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    M@gm@ vol.0 n.0 Ottobre-Dicembre 2002

    MEMORIA E CONOSCENZA OGGI: UN'OUVERTURE



    Alessandra Guigoni

    aguigoni@yahoo.com
    Etnologa; Laureata in Lettere Classiche; Specializzata in Scienze Sociali e Relazioni Interculturali, in Didattica Multimediale e Ipertestuale; Ricercatrice e Consulente presso Istituti di Ricerca e Formazione pubblici e privati, collabora con l'Istituto di Discipline Socio-Antropologiche di Cagliari e con il Dipartimento di Scienze Antropologiche dell'Università di Genova.

    Una premessa necessaria: quest'articolo chiaramente non ha la pretesa d'essere esaustivo nella trattazione del tema "memoria e conoscenza"; si propone piuttosto di introdurre l'argomento, aiutandosi con alcune interviste ad attori sociali che per mestiere riflettono ed elaborano delle rappresentazioni su tale tema.

    Al giorno d'oggi chi manipola informazioni e chi si occupa a vario titolo di conoscenza e formazione sa bene che negli ultimi cinquant'anni è stata compiuta una vera e propria rivoluzione nel campo della trasmissione e ritenzione delle conoscenze. Le nuove tecnologie, ma anche gli enormi progressi in ogni settore delle scienze hanno accelerato il processo di invecchiamento delle idee. Sebbene si dica che ormai "tutto è già stato detto", mai come in questo periodo c'è la rincorsa a nuove teorie, discorsi inusitati, risultati strabilianti, nel nome del progresso, che sembra inarrestabile e francamente a molti "fuori controllo".

    Come cambia dunque l' "accumulo" di informazioni, conoscenza e competenze? La parola accumulo fa di per sé pensare ad un lento sovrapporsi di conoscenze; infatti il termine significa insieme di cose accumulate, disposte l'una sull'altra; mucchio. La voce latina cumulum proviene dalla radice indoeuropea Tewe la stessa che compone il termine tumulo, tutela, tutto. Il termine tutto (latino tutus) nel significato originario è connesso a ciò che è arrivato a maturità, perfettamente integro, senza menomazioni; è associato alla totalità sociale e al c??=? ?oncetto di città. Potremmo dire che l'accumulo dunque si configura come totalità, integrità e perfezione nell'immaginario collettivo antico.

    Nel mondo postmoderno tutto cambia: le conoscenze non si sedimentano, ma si sovrappongono, elidendosi le une con le altre. Non esiste la conoscenza perfetta, integra, accumulata; le conoscenze di ieri sono erose dalle conoscenze di oggi ed è chiaro a tutti che le conoscenze di domani saranno molto diverse dalle pregresse. Ciò è implicito nelle pratiche e nei discorsi degli esperti di ICT (Information and Communication Technology) ma anche di biotecnologie e altri settori di punta della ricerca mondiale.

    Sul versante umanistico pedagogisti, esperti di didattica, cognitivisti e epistemologi sono impegnati da alcuni anni a cercare di comprendere l'attuale fenomeno che coinvolge la cosiddetta società della conoscenza, le agenzie di formazione, il mondo del lavoro. Ormai si parla dichiaratamente di educazione permanente (lifelong training) proprio a significare il processo infinito di apprendimento cui sono sottoposte molte categorie di lavoratori, soprattutto appartenenti al Terziario, fabbrica dell'immateriale "società dell'informazione e della conoscenza".

    "Fino alla seconda metà del Novecento una persona trasmetteva il sapere che aveva acquisito durante la sua esistenza ai propri figli in modo pressoché invariato...il sapere era trasmesso per via generazionale. Oggi questo schema è ribaltato, non solo le conoscenze variano ad una velocità che non ha eguali, ma è necessario riconvertire i nostri saperi per sopravvivere alla situazione di vita contingente. Le conoscenze hanno un ciclo di vita sempre più breve" [Tartoni 2001: 64].

