentuale per questa area semantica ha evidenziato una quota pari al 14,45. Ancora possiamo prendere in considerazione un'area semantica vertente sul concetto di straniero: straniero, straniero di colore, lavoratore straniero, cittadino straniero. Questa dimensione viene considerata nel 9,54% dei casi esaminati. Un ultimo accorpamento è stato effettuato in base al criterio di aggregazione delle voci che si riconducono ai caratteri di provenienza geografica. Le voci accorpate sono: nazionalità, attività più nazionalità, africano, nordafricano. Questa è l'area semantica di maggiore incidenza, la percentuale relativa infatti è pari al 45,28%.Tra le altre denominazioni ci sembra utile sottolineare l'attribuzione 'vu cumprà: questa viene riportata nel 5,24% dei casi esaminati. E' interessante evidenziare che, verificando l'utilizzo di questo neologismo nei titoli degli articoli, si è rilevato un uso abbastanza diffuso, pari ad una presenza nel 13,4% degli articoli.


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