    Indubbiamente la crisi attuale investe i contenuti della conoscenza in se stessa, oltre che i modi per conseguirla, e con essa l'identità individuale e collettiva, che si basa proprio su saperi e pratiche condivise all'interno di un certo gruppo sociale. Infatti con la crisi della modernità e l'avvento della postmodernità abbiamo assistito al passaggio dalle "grandi narrazioni" alle "piccole storie". Per l'antropologo Clifford Geertz:

    "Dal punto di vista del postmoderno, la ricerca di modelli globali va abbandonata in quanto relitto di un'aspirazione antiquata a ciò che è eterno, vero, essenziale, assoluto. Passato il tempo delle grandi narrazioni su "identità", "tradizione", "cultura", e così via, ora non esisterebbero che eventi, persone e formule fugaci, incapaci di armonizzare gli uni con gli altri" [Geertz 1999: 18].

    E come efficacemente sostenuto dal sociologo polacco Zygmunt Bauman "se il medium...messaggio della modernità era la macchina fotografica -pensiamo agli album di famiglia che s'ingrossano implacabilmente, documentando pagina dopo pagina ingiallita il lento aumentare di eventi che portano all'identità- ...in ultima analisi il medium della postmodernità è il videotape cancellabile e riutilizzabile, pensato per non trattenere le cose per sempre..." [Bauman 1999: 27-28].

    L'accumulo di informazioni nella nostra mente ritengo assomigli maggiormente al processo di un videotape che "fa spazio agi avvenimenti di oggi unicamente a condizione che quelli di ieri siano cancellati" [Baurman ibidem]; l'overload di informazioni è dovuto alle dimensioni ormai planetarie del mondo delle informazioni, ma anche alle esigenze di continuo aggiornamento delle informazioni in nostro possesso per muoverci a nostro agio nel mondo di tutti giorni e nel mercato del lavoro.

    La memoria umana non regge al confronto con la massa di informazioni che ogni giorno è incamerata da ciascuno di noi nell'interazione quotidiana con gli altri, ma soprattutto attraverso i media. La memoria umana infatti è un processo limitato e temporale di immagazzinamento e rievocazione di ciò che è stato appreso sotto forme diverse; la memoria senso-motoria, la memoria sociale e infine la memoria autistica, tipica degli stati onirici o disturbati sono dunque tre le qualità di memoria principali.

    La memoria è soprattutto sociale e culturale in quanto generata e trasmessa dalla collettività per la gestione del patrimonio culturale. L'antropologo André Leroi-Gouhan chiama questa memoria, ossia il patrimonio di conoscenze e competenze condivise, "memoria collettiva" e suddivide la storia della memoria collettiva in cinque periodi: della trasmissione orale, della trasmissione scritta mediante tavole e indici, delle semplici schede, della meccanografia e infine della classificazione elettronica. Già nel XIX secolo la memoria sociale aveva raggiunto dimensioni enormi, impraticabili per la singola persona;

    "La memoria collettiva ha raggiunto...un volume tale che si è reso impossibile esigere dalla memoria individuale di recepire il contenuto delle biblioteche; è parso necessario organizzare il pensiero inerte racchiuso nel cervello stampato della collettività" [Leroi-Gourhan 1977: 309].

    A questa memoria esteriorizzata di cui parla Leroi-Gourhan è affidata la memoria collettiva e in parte la memoria individuale, come nei personal media (videocamere digitali, agende elettroniche ecc.); la memoria viene così potenziata ma al tempo stesso sfugge al controllo dell'uomo, conservata nelle macchine. Leroi-Gourhan riteneva che, in un prossimo futuro, sarebbero nate macchine superiori al cervello umano nelle operazioni affidate alla memoria e al giudizio razionale; rifiutare tale ipotesi equivaleva a porsi nella situazione di un rapsodo omerico che avesse rifiutato la scrittura come un procedimento di memorizzazione senza futuro [Leroi- Gourhan ibidem].

    Il passaggio dalla civiltà orale alla civiltà scritta ha trovato un'illustre resistenza, come ci ricorda anche Walter Ong, anche nella persona dello stesso Platone; oggi il passaggio dalla civiltà analogica a quella digitale pone interrogativi importanti, sul futuro della comunicazione e della conoscenza. Questa rivoluzione, in senso digitale, è partita dall'Occidente, a suo tempo culla della diffusione della civiltà della scrittura, e ciò non è casuale.

    L'Europa è stata fuor di dubbio la prima civiltà "che abbia generalizzato l'uso e l'insegnamento della scrittura" [Aymard 2001]. Ciò ha fatto sì che l'Europa (il mondo occidentale potremmo dire) sia diventata nel corso dell'ultimo mezzo millennio la "civiltà del testo stampato e dell'educazione" prima, una civiltà della conoscenza poi e infine una "civiltà dell'informazione". E tale primato permane, almeno nella retorica e nelle narrative del senso comune.

    Ritenzione e oblio sono i due poli della nostra memoria che l'invenzione della scrittura e via via degli altri dispositivi mediatici (stampa, fotografia, filmato) hanno modificato nelle loro dinamiche. Infatti la scrittura in quanto memoria esteriorizzata permette un'enorme espansione della facoltà di riprendere gli atti comunicativi e le informazioni memorizzate in precedenza; nello stesso tempo d'altro canto conduce ad un'atrofizzazione delle capacità mnemoniche naturali; come ci ricorda Assmann: "Con l'esteriorizzazione del senso, si schiude una dialettica del tutto diversa: alle forme nuove, positive della ritenzione e della ripresa anche a distanza di millenni, corrispondono in negativo le forme dell'oblio mediante l'archiviazione e quelle della rimozione mediante la manipolazioni, la censura, la distruzione, la riscrittura e la sostituzione" [Assmann 1997: XIX].

    E' proprio di rimozione ciò di cui stiamo ragionando: non è più tempo per gli "album di famiglia", dove chi svolgeva una certa professione accumulava le tessere del sapere nel tempo, che componevano un quadro d'insieme coerente e coeso, frutto di decennali esperienze. Oggi le conoscenze, le competenze e le abilità vengono rimaneggiate, quando non costruite ex novo nell'arco di pochi anni. Certe professioni, legate a filo doppio alle tecnologie (ma quali professioni ne sono slegate oramai?) costringono ad un aggiornamento costante della memoria culturale, che spesso richiede persino l'azzeramento delle conoscenze pregresse e l'apprendimento di nuove expertise. Chi pilota un aereo di linea, chi lavora nel campo delle biotecnologie, chi progetta software o hardware è sottoposto a questo modus operandi.

    A tale proposito ho condotto una breve ricerca attraverso alcune interviste a persone che a mio parere svolgono professioni "esemplari" in quanto a long life training e tecnica del videotape. Tra di esse ho scelto di riportare stralci dell'intervista ad un matematico che lavora in un centro di ricerca, ad un pilota italiano di aerei civili, che lavora per una compagnia di bandiera italiana, ad una docente di Lettere di Liceo e infine ad un antropologo che collabora con alcune ONG nell'ambito dell'antropologia dello sviluppo.

    "La sensazione che provo quando inizio un nuovo progetto è il "vuoto". Devo farmi delle competenze, velocemente, su un dato argomento: c'è da leggere la letteratura scientifica e capire cosa fanno gli altri nel resto del mondo. Navigo su Internet e vedo che cosa c'è in giro. Per ogni progetto importante devi pensare ad un canale di finanziamento (essenziale se lavori nel settore privato), individuare con precisione gli obiettivi e i tempi del lavoro coordinandosi con i tuoi colleghi, di solito lontani geograficamente, e infine studiare, a volte daccapo, un problema, un algoritmo, l'implementazione informatica di un'idea sulla carta. Quello che ho studiato all'Università mi è servito a poco, è stato il lavoro a insegnarmi quel che so. Il mio mestiere è legato alla tecnologia informatica, con cui risolvo le equazioni. Lavoro con carta e penna ma più spesso con un computer. Cosa saprei fare senza il computer? A volte me lo chiedo. Tra i matematici ci sono i puristi che usano solo carta e penna, ma quasi tutti utilizzano l'informatica, specialmente tra i giovani. Costruiamo modelli di realtà, con sempre maggiore precisione: dobbiamo perciò aggiornare continuamente i nostri strumenti di analisi. A volte mi accorgo che la mia mente mette in atto un processo spontaneo di "formattazione": fa piazza pulita di (vecchi?) dati per consentire l'immagazzinamento di nuova informazione. Credo che l'overload di informazione e la difficoltà di concentrazione continuativa su un singolo problema siano tra i maggiori problemi di chi fa questo lavoro oggi. Dopo un po' di anni di formattazione del cervello o hai fatto carriera e hai persone che "pensano" al tuo posto o sei fuori dal mercato o sei fuori di testa".
    [R., esperto di scientific computing, 33 anni.]

    "Vede questo librone? È l'ultimo aggiornamento che ci ha dato la Compagnia, in realtà occorre rivedere tutto quello che abbiamo imparato finora, cancellando vecchie cose che non ci servono più; e stia attenta che le vecchie cose sono di pochi anni fa, ma sugli aerei, e a terra, le cose cambiano in continuazione, senza sosta, e noi dobbiamo seguire e tenerci aggiornati. Io ho fatto il pilota della Marina, poi sono entrato qui perché a 27 anni si è vecchi per volare in Marina: occorrono riflessi pronti e testa sgombra, a 30 anni si va a terra, a fare lavoro d'ufficio. Ma a me piace volare, e allora sono entrato nella Compagnia ***. Anche qui le cose sono veloci a cambiare, e occorre stare dietro agli apparecchi, ai congegni, a tutto. Questo librone lo devo leggere in pochi giorni e imparare tutto quello che c'è scritto. Devo cancellare quello che sapevo, che a volte mi confonde invece di aiutarmi. Non si smette mai di imparare, neppure a 37 anni, come me".
    [G., pilota di linea, 37 anni.]

    Anche gli umanisti non si sottraggono a tale processo: le nuove tecnologie hanno offerto loro nuovi mezzi espressivi (video digitali, arte elettronica), settori di ricerca (il territorio quasi vergine del cyberspazio), ma costituiscono anche una sfida continua. Informarsi e formarsi per un umanista significa far fronte all'enorme massa di informazioni disponibili in rete, su qualsiasi argomento, anche quello più di "nicchia", al crescente numero di libri editi, anche grazie alle tecnologie del print on demand, della pubblicazione on line, e all'indubbia maggiore circolazione e diffusione di cultura in senso lato.

    La rete in questo senso non ha fatto altro che materializzare un sogno (o un incubo) antico, quello della biblioteca totale e totalizzante, dell'enciclopedia umanistica, dove l'idea del cerchio insita nella parola en-ciclo-pedia (sapere circolare), è simbolo di infinito e di somma perfezione. Le narrative più comuni sui new media di solito promettono l'accesso a tutte le informazioni, mentre in realtà le cose stanno diversamente. Data la quantità dell'informazione "potenzialmente" disponibile nessuno avere il controllo e l'accesso alla totalità delle informazioni presenti:

    "All'inizio la rete mi piaceva. Trovavo tutto quel che cercavo e mi dava una bella sensazione, di possedere la conoscenza. Noi vogliamo sapere tutto, da sempre, e l'uomo è spinto dal desiderio di conoscenza. Io desidero tenermi aggiornata su quel che insegno, e Internet qualche anno mi appagava, ora invece mi mette in ansia. Internet mi ricorda quel verso dell'Inferno che recita: "Nati con foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e conoscenza" dove Ulisse naufraga. Il navigatore oggi è come Ulisse, può naufragare da un momento all'altro. A furia di navigare mi gira la testa, non trovo quel che cerco, c'è troppa ricchezza di informazione. E allora naufrago, spengo tutto e mi faccio il caffè".
    [A., docente, 46 anni.]

    Internet è la montagna del Purgatorio nei pressi della quale affonda la nave di Ulisse e dove perisce con i suoi compagni? "Gli scaffali del World Wide Web sono unici perché non hanno confine" è lo slogan di Jeff Bezos, fondatore della libreria virtuale Amazon.com. E' un sogno che si avvera o un incubo che si materializza? Il nodo gordiano per chi per professione manipola informazioni e conoscenze è tra l'accettare una progressiva perdita della visione di insieme e la necessità di specializzarsi in misura sempre crescente o cercare faticosamente di costruire una cornice di conoscenze in cui collocare le nuove informazioni che via via s'immagazzinano nell'arco di tutta una vita professionale.

    Per molti specialisti la seconda strada è ormai impraticabile; tra di essi si colloca Pierre Lévy che afferma "Se si resta con la nostalgia di una cultura ben costituita, organica, con la nostalgia di una totalità culturale, non se n'esce. La conoscenza e la cultura è qualcosa che si sta definitivamente detotalizzando. Vi dicono: potrete avere accesso a tutte le informazioni, alla totalità delle informazioni, ma è proprio il contrario: adesso sapete che non avrete mai accesso alla totalità".

    Quando si fa una ricerca in Rete attraverso un motore di ricerca o si legge la posta elettronica, potete stare sicuri che ad ogni reload del browser lo scenario di Internet è cambiato. Sono arrivati nuovi messaggi e nuovi siti sono stati aggiunti alle banche dati dei motori. La rete è in continua espansione, secondo dopo secondo. Internet ha contribuito alla contrazione delle nostre coordinate fondamentali spazio/tempo. Il mondo è sempre più piccolo e più veloce, riusciremo a stargli al passo? e Leopardi fosse stato nostro contemporaneo non gli sarebbero bastati i famosi "sette anni di studio matto e disperatissimo" per leggere tutti i volumi della biblioteca paterna: avrebbe avuto Internet da consultare, l'impianto satellitare e una quantità di libri editi ogni anno da leggere centuplicata rispetto al numero di libri editi nell'800.

    "Oggi misuriamo le nostre conoscenze a chili. Un etto di Bourdieu, un etto di Geertz, un etto di Marcus, tre etti di pensatori francesi, mezzo chilo di antropologi indigeni, un pizzico di Gramsci e il gioco è fatto. Citiamo i nomi che secondo la tribù degli antropologi vanno di moda per essere accettati, per appartenenza [...]. Leggiamo le novità editoriali per essere autorevoli nell'Accademia e negli altri luoghi di produzione della cultura di élite, quale appunto quella socio-antropologica. Ma oggi vengono pubblicati una quantità di libri incredibilmente elevata. Io scelgo i libri degli autori che mi convincono di più, ma opero una scelta drastica: non posso leggere tutto. Leggo e dimentico quello che avevo letto appena due anni prima. Ricordo solo le cose che mi servono, mi dico, ma a quale prezzo? Chi ricorda i classici? Oggi leggiamo solo le ultime novità, in inglese. La terminologia a la page è in inglese. Vorrei occuparmi di molti temi, ma alla fine riesco a svilupparne a malapena uno. E in ciò io vedo una perdita, non un guadagno, sia personale sia per la disciplina. Da quando ci hanno spiegato che le cose sono terribilmente complicate ciascuno di noi si è ritagliato un ambito molto circoscritto, all'interno del quale si sente al sicuro. Ma chi guarda i fenomeni, le dinamiche globali nel loro insieme? Solo pochi grandi "vecchi" della disciplina hanno la forza e il coraggio di parlare di grandi temi come quello della globalizzazione, dello sviluppo sostenibile, dell'ecocidio, delle nuove e vecchie povertà. Dopo di loro il diluvio. Rimarremo noi formichine, a trattare di piccole cose per riviste che nessuno legge, in convegni a cui nessuno va".
    [M., 50 anni, antropologo.]

    Dalle interviste che ho condotto credo traspaia chiaramente il timore di ignorare, e la fatica dell'aggiornamento quotidiano delle proprie conoscenze e competenze. Le nuove tecnologie mettono in luce l'estrema finitezza delle conoscenze della persona e la precarietà delle sue conquiste intellettuali, pronte ad essere scalzate dalle idee e dalle acquisizioni del futuro, in ogni campo del sapere. E' avvenuto il sorpasso della tecnologia sulla scienza; Giuseppe O. Longo afferma a tale proposito che la tecnologia, soprattutto se legata all'elaborazione e alla trasmissione dell'informazione, si sviluppa in modo così rapido e tumultuoso che la teoria non riesce più a starle dietro "infatti la velocità e la complessità della tecnologia impediscono spesso alla scienza di tracciarne un quadro esplicativo coerente e completo e di fornire risposte certe ai problemi applicativi: che cosa accadrà se userò la tal medicina, se devierò il corso di questo fiume, se modificherò il corredo genetico di questa specie?"

    Lo stile di acquisizione delle conoscenze e dello sviluppo di competenze adeguate dell'album di foto non riesce a stare dietro a tale sviluppo "rapido e tumultuoso"; il videotape, con la sua capacità di riscrivere infinite volte o quasi sulla stessa traccia, il nostro cervello, invece soddisfa i bisogni attuali dell'uomo. Ma a quale prezzo? La perdita della memoria culturale, della prospettiva storica: allora la nascita dell'homo technologicus soppianterebbe quella dell'homo sapiens sempre secondo Longo. La memoria è ormai fuori di noi: dovendo aggiornare periodicamente le nostre acquisizioni intellettuali abbiamo dovuto trasferire la sempre più "pesante" memoria personale e collettiva in Internet e negli altri dispositivi (videocassette, PC ecc.) elettronici a nostra disposizione. Ciò che non verrà digitalizzato sarà dimenticato. Anche gli errori del passato, le false piste, le teorie errate, verrebbero cancellate attraverso la "formattazione" della mente, tanto per riprendere il linguaggio informatico. Solo le memorie elettroniche potrebbero testimoniare la genesi pasticciata di un'idea, l'evoluzione di pensiero di un politico, di uno scienziato, gli errori umani di valutazione di un periodo storico, di un concetto. Ma qualcuno le leggerà? Se si affievolisse il concetto di memoria storica, non rischierebbe di scomparire l'idea stessa di "metamemoria", ossia la ricerca e il ricordo della memoria sulla Rete e negli altri dispositivi elettronici di archiviazione dei dati?

    Alejandro Baer sostiene che i nuovi media salveranno il ricordo, e si sofferma su alcuni siti web e altri dispositivi mediatici (come i musei hightech) che sono centrati sull'Olocausto. Egli afferma che "The massive presence of media products, the variety of genres, styles and interpretations of the past, might be creating a richer understanding history and collective memory and a more reflective and self-conscious historical subject."
    [Baer 2001: 500.]

    Resta da vedere quanti utenti cercano su Internet il termine olocausto sui motori di ricerca e quale sia l'utenza dei musei storici. Credo che il numero dei visitatori sia molto inferiore alle aspettative. Un presente troppo ingombrante, in termini di mole di informazioni, spesso strillate e stereotipate, amplificate a dismisura da mass media volgari, cancella la memoria del passato. Si è cercato di connettere la memoria di pratiche e di discorsi concretizzate in conoscenze e competenze indispensabili per orientarsi nella vita professionale alla memoria individuale e collettiva del nostro passato tout court, un tempo base di ogni futura esperienza e conoscenza. Qualcosa sicuramente è cambiato e sta cambiando e l'amnesia sociale del mondo occidentale dovrebbe condurci a riflettere sui significati profondi di tale cambiamenti nella vita di ciascuno di noi.


    BIBLIOGRAFIA

    ASSMANN, JAN (1997) La memoria culturale. Scrittura, simbolo e identità; politica nelle grandi civiltà antiche, Torino, Einaudi (ed.orig.1992).

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    BAER, ALEJANDRO, (2001) Consumino History and Memory through Mass Media Products, "Cultural Studies", vol. 4 (4): 491-501.

    BAUMAN, ZYGMUNT (1999) La società dell'incertezza, Bologna, Il Mulino (ed. orig.1997).

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    LÉVY, PIERRE, Il diluvio informazionale, "Enciclopedia delle scienze filosofiche", https://www.emsf.rai.it/scripts/documento.asp?id=248&tabella=AFORISMI.

    LONGO, GIUSEPPE O. (2001), La vecchia scienza è al tramonto, dovunque si impone la tecnologia, "Telema", n. 26, https://www.fub.it/telema/TELEMA26/Longo26.html.

    ONG, WALTER J. (1986), Oralità e scrittura. Le tecnologie della parola, Bologna, Il Mulino (ed. orig.1982).

    TARTONI, CAMILLA, (2001) Verso l'Università aperta e flessibile, in A. Calvani (a cura di), Innovazione tecnologica e cambiamento dell'università: verso l'Università virtuale, Firenze, Firenze University Press.


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